Premio Racconti nella Rete 2017 “L’ultimo picnic” di Paolo Di Fresco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017“Che splendida giornata di sole. Potremmo fare un picnic” disse lei.
“Come ai vecchi tempi?” rispose lui.
“Già. Proprio come ai vecchi tempi”.
Non persero tempo. Tirarono fuori dall’armadio una vecchia cesta di vimini e la riempirono con le vivande rimaste: pane in cassetta, burro, frutta secca e un pezzo di formaggio sotto vuoto che sembrava ancora commestibile. Presero anche l’ultima birra e una bottiglia d’acqua.
Lei mise nel cesto piatti, bicchieri e un paio di grossi tovaglioli stoffa, mentre lui recuperò un vecchio plaid rosso e blu, lo stesso che aveva portato con sé la notte della Stella. Un ago di pino impigliato nella lana gli si conficcò sotto un’unghia, strappandogli un’imprecazione.
Ripensò ai falò accesi sulle sponda del lago, alle danze durate tutta la notte.
Al passaggio della cometa si erano scambiati un bacio. Poi erano rimasti a naso in su per quasi un’ora, seguendo la scia luminosa che si spegneva lontano.
Un nuovo inizio, era questo che il mondo attendeva. E dopo anni di guerre e sofferenza, la Stella era apparsa all’orizzonte, salutando la Terra nella sua corsa infinita attraverso lo spazio.
Si era sentito vivo, quella notte. E mentre la stringeva tra le braccia, nei suoi occhi luccicanti avevo scorto la stessa emozione.
“Fai presto, amore. Non c’è tempo da perdere” disse lei, infilandosi i jeans.
Si riscosse dal suo torpore e si vestì in fretta.
Quando furono pronti – la coperta ben piegata sulla cesta di vimini che li aspettava all’ingresso – chiusero le imposte come se partissero per un lungo viaggio.
Un raggio di sole cadeva al centro della stanza, rivelando il pulviscolo che vorticava nell’aria.
Stavolta fu lui ad esortarla. “Andiamo, tesoro. O faremo tardi”.
Scesero le scale, inseguiti dal rumore dei loro passi. Nel cesto le stoviglie tintinnavano: un suono allegro che stonava col silenzio dell’edificio.
Quando furono in strada, respirarono a pieni polmoni la brezza primaverile che soffiava da est e gonfiava i pioppi in pieno rigoglio. Raggiunsero l’auto a passo svelto. Il motore faticò ad avviarsi ma dopo un paio di tentativi si accese rombando. Come ai vecchi tempi.
“La benzina basterà?”
Lui annuì, sorridendo.
Lei accese la radio e armeggiò qualche secondo con la manopola prima di ricordarsi che le trasmissioni erano cessate da più di un anno.
Contrariata, rovistò nel portaoggetti e ne tirò fuori un vecchio cd.
“Voilà!” esclamò. “Abbiamo anche la musica”.
Lungo il tragitto non videro anima viva.
“Sembra uno di quei film sulla fine del mondo” commentò lei, seria.
“La vita imita l’arte” rispose lui, ironico.
Rimasero un po’ senza parlare, ascoltando la musica.
Poi lei disse infastidita: “Le canzoni d’amore sono tristi. Non voglio essere triste”. Tirò fuori il cd e lo lanciò dal finestrino.
“Perché lo hai fatto? Mi piaceva quel disco”. La rimproverò, ma quando la vide con le gambe rannicchiate e gli occhi socchiusi si sentì disarmato. È ancora così giovane, pensò.
Tornò a fissare la strada davanti a sé e per un po’ si concentrò sulla guida, lanciando ogni tanto qualche occhiata perplessa al cielo azzurro dietro le montagne lontane.
Dopo un’ora uscirono dall’autostrada e imboccarono la litoranea. Il mare scintillava sonnolento nella luce del mezzogiorno, mentre procedevano verso sud.
Non c’era stato bisogno di concordare la meta: sapevano entrambi dove andare. Ripercorse con la mente il sentiero che dalla spiaggia portava in cima alla falesia. Un vecchio con gli occhi azzurri, seduto su uno spuntone di roccia, una volta gli aveva detto di fare attenzione alle vipere ma lui, lassù, non ne aveva mai viste. Quel pomeriggio di due anni prima si erano fermati a contemplare lo spettacolo della roccia bianca e levigata, che si tuffava nel mare. Poi le aveva dato l’anello di fidanzamento: una sottile fedina d’oro che portava con sé da una settimana, in attesa del momento adatto.
“A che pensi?” chiese lei, strappandolo ai suoi ricordi.
Lui piegò la testa di lato, cercando la sua mano.
“A niente, amore. Siamo quasi arrivati. Ho una fame…” mentì.
Sulla spiaggia non c’era anima viva.
Era scontato, eppure in cuor suo aveva sperato di trovarci qualcuno, magari in cerca di ricordi come loro.
Alla solitudine, in fondo, non ci si abitua mai.
Lei recuperò dal bagagliaio la cesta di vimini e si lanciò a passo svelto lungo il sentiero seminascosto dall’erba. Il grido di un gabbiano echeggiò lontano mentre il mare scivolava lento sulla riva.
Non c’è rimasto più nessuno da queste parti, pensò. La Stella non ha risparmiato nessuno.
Il marmo lucido della falesia gli riportò alla mente le lapidi del piccolo cimitero dove aveva sepolto gli amici di una vita.
Luca era stato il primo a subire l’influsso della Stella. Aveva ucciso sua moglie e poi si era buttato da un ponte. Arturo, invece, si era impiccato ad un albero del giardino di casa sua, dopo avere indossato i vestiti di sua madre. Toni si era ficcato in gola una stecca da biliardo…
“Cosa fai? Non vieni?” lo chiamò lei.
“Arrivo”.
La trovò inginocchiata sull’erba. Aveva già preparato tutto l’occorrente per il picnic. Le tovagliette erano ben stese e grosse fatte di pane imburrato ammiccavano dai piatti.
Consumarono il pasto seduti sulla coperta, in silenzio, scambiandosi ogni tanto qualche sorriso.
Lui bevve un lungo sorso di birra dalla bottiglia e quando ebbe finito, pensò che era un peccato non poterne bere ancora.
A pensarci bene, era un peccato che tutto dovesse finire prima o poi.
Lei si stirò la schiena e, passandogli le dita nei capelli, mormorò: “In fondo, è sempre bello qui”.
Sì, era bello. Di una bellezza struggente e inutile.
Si sorprese a pensare che presto non ci sarebbe stato più nessuno a guardare quel mare enorme che abbracciava la spiaggia. La falesia sarebbe rimasta lì, inconsapevole: un inutile avamposto sul mare.
Gli uomini stavano morendo, sopraffatti dalla tristezza.
La scia azzurra della cometa aveva portato via le illusioni e lasciato in eredità una nuova, malinconica consapevolezza.
D’un tratto era stato chiaro a tutti che non valeva la pena agitarsi tanto. E, chi prima chi dopo, tutti avevano mollato.
La vita sociale si era dissolta, la televisione e la radio avevano smesso di trasmettere.
Anche la Rete era collassata, dopo aver raccolto le ultime disperate confessioni di chi sceglieva di morire: messaggi d’amore e richieste d’aiuto che nessuno avrebbe mai ascoltato.
Il mondo finiva così, dunque: senza rabbia o violenza. L’umanità, sfinita, si ripiegava su stessa.
Dopo il “Nuovo Avvento” – era questo il nome che, con involontaria ironia, i giornali avevano dato al passaggio della Stella – le strade si erano svuotate, giorno dopo giorno. E così le scuole, i cinema, i parchi delle città.
La quotidianità era divenuta un fardello insostenibile.
Qualcuno si era lasciato morire di fame. Altri – i più – si erano tolti la vita.
Gli appelli delle autorità civile e religiose non avevano fermato l’epidemia di suicidi. Le preghiere non erano bastate. Anzi, i primi ad ammazzarsi – rifletté – erano stati proprio gli uomini di fede, sopraffatti dall’atroce rivelazione della Stella: Dio non esiste.
Era cresciuto con la paura che una guerra, più feroce delle altre, avrebbe posto fine alla civiltà. Che gli uomini, assetati di potere e di gloria, sarebbero riusciti a distruggere tutto.
Non immaginava che sarebbe andata così.
Dall’alto della falesia, guardò il mare lambire gli scogli cinquanta metri più giù.
Non si ricordava di aver camminato fino allo strapiombo, ma che importanza poteva avere ormai?
Si sentiva triste, svuotato e senza energie. Laggiù, invece, il mare era così azzurro e scintillante. Come la coda di una cometa.
Lei si avvicinò in silenzio e gli prese la mano.
Una brezza leggera le arruffava i capelli. Aveva gli occhi umidi di lacrime e sembrava stanca e amareggiata.
Ripensarono alla notte della Stella. Al futuro che sembrava attenderli e che, invece, era già dietro le spalle.
Sentirono il calore del sole sulla testa. E la voce suadente del mare che li chiamava.
“Ti amo” le disse. Lei gli strinse più forte la mano.
Poi insieme saltarono nel blu, con il cuore finalmente libero da ogni pena.