Premio Racconti nella Rete 2017 “Le simpatiche avventure ospedaliere di Angelo Della Morte” di Vincenzo Letizia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Non avevo idea di come potesse essere la visita alle corde vocali e tanto meno che esistesse una visita alle
corde vocali. Fino a quel momento c’erano stati esami del sangue, radiografie e la prova di sforzo su una
specie di cyclette in compagnia di una dottoressa dai capelli corti e dalle tette enormi che cercava di
incitarmi a fare enormi respiri, questa poi ve la racconto un’altra volta. No, quella volta dovevo operarmi ai
polmoni, in una clinica a Napoli, e fu durante il secondoo terzo giorno di ricovero che un infermiere, un tipo
giovane con un ciuffo gelatinato e un enorme brillante all’orecchio sinistro, entrò in stanza dicendo:
-Angelo…Della…Della Marte?
-Della Morte! Mi chiamo Angelo Della Morte – dissi.
– Ah, questo mi dispiace – e notai che la sua mano aleggiava timida attorno al basso ventre per palparsi,
cercando di eseguire il famoso gesto scaramantico, ma non lo fece forse perché lo fissavo troppo e si
sentiva a disagio.
– Vieni, ti accompagno per la visita alle corde vocali!– concluse.
Insieme lasciammo il reparto, io indossavo un pigiama blu scuro a quadri. Ho sempre odiato indossare il
pigiama in ospedale. I primi giorni che scendevo dopo pranzo a prendermi il caffè al bar con l’intento di
distrarmi, lo toglievo e subito mi infilavo una felpa e dei jeans che avevo sempre pronti nell’armadietto in
stanza. Puntualmente al mio ritorno l’infermiere di turno mi dava addosso per essermelo tolto.
-Deve avere sempre il pigiama addosso – diceva.
Tornando a noi, eravamo davanti l’ascensore, l’infermiere premette il tasto e nel frattempo volse uno
sguardo alla mia cartella
– Ti devi operare ai polmoni? – fece lui.
– SI- risposi io.
-E bravo – replicò lui.
Meglio che non descrivo la mia smorfia. L’ascensore ci metteva più del previsto e noi eravamo li a guardarci
intorno.
– Ma quanto ci vuole? – disse l’infermiere, insistendo nel premere il tasto fino a quando non si accorse che
lampeggiava ed esclamò:
– No! Si è bloccato un’altra volta, guagliò ci tocca salire per le scale –
– Pure. Quanti piani sono? – dissi.
– Solo tre –
-Bene! – esclamai.
Giunti con affanno davanti la stanza del medico, l’infermiere diede due colpi alla porta, qualche secondo e
mi fece entrare. Ricordo che il medico avevo un viso paffuto, occhiali piccoli e tondi e se la rideva tra una
chiacchiera e l’altra con un tizio senza camice, forse un collega fuori orario. Prese la mia cartella clinica e
iniziò a leggerla. Io, in piedi scrutavo la stanza. Era molto piccola con le pareti di un verde chiaro che
davano un senso di consumato.
-Allora Angelo Della….Della Morte? Ma è il tuo nome d’arte? – disse il medico ridendo e scambiandosi uno
sguardo con l’altro tizio che continuava a ridere sotto i baffi.
– Non proprio – risposi.
-Va be, vediamo un po’ queste corde vocali – continuò.
Così mi fece sedere su di una sedia e lui fece lo stesso piazzandosi giusto di fronte a me. Tra le mani aveva
un tubicino lungo poco meno di mezzo metro. Allora cosa feci secondo voi? La prima cosa che mi passò per
la testa, spalancai la bocca. Non avevo proprio capito niente.
– Che fai? No, chiudi la bocca, stai fermo cosi ci vorrà poco – disse il medico.
Ed ecco che mi infilò il tubicino su per il naso anche con una certa irruenza devo dire che mai avrei creduto
sarebbe entrato tutto intero. Il fastidio era incredibile come il forte prurito che d’improvviso ti colpisce al
piede mentre passeggi per strada, e ti viene voglia di toglierti la scarpa ma non puoi. Immaginate un
fastidio del genere nella parte interna del naso, che non potresti mai grattarti. La mia testa ondeggiava
ogni volta che il medico si fermava per scrutareda uno schermo poggiato sulla scrivania, l’interno del mio
condotto respiratorio. Si perché all’estremità del tubicino c’era piazzata una minuscola telecamera, tipo
esplorando il corpo umano. Il problema peròsorse quando, ad un certo punto dissi, con una voce mai così
nasale:
– Devo starnutire –
-Trattieni, trattieni – rispose il medico – Abbiamo finito.
Avevamo finito davvero, ma non appena il tubicino mi fuoriuscì dal naso, lasciai partire uno di quei starnuti
colmi di violenza, tipo quelli che fanno finta di uscire una volta, due volte e la terza è tutto il corpo che
spara fuori a mo’ di idrante qualsiasi forma di liquido corporeo. Spruzzai tanto di quel muco da innaffiare
sia il medico che il tizio con cui se la rideva poco prima, appoggiato all’altra estremità della stanza. Con le
mani a contenere il moccio che colava, chiesi gentilmente un fazzoletto e dopo essermi fatto una bella
soffiata, salutai il medico e l’altro tizio, la quale sembrava gli fosse passata la voglia di ridere, e usci dalla
stanza. L’infermiere, che stava aspettando in corridoio, mi diede la cartella clinica consigliandomi di tornare
in reparto. Percorsi il corridoio per raggiungere le scale e vidi l’ascensore aprirsi di scatto e dal suo interno
uscire un uomo ed una donna. Approfittai del momento, entrai e nell’attimo in cui stavo per scegliere il
piano da premere sentii una voce rauca che mi urlava:
-Giovanotto –
Dal fondo del corridoio un vecchietto non molto alto, incurvato, con un riporto di capelli estremamente
bianchi, mi segnalava di aspettarlo agitando il bastone. Spinsi il tasto per bloccare le porte ed aspettai il
vecchietto che, con tutta calma, entrò dicendomi:
-Grazie giovanotto –
-Prego- replicai e spinsi il tasto per il primo piano. Dopo qualche secondo, l’ascensore si bloccò, ma non fu
quello il problema o meglio non il principale problema. Sarà stata la paura o qualcos’altro, ad un certo
punto, nel più religioso silenzio, il caro vecchietto sprigionò un bel peto, di quelli potenti, potentissimi,
tanto che in pochi secondi infestò l’ascensore, tipo camera a gas. Appena iniziai a sentire la puzza, gli
lanciai immediatamente un’occhiata accusatoria. Lui si accorse di essere stato scoperto e con fiera
naturalezza, disse – Colite-.
Il tanfo diventò sempre più intenso, tanto da sostituire a poco a poco l’aria respirabile. Lo sguardo
incominciò ad appannarsi. Osservavo il vecchio che restava fermo con il sorriso ancora stampato, come se
fosse abituato a tale sofferenza. Intanto le gambe iniziarono a cedere, la testa si appesantì. Lui continuava a
sorridere. Io stavo per crollare, stavo per svenire. Ancora un po’ e sarebbe stata la fine. Poi l’ascensore si
mosse e le porte si aprirono. Dio grazie. Ricordo che uscii fuori sbattendo per aria le poche persone che mi
stavano davanti e corsi via per l’immenso desiderio di respirare aria pulita.
Quando i miei sensi iniziarono a riprendersi, mi accorsi di essere casualmente finito nella sala di aspetto del
reparto di neurologia. Dalla finestra della sala, si scorgeva l’intero giardino della clinica e una piccola fetta di
Napoli.Senza alcun motivo preciso, nella mia mente, iniziarono a spuntare una serie di riflessioni e paure.
Incominciai a riflettere su ciò che mi aspettava di arduonei giorni futuri, come una valanga che sai dovrà
cadere prima o poi. Pensai all’operazione, alla convalescenza prima in ospedale poi a casa, al dolore fisico
mischiato alla tristezza dei momenti in cui ti chiedi, perché è successo a me. Al tempo. Al tempo perso nel
ritornare a fare i controlli di routine ogni settimana. Per non parlare del farmaco che già sapevoavrei
dovuto assumere e che sicuramente mi avrebbe causato effetti collaterali di svariato tipo. E in fine, ma non
meno importante, la morte. La famosa presenza eterna a cui non dai importanza finché non ti capita un
brutto incidente, o ti muore una persona cara o, come nel mio caso, ti diagnosticano un tumore maligno. E
allora inizi a sognartela, a sentirla dietro di te che ti segue e quando sei in totale solitudine, hai la
sensazione che ti stia sussurrando qualche porcata da fare insieme. Lo sconforto mi aveva catturato, legato
mani e piedi, e mi stava prendendo a calci nei testicoli. Poi, la mia attenzione venne rapita da unrumore
stridente di una ruota che girava. Mi voltai e vidi un infermiere alto, brizzolato con le guance scavate che
spingeva una sedia a rotelle. Seduta c’era una bambina, avrà avuto non più di cinque o sei anni. Tra le mani
agitava un orsacchiotto a macchie bianche e nere e sorrideva mentre lo faceva. Sorrideva, nonostante
avesse la testa completamente rasata per via di una cicatrice che le divideva il capo esattamente in due
parti. L’infermiere la spinse fino alle porte dell’ascensore. Quell’immagine, con la stessa velocità in cui
comparve, cambiò profondamente ogni mio timore. A cosa pensai? Ecco un’altra lezione di vita da malato
ufficiale qualeero: la sofferenza ha diverse forme per ognuno di noi. Quando pensi di vivere il momento più
oscuro della tua vita, maledicendo Dio, il destino o qualunque entità superiore per quello che ti sta
accadendo, non dimenticarti mai che c’è qualcun altro, magari non troppo distante, che a differenza tua,
nell’oscurità trova la forza di sorridere.
Il signor Angelo della Morte è un personaggio che riesce a farti ridere per tutto il racconto e poi, alla fine, è capace anche di farti commuovere. Mi è piaciuto, complimenti!
Vincenzo,
di rado mi è capitato di leggere un cambio di registro impeccabile, quasi geometrico, sia sotto il profilo contenutistico che stilistico, come quello contenuto nel tuo racconto.
Fino a metà risate a crepapelle, che poi si affievoliscono per lasciare il passo alla riflessione ed al nudo impatto con la realtà.
Se far ridere è difficile, riuscire in poche righe a far anche pensare é quasi proibitivo.
E tu ci sei riuscito.
Complimenti!
Vincenzo, avevo letto, ma non commentato. Il racconto però mi era piaciuto, anche se l’ho trovato un po’ difficile da ‘digerire’. Efficace il cambio di registro: mi ha fatto pensare a Pirandello quando parla dell’ “erma bifronte,che ride per una faccia del pianto della faccia opposta”.
Il titolo mi aveva un poco ingannato lo riconosco. La chiave ironica sembrava troppo dichiarata ma ora che l’ho letto voglio complimentarmi con te Vincenzo per la bravura acrobatica che hai dimostrato. Il racconto contiene un salto …mortale che lascia stupefatti. Non mi riferisco tanto alla morale della storia quanto al gesto di tecnica letteraria, che ho trovato sopraffino. Complimenti davvero 🙂