Premio Racconti nella Rete 2017 “Il riparatorti” di Davide Savorelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017M’hanno pigliaho e ora? – era preoccupato, non poteva nasconderselo. Seduto nell’ufficio del maresciallo, aspettava che quello arrivasse. Di sicuro voleva sentire cos’aveva da dire. Anche ripensandoci, non avrebbe saputo bene cosa rispondere. Perché aveva fatto quello che aveva fatto? Solo per vendetta? Era una motivazione scadente. Tuttavia era certo di essere nel giusto, quindi…
Allora? Come la mettiamo? – gli chiese il comandante della stazione dei carabinieri di Sesto Fiorentino, entrando con foga.
Lui abbassò lo sguardo a fissarsi le scarpe da ginnastica: capiva bene che quell’atteggiamento, oltre a significare contrizione, confessava la sua colpevolezza, ma gli era venuto istintivo. Non era un delinquente e trovarsi faccia a faccia con l’Autorità lo metteva a disagio: non c’era abituato.
Non dici niente eh? – fece quello severo. – Bene: resta qui una mezz’ora e vediamo se ti si scioglie la lingua. – E richiuse la porta, lasciandolo solo.
Fece per richiamare il comandante, ma ci rinunciò. Poteva in qualche modo giustificarsi? Poteva spiegare che era tutta colpa di quella canzone? Se non l’avesse mai ascoltata, adesso non si sarebbe trovato in quella situazione.
La strillaa parea un gatto strinto all’uscio. – aveva detto un’anziana alla cassiera della Coppe di piazza Vittorio Veneto. Lui era in fila per pagare un Estathé alla pesca ed era un po’ scocciato di dover aspettare che chelle du’ ciane la finissero di chiacchierare. La cliente stava raccontando di come la commercialista, la Strepponi, quella con lo studio grosso in via Gramsci, avesse lasciato che ir su’ canino cahasse in Galleria Giachetti e non avesse raccolto la deiezione. – Sicché la mi’ amiha gl’è arrivata, gl’ha fatto un liscio in sulla cahata e gl’è finiha a buho pillonzi. E io gl’ho detto: ‘un rizzatti, peccarità! Tussè mezza tronca!
E la Strepponi? – chiese interessata la cassiera, che sembrava non far caso agli altri clienti in coda, che cominciavano a brontolare.
Nulla! Bah, ‘un s’è nemmeno vortata, chella zoccola! – rispose l’altra, mentre infilava gli ultimi articoli acquistati in un trolley giallognolo. Ma il dialogo non era ancora concluso e le due continuarono tranquillamente a commentare l’accaduto. Lui, che si era fatto un’opinione del fattaccio, riteneva che la maleducazione della commercialista fosse deprecabile, ma purtroppo erano tanti i proprietari di cani che si comportavano come lei.
Finalmente qualcuno, dal fondo della fila, ebbe il coraggio di protestare ad alta voce per quell’ingiustificato rallentamento nelle operazioni di pagamento. – Icché tu boci a fare? – rispose a tono la cassiera – Oh abbozzala, stai bonino!
Quando Dio volle, saldò il suo acquisto e uscì dalle porte scorrevoli. Qui dovette affrontare un gruppo di questuanti che stazionavano perennemente in agguato. Riuscì con qualche difficoltà a districarsi da quelle richieste pressanti, ma, quando fu finalmente libero, il piede sdrucciolò su qualcosa di viscido sul marciapiede: era un molliccio escremento canino che gli aveva inzaccherato le sue nuove Sneackers bianche. Sbaffi marroncini decoravano con fantasiosi motivi la tomaia altrimenti immacolata. Gli montò il sangue alla testa e adesso capiva pienamente come mai quell’anziana fosse così alterata. Alzando lo sguardo, vide davanti a sé la Strepponi con il pinscher nano che le trottava al fianco tutto soddisfatto: doveva sentirsi oltremodo leggero dopo aver scaricato quella spropositata massa fecale, considerate le sue dimensioni minuscole.
Lui affrettò il passo e la raggiunse: – Mi scusi! – le disse concitato.
Cosa vuoi? – gli chiese lei scocciata.
Per tutta risposta, lui le mostro la calzatura lordata dalla produzione escrementizia del botolo. E, per rincarare l’accusa, peraltro a suo avviso già evidente, aggiunse: – Manca poho bocco!
E lo vieni a dire a me? E chi lo dice che è colpa del mio Golia? – e prese da terra il cagnetto per tenerselo in braccio. L’odore del recente rilascio fisiologico dell’animale doveva essere arrivato anche alle narici della proprietaria: la zaffata le fece storcere brevemente il naso per il disgusto.
Gl’è ancora tutto sudicio! – esclamò lui, indicando il deretano della bestiola, che riportava palesi tracce della recente scarica diarroica.
Il mio Golia certe cose non le fa! – s’impuntò la commercialista e si girò per andarsene. Lui le prese istintivamente il braccio, con l’intenzione di fermarla.
Come ti permetti, maleducato! Smettila subito o chiamo i carabinieri! – minacciò, sputacchiandogli in faccia inviperita. A quella reazione lui non seppe replicare e si ritrasse, mentre quella se ne andava sussiegosa per la sua strada. Da dietro le spalle della padrona, il pinscher nano lo guardava trionfante e lo sbeffeggiava con un ripetuto bef bef di scherno.
Avvilito e con la scarpa inzaccherata, decise di consolarsi per quella disavventura. Fece pochi passi e arrivò all’angolo con via Azzarri. Entrò nella paninoteca e ordinò una piadina con doppia salsiccia. Mentre attendeva di essere servito, fece caso alla canzone che in quel momento passava alla radio.
Non l’aveva mai sentita, però il ritmo era accattivante e il testo sembrava parlare di lui: … Ma io ho chiamato “Shpalman!”/ Lui mi ha risposto “Dimmi!”/ E io gli ho detto: “Vieni qui che c’è bisogno di te/ per difendere me”./ Attenti cattivissimi perché/ è arrivato Shpalman… Non c’è dubbio che Shpalman sia un amico/ con le mani in pasta. E non credere che a Shpalman gli puoi dire:/ “Tipo, adesso basta!”/ Perché si chiama Shpalman/ e il nome dice tutto… aiuto arriva Shpalman/ che tutti shpalmerà./ Eroe dei nostri tempi… Arrivederci Shpalman,/ ci mancherai di brutto/ ed ogni farabutto/ shpalmato resterà.
Fu in quel momento che gli balenò in mente l’ideona che lo avrebbe vendicato. Una rapida ricerca sullo smartphone gli rivelò dove abitasse quella donna e da lì sarebbe cominciata la sua operazione. Ingoiò l’ultimo boccone della sua piadina e uscì: Shpalman sarebbe entrato in azione fin da subito.
Il caldo sole del pomeriggio domenicale di metà maggio metteva una tremenda voglia di gelato. La commercialista e il suo cagnetto, la creaturina stizzosa dall’altisonante nome di Golia, si fermarono nei tavolini all’esterno di una rinomata gelateria del centro storico.
Lei, vittima anche delle caldane della menopausa, estrasse dalla borsa un ventaglio, souvenir di un viaggio ormai lontano, non tanto nello spazio quanto nel tempo, e cominciò a farsi aria con movimenti rapidi. Ai suoi piedi l’animale, forse infastidito da quei gesti veloci, cominciò a mettere a dura prova la pazienza degli altri clienti, berciando insistente e ossessivo.
La Strepponi lo rimproverò, ma quello non si dava per vinto: con pervicace ostinazione seguitava a martoriare i timpani altrui con quel reiterato abbaiare che pareva inesauribile. Quella, nel vano tentativo di calmarlo, lo prese e se lo mise sulle ginocchia, accarezzandolo per provare ad addolcirlo. Nel frattempo si avvicinò una giovane cameriera sorridente: portava un cappellino sbarazzino, a righe gialle e nere, in tinta con la divisa del locale; aveva un piercing al naso e vistosi tatuaggi. La donna la guardò disgustata: non approvava chi si conciava in quel modo.
Cosa posso servirle, signora? – le domandò quella cortesemente.
Una coppa della casa con nocciola, malaga e vaniglia. – Doveva essere nuova: tutti alla gelateria sapevano che la dottoressa Strepponi, nota e influente professionista, prendeva sempre lo stesso gelato.
Molto bene. – confermò la ragazza, che posò sul tavolino un contenitore con dei tovagliolini, sotto lo sguardo attento e ostile di Golia. Mentre lei stava ritirando la mano, quello ricominciò ad abbaiare e cercò addirittura di azzannarla.
La cameriera ritrasse istintivamente il braccio per evitare il morso di quell’animaletto insidioso, ma si spaventò.
Cosa vuole… è un diavoletto il mio Golia. – disse dolcemente la cliente, senza accennare a scusarsi ma anzi accarezzando il cane, quasi ad autorizzare quel comportamento mordace.
La giovane si trattenne a stento dal ribattere a quella maleducazione, ma non disse nulla se non – Nessun problema, signora. – masticando amaro.
Si era accorta, infatti, che il suo titolare la stava osservando dall’interno del negozio: era lì in prova da soltanto una settimana e sperava di ottenere e mantenere quel lavoro per tutta la stagione estiva. Aveva bisogno di guadagnare per tirare avanti. Aveva deciso di lasciare la scuola e anche la sua famiglia: adesso viveva in un mini appartamento con alcuni coetanei, alcuni studenti universitari fuori sede, altrettanto male in arnese quanto lei. Non poteva permettersi di essere licenziata, perché avrebbe significato dover tornare dai suoi con la coda tra le gambe e il suo orgoglio glielo impediva assolutamente.
Imprecò tra sé all’indirizzo di quel cane malmostoso e andò a riferire l’ordinazione al banco. In attesa che la coppa della casa venisse confezionata per poi essere consegnata alla dottoressa Strepponi, uscì nuovamente sul plateatico, visto che si erano seduti altri clienti.
Golia, pur coccolato dalla proprietaria, non accennava a terminare la sua sceneggiata, costituita da fremiti iracondi, un ringhio sommesso e continuo, nonché sporadici abbaii all’indirizzo di chiunque varcasse i confini del suo ipotetico territorio. Un atteggiamento insopportabile che aveva fatto inarcare il sopracciglio a più di un avventore, ma nessuno si era azzardato a dire nulla alla commercialista: era troppo conosciuta in tutta la Piana e troppo potente perché venisse rimbrottata per il suo pinscher insopportabile.
Improvvisamente, come richiamato da una forza invisibile, la bestiolina saltò giù dalle gambe di lei e scappò. La donna rimase per un attimo immobile, sorpresa da quel gesto inatteso, ma poi si gettò all’inseguimento di Golia che si trascinava dietro il guinzaglino, sbatacchiandolo sull’asfalto. Lo raggiunse solo quando le zampine indemoniate decisero di fermarsi spontaneamente: il cane stava rosicchiando la carcassa di un uccellino, spiaccicatosi al suolo dalla grondaia di un palazzo.
Via! Vieni via Golia! Che schifo! Vieni via, ti ho detto! – sbraitava quella. Ma, siccome quello non se ne dava per inteso, lei, accaldata per quella breve corsa, si chinò a recuperare il guinzaglio e lo strattonò con malgarbo. La bestiola, scontenta di quell’interruzione, puntò le zampette ma dovette arrendersi alla padrona che lo trascinava, quasi di peso, verso il tavolino. Nel frattempo la coppa della casa era arrivata ed era stata servita, come la ragazza le accennava in lontananza.
La Strepponi annuì a sua volta, lasciando intendere alla cameriera che aveva compreso. Quando finalmente riprese il suo posto, assicurando con attenzione un irritato Golia alla gamba della sedia, non le parve vero di potersi godere il gelato. Diede una cucchiaiata alla pallina di nocciola che campeggiava in cima, ma il sapore le parve diverso dal solito. Pensò che quella corsa inaspettata le avesse in qualche modo alterato la sensibilità delle papille gustative, così attaccò il sottostante malaga. Questo sapore, invece, le parve assolutamente usuale e quindi si tranquillizzò. La conferma le arrivò dalla parte aromatizzata alla vaniglia. Tutto bene, perciò ritentò con la nocciola. Eh no! La ricordava vagamente, ma non aveva nulla a che fare alla delizia a cui era abituata.
Alzando un braccio con un cenno imperioso, richiamò l’attenzione della giovane, la quale peraltro era impegnata con altri tavoli, visto che il plateatico si era riempito. Numerosi clienti erano in attesa di trovare posto e si sforzavano di manifestare la propria urgenza a quanti erano già comodamente seduti. La ragazza le fece comprendere che aveva notato la sua richiesta, ma che in quel momento non poteva davvero darle ascolto. – Vieni subito! – sbraitò, seguita subito dall’abbaiare urticante di Golia, che aveva percepito l’alterazione della padrona. Notando che l’ordine non era stato eseguito, affondò un’altra cucchiaiata in quell’anomalo gelato alla nocciola, quasi per sincerarsi che il suo ribrezzo non fosse semplicemente un’allucinazione sensoriale. No, era davvero immangiabile!
Notò in quel momento che sotto la coppa c’era un biglietto: un testo scritto al computer e stampato con un carattere corsivo. Lo sfilò incuriosita e si mise a leggerlo. Una volta terminato, la commercialista rimase per un momento perplessa: non riusciva a capire. Poi, in un lampo di genio, comprese e impallidì. Un istante dopo ebbe un violento conato di vomito e poi svenne schiantandosi sul piccolo Golia. Nella caduta trascinò con sé la sedia, il tavolo e la coppa di gelato, provocando un baccano infernale che fece girare tutti quanti nella sua direzione.
La cameriera accorse immediatamente per portarle aiuto così come qualche altro volenteroso cliente. Sotto di lei, intanto, Golia, incapace di liberarsi e oppresso dalla massa dell’incosciente Strepponi, esalava il suo ultimo rancoroso respiro.
La ragazza, mentre tutti erano indaffarati a soccorrere la famosa commercialista, si accorse del biglietto che era caduto dalle dita dell’esanime. Lo raccolse e lesse le poche righe: “Tu hai l’abitudine di portare a passeggio il tuo cane schifoso e di consentirgli di lasciare ovunque i suoi escrementi. Ma, quel che è peggio, non li raccogli! Te ne freghi degli altri e te ne vanti. Allora adesso ailoG out led adrem al itaignam! Firmato: il Riparatorti”.
Sulle prime non intese, poi ci arrivò e scoppiò a ridere, suscitando la sdegnata sorpresa di quanti si adoperavano a far rinvenire la livida dottoressa. Ma c’era qualcun altro che rideva soddisfatto. L’emulo di Shpalman aveva portato a termine il suo incarico! Stava congratulandosi con se stesso quando il suo comportamento sospetto venne notato dai militari dell’Arma: il trambusto li aveva richiamati dalla vicina caserma.
Cos’hai in quel sacchetto? – gli chiese un carabiniere che lo aveva sorpreso a sghignazzare a poca distanza dalla gelateria.
Quell’innocente domanda lo mandò nel panico. Vistosi perduto, fece dietrofront e scappò di corsa, mentre gettava via il pacchetto incriminato. Venne raggiunto in poche decine di metri da un atletico appuntato che mise fine alla sua fuga aleatoria. Fu portato alla stazione e rinchiuso nell’ufficio del comandante. L’involucro che aveva buttato fu recuperato e si scoprì che all’interno c’erano alcune palline ghiacciate, del tutto identiche a del gelato alla nocciola. Si stavano sciogliendo e l’odore rivelava che non si trattava di un rinfrescante dessert.
La porta si aprì nuovamente e lui chinò il capo confuso. Non si accorse che erano entrati in tre, questa volta. – La dottoressa Strepponi sta bene, anche se è affranta per il suo Golia, ma non sporgerà denuncia. Portatevelo via e che non succeda mai più! – fece il maresciallo con un tono che sapeva di condanna.
Chi doveva prenderlo con sé? Doveva andare in carcere? Alzò la testa e rimase di sasso: – Mamma? Babbo? – balbettò lui incredulo, dal basso dei suoi 11 anni.