Premio Racconti nella Rete 2017 “Quel 25 maggio” di Gregorio Volpi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Il 25 maggio di quell’anno era un giovedì di primavera come tanti altri. C’era un odore di pioggia per le strade del paese, poiché la sera prima aveva piovuto a dirotto e Amedeo se ne era rimasto da solo, seduto sopra il muretto del suo giardino, a lasciarsi bagnare da quella pioggia benefica e purificante. Gli piaceva immaginare che essa fosse come un farmaco che sanasse le ferite e i mali del mondo e, soprattutto, di lui stesso. Aveva sempre amato interpretare ciò che lo circondava a modo suo, evadendo qualche istante dalla realtà, grazie a una Moleskine nera e una Staedtler HB. Il 25 maggio di quell’anno era un giovedì di primavera come tanti altri ed era il compleanno di Amedeo, che quel giorno finiva 20 anni e veniva ritrovato dalla madre steso sul proprio letto in un bagno di sangue. Aveva la roncola, che il padre teneva in garage tra gli attrezzi, conficcata nella parte sinistra del petto; la mano destra, che impugnava la sua matita, era staccata dal polso, mentre la sinistra stringeva un foglio di carta con diverse righe scritte sopra che parlavano per lui:
“Caro Mondo,
voglio che questo 25 maggio sia un giovedì di primavera come tanti altri, che i miei genitori si alzino la mattina e vengano in camera per farmi gli auguri e che il mio smartphone pulluli di notifiche per i messaggi dei miei amici; voglio questo, anche se non sarà così. Lo voglio perché un ragazzo che si uccide a vent’anni per paura non merita attenzione, mentre essa va data alle cose effimere e fragili prima che svaniscano, scompaiano, muoiano. Una bolla di sapone, una rosa, la brina autunnale che si scioglie con i primi raggi solari e rende luccicante l’erba dei prati, un fiocco di neve che si posa nelle guance arrossate di una ragazza, il mare mosso d’inverno osservato da una scogliera; sono i mezzi di cui la Natura si serve per dissimulare la sua caducità, grazie alla Bellezza che serve a compensarla, proprio come l’uomo va alla ricerca di uno scopo per mascherare la sua fragilità. Ho deciso di togliermi la vita perché la mia codardia mi ha convinto che questo scopo non riuscirò mai a trovarlo, mentre da vent’anni porto con me un sacco di cose superflue per le quali non vale la pena affaticarsi. Ho paura che il mio cuore si indurisca e, così facendo, io finirei per simulare, accentuare e mostrare più di quello che realmente è il mio lato negativo, piuttosto che dissimularlo attraverso ciò che posseggo di più bello. Ho paura che questo “bello”, per me, non esista e che la mia vita sia destinata a ristagnare su se stessa, non essendoci nulla che me la renda cara. Mi fa paura la Noia, che per anni ho cercato di combattere con carta e penna, le armi più potenti del mondo, ma, ora che persino queste hanno finito le cartucce, sono stato preso dal panico perché credo che non riuscirò più a difendermi. Sono sempre stato molto assetato di questa Bellezza a causa della mia immensa fragilità, ma è proprio quando si ha molta sete che ci si accorge quanto sia dolorosa e causa di sofferenza la mancanza di acqua. Ho paura di non riuscire a provare più emozioni vere e spontanee, ma solo sensazioni di circostanza, simili a dei luoghi comuni; di non poter farti ascoltare, caro Mondo, il ritornello della mia vita e di rimanere io stesso un disco vuoto. Temo, sopra ogni altra cosa, l’insignificanza della gente che ti annegherà, caro Mondo, con la mediocrità, i prototipi e le abitudini. Mi guardo intorno e vedo persone che vivono per inerzia, proprio come te, povero Mondo, che ti muovi senza essere spinto da nulla; noto con amarezza che i cambiamenti e le prese di posizione spaventano sempre di più la gente, che, invece di vivere, si abbandona al comodo e non rischioso sopravvivere, somigliando a delle batterie a risparmio energetico. Ho paura dell’indifferenza, più che dell’odio, che mi sta riempiendo il cuore, nei confronti di queste persone, svuotandolo dalle ultime motivazioni per le quali è valsa la pena di coltivare il seme della vita fino ad ora. Ho paura che questo 25 maggio non sarà un giovedì di primavera come tanti altri, ma per fortuna mia non vivrò abbastanza per esserne certo, anche se ho il timore che assisterò comunque alla scena da qualche altra parte, senza essere visto e senza provare più dolore. Mozzandomi la mano destra e trafiggendomi il cuore, ho distrutto gli unici mezzi del piacere che avevo a disposizione – il cuore per provare sentimenti e la mano destra per trascriverli e dar loro vita eterna – e ho trovato, finalmente, il coraggio in un mondo di paura; il coraggio di tagliare la mia rosa, ormai appassita, poiché la sua bellezza è tanto più sublime, quanto più effimera. L’unica certezza che mi rimane è la preziosità di uno dei pochi gesti di coraggio, data dalla consapevolezza della mia inferiorità rispetto a te, caro Mondo, che tutto ciò non riuscirai mai a comprendere.
Amedeo”