Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Conversioni” di Francesca Fabrizi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Ero cresciuta con una cosa strana che erano i campi di cocomeri. Mio nonno li coltivava da sempre, col tempo il piccolo appezzamento di terra che avevamo davanti casa si era esteso tanto che a occhio nudo non si riusciva a vedere quando finisse. Alcuni avevano la polpa gialla, invece che rossa. Il nonno diceva che noi eravamo gli unici ad averli, che i compratori di cocomeri venivano per chiedere proprio dei nostri, gialli, diceva che erano rarissimi. Eppure non ricordo gli affari di famiglia esser stati troppo felici, con la mamma che aveva sempre qualcosa da urlare e il nonno che non sapeva mai che giorno che anno fosse, che diceva sempre: – E che differenza fa?

Sapevo tutto di come si trattavano i cocomeri, e dal momento che ho già detto che si tratta di qualcosa di strano, strano non era che mentre i miei compagni passavano il pomeriggio a giocare finché non diventava sera, io me ne tornassi a casa col nonno subito dopo scuola. Lo ascoltavo che parlava dell’irrigazione della sarchiatura, mi diceva che bisognava stare attenti a controllare che la terra non si infestasse di erbacce, che stavolta gli insetti avrebbero impollinato a dovere, che non c’era da temere, lui lo sapeva, sarebbero spuntati tanti bei cocomeri con la buccia liscia come la cera. Io gli chiedevo come avrebbe fatto il campo a ricoprirsi di frutti così grandi, cos’era che sarebbe successo veramente, poiché mi rimaneva difficile al tempo concepire come non potessero esistere gli alberi di cocomeri, cioè veri alberi come il pesco o l’albicocco e trovavo ingiusto che un frutto così crescesse in mezzo alle erbacce. Ma il nonno diceva che frutti così hanno bisogno di un campo, per germogliare, gli serve di stare fra le zolle di terra, che bisogna avere pazienza, che quella era una nascita diversa, come tante piccole esplosioni cosmiche.

Il nonno era morto nell’estate dei miei dodici anni. Era morto così, senza dirlo. E la mamma si era fatta carico di ogni cosa, dei funerali del cimitero del testamento. Lui aveva lasciato tutto a lei. Quando lei lo seppe ero in salotto, finivo i compiti seduta al tavolo da pranzo; lo so perché aveva iniziato a piangere forte e la mamma non aveva mai pianto così. Era capitato che vedessi qualche lacrima scenderle di sfuggita sul viso, per esempio quando si metteva gli occhiali e tuffava lo sguardo fra righe e righe di numeri stampati su fogli di carta sottilissimi, ma quella volta non aveva fatto a tempo ad asciugarsele, forse, perché piangeva davvero forte. Così si era fatta abbracciare e di colpo i suoi singhiozzi schiacciati sul corpo del babbo si erano fatti più ovattati. Inutile dire che io quella notte mi ero decisa a rimanere sveglia; così mi ero accostata alla porta della cucina, dove sapevo che stavano tutti e due perché la luce usciva da sotto, e me ne ero rimasta zitta zitta ad ascoltare le loro voci bisbigliate.

– Non posso proprio farcela stavolta – aveva detto al babbo.

– Adesso è tuo, Anna – le aveva risposto, ma non era sembrata una cosa banale.

– Perché ha voluto farmi questo, nonostante tutto? – alla mamma piacevano tanto quelle due parole, – Insomma lui sapeva benissimo…

– Non poteva fare altrimenti, forse.

– Che vuoi dire?

– Voglio dire che forse lui voleva farlo e basta, nonostante…

– Nonostante il fatto che avrei buttato all’aria il suo stupido sogno?

– Sì, o magari sapeva che sarebbe finito con lui –, le aveva detto il babbo.

– E poi c’è Sofia… –, e aveva ripreso a piangere come prima.

– Lo so, Anna. Dai, basta ora: ne riparliamo domani, siamo stanchi. Dormiamoci su –.

La mamma aveva fatto sì con la testa e si erano abbracciati. Io in quel momento avevo capito che dormirci su non significava cercare una soluzione ma trovare il coraggio di metterla in atto. Vendettero la casa e il campo di cocomeri a una coppia sulla cinquantina poco tempo dopo. Ci trasferimmo in città quella stessa estate. Ricordo ancora quando vidi quel paesaggio per l’ultima volta, mentre stavamo partendo, ricordo che mi chiesi se il nonno lo sapeva davvero com’era un campo tappezzato di cocomeri con la buccia liscia come la cera.

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