Premio Racconti nella Rete 2017 “Uccelli in volo” di Anna Gogosi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Roberto, come tutte le mattine uscì di casa per andare a lavoro; arrivato sulla salita di Via Giannetto Valli, dovette fermarsi, aveva camminato veloce, non aveva più vent’anni ma cinquanta e con l’inverno freddo aveva preso almeno tre chili di troppo, e uno stridere forte nel cielo lo aveva portato istintivamente ad alzare gli occhi e vedere che stesse succedendo lassù. Fu così che vide volare a schiera un gruppo di uccelloni verdi, certamente erano i pappagalli di piazzale della Loggia, pensò, che sorvolavano la zona, qualcuno gliene aveva parlato. Sentì un fremito nei pantaloni “Lo vedi come volano quelli … e io … chiuso qua dentro”, era il suo uccello che si faceva vivo all’alba del nuovo giorno ma non fece in tempo a rispondergli che vide volare sulla sua testa uno stormo di rondinelle “E pure quelle … guarda come sono contente …” e subito dall’alto del cielo a volo raso sulle palazzine alla sua destra un enorme gabbiano che planava “E guarda pure quello com’è contento, in solitario … sta meglio di me … quello vola … io invece … chiuso qua dentro…”. “Sta calmo, cosa vuoi ora tu?” “Cosa voglio?! E’ da una vita che non volo …” “Sta calmo ora, non è il momento”, lo tranquillizzava Roberto. “Sta calmo un corno … non è mai il momento per te … da quando c’è quella …” “Smettila e porta rispetto, quella che tu chiami così è la padrona di casa” “Io rispetto lo porto ma tu non lo porti a me … guarda quelli come volano contenti e io … mi sono stufato, voglio un po’ d’aria e d’allegria … un tempo eri diverso … ti sei proprio ammosciato … ma io non ci sto … non ce la posso fare … ora poi … col caldo estivo … dai … datti una mossa”. Roberto continuava a camminare facendo finta di niente, aveva un po’ sgrullato le gambe e i pantaloni come a cercare un po’ di spazio e d’aria per l’uccello suo che si lamentava, ma quello niente, continuava la tiritera “È inutile che ti sgrulli, non mi serve, non m’accontento, mi devi fare uscire da qua dentro”. E intanto si avvicinava una ragazza niente male “La vedi quella, guarda che carina, vagli a dare una tastatina, no?…” “Sei proprio un grullo … ti pare che vado a toccare un’estranea, così per strada?” “Sei un fralloccone, non ti riconosco più … ma com’è che sei così trasformato, che t’è successo, che t’hanno fatto, padrone mio…” “Ah ora mi chiami padrone … ora ti ricordi chi comanda …” “Chi comanda?… finora hai fatto comandare a quella” “Porta rispetto, quella è la padrona di casa” “Sarà pure la padrona di casa ma a me non mi sconfinfera per niente” “Perché sei il solito irriconoscente … lei ci cucina, ci prepara la colazione pensa alla casa alla spesa, lei è brava … dovresti esserle grato” “Grato?!… ma grato di che … ti sarai rimbambito … a me quella manco mi guarda … non mi saluta mai e se mi faccio vivo … quella si scansa … fa finta di niente e io mi deprimo” “Non esagerare ora …” “Esagerare?… ma ti sei dimenticato delle volte che mi sono fatto vivo … con richieste serie e inequivocabili … mi sono sentito dire ‘abbassa questo coso’ … coso … m’ha chiamato coso e ha detto abbassa, come fossi un’arma da fuoco … stavo per spiccare un bel volo e mi sono ritrovato raso terra … ce l’ha con me … non c’è una mattina che s’avvicini neanche per sbaglio, e se m’avvicino io quella mi scansa e tu ti stai zitto … non le dici niente …” “Che vuoi che le dica … non le piace di mattino” “E alle altre ore invece sì?…Diciamocela tutta … un tempo le piaceva … ora non le piace più” “E’ colpa tua che sei insistente nei momenti sbagliati, non sai aspettare” “Non so aspettare? Ma se aspetto e basta … e poi … dimmi tu qual è il momento giusto … quella è sempre stanca, ha sempre da fare … entrare andare uscire … anche io vorrei entrare e uscire e tu sai da dove, ma quella proprio non mi prende in considerazione… e tu ti siedi e mangi e guardi la tv, neanche più ti ricordi ch’esisto anch’io”. Roberto non aveva fatto in tempo a dare una risposta che il suo coso s’era fatto largo tra i bottoni del pantalone e in un batter d’occhio o meglio in un batter d’ala aveva preso il volo. – Ma che fai? Sei impazzito?! … Torna indietro … Torna ti dico! Niente da fare, il suo uccello lo aveva abbandonato e ora svolazzava sulla sua testa. Roberto non poté fare a meno di seguirlo con lo sguardo. Al principio si disse che quello avrebbe fatto un giro e sarebbe ritornato, in fin dei conti dove poteva andare senza di lui. E intanto il suo membro spariva in direzione di piazzale della Loggia e dopo poco riappariva sulla sua testa. Roberto ad un certo punto si spazientì, cominciò a gesticolare e gli ordinò di ritornare al suo posto altrimenti avrebbe visto lui cosa sarebbe successo. Un guizzo e con un colpo d’ala degno di un falco da caccia, il suo uccello sparì lontano nel cielo. Per un po’ Roberto continuò a guardare in alto poi si stancò. Aprì la sua Ford fiesta, mise in moto e se ne andò “Peggio per lui” si disse “Così si renderà conto di cosa significa vivere da soli e in autonomia”. In ufficio aveva un gran da fare e non pensò più al suo membro volato via “Dove vuoi che vada …stasera me lo ritroverò sotto casa a chiedermi scusa…” Ma la sera sotto casa il suo membro non c’era e tanto meno in cielo. Roberto si era fermato a guardare qua e là, prima distrattamente, non voleva far trapelare una certa preoccupazione che cominciava a salirgli dentro, poi s’era fermato con la scusa di telefonare e col cellulare all’orecchio aveva roteato più volte lo sguardo da destra a sinistra. Niente, quello non si faceva vivo. Apparivano i soliti uccelli ma del suo nessuna traccia. Cenò e andò a dormire con la massima naturalezza. La moglie non si accorse di nulla ma di questo lui era sicuro sin dall’inizio. La cosa andò avanti così per un paio di giorni: Roberto passava dalle minacce, quando torna gli faccio vedere io, ad una sorta d’ansia, al disagio di fronte alla nuova collega che era apparsa in ufficio, bella e simpatica. Roberto le si era avvicinato con fare galante mentre lei lo invitava a cena sul terrazzo del suo appartamento, per quella sera. E d’un tratto aveva realizzato che per lui i giochi erano finiti. No, questo era inaccettabile, in fin dei conti aveva solo cinquant’anni, si disse, non era giusto quello che gli era successo, un vero sopruso, voleva fare qualcosa, forse una denuncia di sparizione ma si sentiva ridicolo, non sarebbe stato preso in serio e poi le forze dell’ordine hanno tanti di quei problemi, chi avrebbe avuto tempo e voglia di pensare al suo uccello volato via. No, era qualcosa che doveva risolvere da solo. Tornando a casa quella sera ebbe un colpo al cuore, vide un gatto di zona che puntava un piccione e prima quatto poi con un balzo lo aveva addentato. Che il suo uccello avesse fatto quella fine? Non aveva elementi per escludere quella tragica evenienza. Cominciò ad avere un senso di nausea che dallo stomaco gli arrivava al palato e sentiva dell’ amaro insopportabile in bocca che gli entrava acre fin dentro le narici. Senza sapere come si ritrovò le lacrime agli occhi. Quanto tempo che non piangeva, un tempo immemorabile, l’ultima volta forse aveva tredici anni e la ragazzina che gli piaceva l’aveva piantato in asso per un altro. Roberto sentiva mancargli la forza nelle gambe e dovette sedersi sul muretto basso della Giannetto Valli, si prese la testa tra le mani e pianse, sentiva quelle lacrime uscire come una fontana. “Finito, sono un uomo finito” continuava a ripetersi. “Scemo, sei solo uno scemo…”. La voce arrivava dall’alto, Roberto sollevò il viso incredulo e vide il suo membro sorridente roteargli sulla testa. “Dai sbrigati, non farmi perdere altro tempo, non t’immagini che si può fare da qui … vieni”. Roberto non poteva credere ai suoi occhi e se li strofinò ben bene tirando via tutte le lacrime, quello si rinfilò nei pantaloni e con un batter d’ali tirò su Roberto che non fece in tempo a dire né sì né no che volava sull’area della Giannetto Vali e in quattro battiti d’ala era oltre la Pallavicino e roteava su e giù e non aveva più peso. “Lo senti che bello qui?” “Si lo sento è bello ma… è impossibile continuare…” “Goditi il volo no? Che t’importa del continuare…” “Fai facile tu…” “E tu fai sempre problemi … goditi il volo padrone mio …”. Al sentirsi chiamare così Roberto si sentì rinascere e volle affidarsi al suo membro “Stasera guidi tu e io ti seguo …” “Finalmente ci sei padrone mio!” L’uccello si sollevò ancora e poi planò dolcemente sino a rasentare il tetto delle case, le cime degli alberi e le terrazze. La gente non si accorgeva di nulla perchè era appena dopo il tramonto e c’era una bella luce ma tutti erano indaffarati nei preparativi della cena, nessuno guardava su per aria. “Allora … dove mi porti stasera?” “Vedrai … ora goditi il volo!”. Il suo uccello aveva ragione, il volo era eccitante, Roberto sentiva l’aria fresca fendergli la faccia e asciugargli l’appiccicaticcio del pianto che gli era rimasto, si sentiva la bocca allargata e prendeva aria e la tratteneva, poi lanciava qualche urlo e sorrideva. Sorvolarono viale Trastevere e voltarono in direzione dell’Ettore Rolli, dove planarono su un balcone largo e lungo tutta l’area perimetrale di un appartamento, fino a un grande terrazzo sul quale era radunato un gruppo di persone. Roberto riconobbe subito la voce di Giulia, la sua nuova collega d’ufficio. Si pettinò i capelli passandoci le mani a spazzola e sistemò la camicia nei pantaloni, il suo membro stava in silenzio, pronto a godersi la scena iniziale. Giulia lo accolse esultante – Ehi … non ti ho visto entrare … com’è … sei arrivato in volo tu?! Il resto della serata fu un’escalation di sorrisi d’intesa e di occhiate di complicità tra Roberto e Giulia. Quando tutti gli ospiti andarono via Roberto poté esprimere il meglio di sé, non solo perché i due si piacevano davvero e l’attrazione era forte, ma anche perché il suo uccello, preso dall’euforia, spiccò un bel volo dal terrazzo portando i due in giro sul cielo di Roma. Roberto diede il suo assenso con un affondo di gioia che toccò sin nel profondo l’animo di Giulia, che teneva stretta a sé, mentre lei gli diceva ch’era tutto talmente bello che le sembrava di volare. Volarono indisturbati su strade e piazze. Solo un bimbo che era a testa in su li vide “Guarda mamma quei due … volano!” “Ma smettila con queste sciocchezze …guardi troppi cartoni tu …”. Il bimbo aveva continuato a seguirli con lo sguardo e agitava la manina mentre Roberto gli sorrideva e continuava il suo volo, abbracciato a Giulia.
Anna confermo anche qui il mio pensiero: riesci anche in questo racconto a trattare un argomento spinoso in modo divertente e delicato. I tuoi racconti sono colpi di fioretto.
Davvero divertente e originale. Per usare le tue stesse parole me la sono proprio goduta a seguire le evoluzioni di questo uccello così singolare e autonomo. Penso che tu abbia messo bianco su nero il vero desiderio di un uomo: libertà!
Ciao Anna, questo racconto mi ha stupito ancora più dell’altro… l’ho trovato divertente, grottesco, irriverente, originale, dissacrante. Ti faccio i miei complimenti perché ti sei presa una bella libertà, da donna, nel trattare il tuo “protagonista”. Tra l’altro oltre ad essermi divertita, ho trovato perfino poetica la parte finale, con il volo della coppia sui cieli di Roma, una bella metafora dell’amplesso come sublimazione dell’amore carnale,, che infatti può essere visto solo dagli occhi di un bambino. Credo che tu abbia un modo di scrivere solo tuo, molto particolare. Una fantasia dirompente che si riflette in una forma che aspira anch’essa a una grande libertà. Secondo me sei bravissima!
Irriverente e divertente. Hai saputo frenare con sagacia e poesia ogni possibile accenno di volgarità, creando il perfetto equilibrio ” statico- dinamico ” del volo. Complimenti Anna. Brava. Brava. Brava.
Anna,
a mio modesto parere, il tuo racconto, apparentemente leggero e scanzonato, nasconde significati profondissimi.
Intanto, l’impostazione che hai dato, “da lite tra uomo e membro”, è davvero geniale: il lettore si disperde nel paradosso delle circostanze, rimbalzando tra le scuse mosce di Roberto e le pretese, quasi da grillo parlante, del suo “uccello”.
In tutto questo, tra una risata ed un volo di uccelli (quelli veri :-)) si insinua una morale favolosa: fai sempre ciò che più ti rende felice o morirai prima del tempo.
Per me è un racconto fantastico.
Bravissima.
Fantastico Anna! Solo una donna poteva scrivere questo racconto! ironico e divertente. Ovviamente impossibile per un uomo arrivare a tali vette di autoironia su un tema così delicato. Bravissima per lo stile narrativo e l’eleganza con la quale lo hai trattato.
Fantastico Anna! Un vero inno alla libertà. Si legge che è un piacere, divertente e leggero come un volo, e insieme profondo grazie alla tua capacità di esprimere autentica ironia
Ciao Anna, uno splendido invito alla leggerezza intesa come liberazione dalla costrizione del quotidiano che uccide fantasia e gioia di vivere. Grazie anche dei sorrisi, perché leggendo non si può fare a meno di farli!
Anna, anche questo un gran racconto con carattere, dell’autrice intendo. Ma come ti è venuto in mente?! Ok ok, non lo voglio sapere…
Solamente mi aspettavo che partissero un paio di biglie rotanti all’ennesimo rifiuto della moglie, che si prende anche lei la sua bella stilettata, giusto, Anna?!
Leggendo il tuo racconto ho volato anch’io sopra i tetti e i monumenti di questo imaginifico meraviglioso cielo barocco di Roma
Arrivato a “pensò di fare una denuncia di smarrimento” sono scoppiato a ridere… Brava Anna, bello davvero!
Veramente particolare questo racconto. Penso tu abbia raccontato quello che provano molti uomini ad un certo punto della vita. Il viaggio surreale è sorprendente come anche il finale.
Brava davvero.
Geniale, soprattutto perché scritto da una donna, che riesce ad immedesimarsi nella fisicità di un uomo, senza perdere eleganza e leggerezza. Una lettura divertente, e un campanello d’allarme per chi si lascia appassire nella routine quotidiana..
Anna, che dire? La capacità che hai di far vedere le cose da un altro punto di vista è meravigliosa. Così mi sono resa conto solo ora che i due tipi appesi fuori dalla mia finestra stanno pulendo i vetri e non volando, o forse no?