Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “L’abbandono” di Serena Scicolone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Dovrei rassegnarmi, lo so. Per quanto mi sforzi, tuttavia, non ci riesco. Ogni tentativo si è rivelato vano, privo di un reale sviluppo positivo. Ho cercato di accettare l’idea che anche a me, forse, sarà data la possibilità di ricominciare, di conoscere altre persone, di stringere nuovi legami capaci di spezzare le catene della monotonia che, ormai da troppo tempo, mi stringono così fortemente da togliermi il fiato, così assiduamente da annullare il respiro vitale necessario per andare avanti. Eppure non ci riesco. Come posso tollerare che lui se ne vada e che io sia stata solo una parentesi priva di reale significato?

Non sopporto il pensiero che la sua vita possa continuare anche senza di me, che io non sia essenziale come ho sempre sperato. Nonostante la monotonia, infatti, lui rimane per me insostituibile. Sono cresciuta grazie a lui, sono cambiata con lui, sono persino invecchiata con lui. Non può andarsene, decidere irrevocabilmente di lasciarmi sola, di abbandonarmi di punto in bianco senza alcun rimorso.

Il nostro incontro fu casuale, come tutti gli avvenimenti che scombussolano la vita. All’inizio non ci fu molto feeling. Provai quasi una certa antipatia nei suoi confronti per via di quell’umore costantemente angosciato che lo caratterizzava. Per mesi non mi fu possibile vedere un sorriso, anche solo accennato, sul suo volto.

Quegli occhi neri rivelavano la frustrazione di un uomo tormentato da un passato dal quale, con tutte le sue forze, tentava di scappare. Aveva amato una donna con un amore paragonabile a quello dei grandi romanzi. Aveva avuto da lei due bambini che, ogni giorno, gli ricordavano, con i loro occhi azzurri, lo sguardo della madre.

Quando lo conobbi, lei non c’era più. Il destino aveva deciso di separarli per sempre. In una notte di Settembre un terribile incidente l’aveva definitivamente allontanata dalla vita. Il dolore rischiò di uccidere anche Eduard. Ogni cosa le ricordava lei a tal punto che il suo pensiero divenne quasi una morsa mortale. Decise allora di cambiare città, solo così forse sarebbe riuscito a voltare pagina, ad andare avanti per quei figli per i quali sarebbe stato ingiusto sommare alla perdita della madre anche quella del padre. Non gli fu facile, però, adattarsi a quella nuova vita fatta di luoghi sconosciuti nei quali il dolce fantasma della moglie continuava a tormentarlo.

All’inizio io gli fui completamente indifferente lo so, ma come avrei potuto pensare di attirare lo sguardo gettato da quegli occhi rivolti al passato?! Con il tempo, però, le cose cambiarono. La sua tristezza iniziò pian piano a essere anche la mia e così nacque dal comune dolore un inspiegabile legame. I suoi figli, quelle due tremende e amorevoli pesti, divennero anche figli miei. Gli diedi tutto l’affetto, tutto l’amore che ero in grado di dare. Diventai per loro il porto sicuro nel quale rifugiarsi, riuscii a rendere meno terribile il distacco dalla madre. Sapevo che non potevo sostituirmi a lei, che non potevo reggere il suo confronto ma mi illusi di diventare fondamentale per la loro serenità, dato che la felicità era ormai irrimediabilmente distrutta. Mi sembrò che Eduard mi fosse ogni giorno più riconoscente e che il nostro legame si rafforzasse a ogni istante trascorso insieme. Diventammo così una cosa sola, tasselli di un puzzle che poteva finalmente essere definito “famiglia”.

Pensai che le nostre esistenze fossero saldate l’una all’altra e che niente e nessuno avrebbe mai potuto distruggere quella intima unione. Mi sbagliavo, e di grosso. Il tempo si diverte a rimettere insieme i pezzi per poi sparpagliarli in un attimo. Eduard cominciò a non essere più soddisfatto del lavoro trovato in città e questa insoddisfazione si tradusse presto in insofferenza nei miei confronti. Non gli andava più bene nulla di me. Ogni giorno trovava un motivo per umiliarmi, per lamentarsi di ciò che io non possedevo. Capii che non gli bastavo più ma sperai con tutta me stessa che ciò che fino ad allora ci aveva uniti non gli avrebbe permesso di sostituirmi così facilmente. Mi illusi che lo stesso destino che ci aveva casualmente fatti incontrare ci stava ora mettendo alla prova ma che noi non avremmo ceduto.

Adesso so che non è così. Ha deciso di andare via. Non rivedrò più i suoi occhi neri, non sentirò più la sua voce, non potrò più vedere i ragazzi che corrono ad abbracciarlo quando torna dal lavoro. Ciò che più mi fa soffrire è la maniera pacata e disinvolta con cui, una domenica mattina, guardandomi attentamente ha sentenziato “Non vai più bene”. Ho capito subito che nella sua mente c’era già un’altra alternativa.

Ho immaginato il suo sguardo mentre guardava l’altra, bella, appariscente e capace di portarlo per sempre via da me. Avrei voluto gridargli che non poteva farlo, che non poteva lasciarmi dopo tutto quello che gli avevo dato, dopo tutto ciò che gli avevo permesso di farmi. Mi parve di crollare al suono delle sue fredde parole. I ragazzi provarono a dire qualcosa di carino nei miei confronti, a convincere Eduard che, forse, con qualche ritocchino anche io sarei diventata bella come quell’altra. Anche le loro parole mi fecero male ma le accettai, sapevo che il tempo lascia i suoi segni e mi aggrappai alla speranza che ci fosse ancora qualche possibilità per restare insieme. Avrei accettato qualunque tipo di intervento pur di guadagnarmi di nuovo la loro stima, pur di sentire il loro calore avvolgermi. Eduard, però, non ne ha voluto sapere. Irreprensibile e testardo come sempre ha continuato a sostenere le sue motivazioni e ha convinto i ragazzi di avere ragione. Non sono più niente per loro. Sarò l’unica a soffrire.

È notte fonda ed è l’ultima notte insieme. Gli scatoloni sono già pronti e domani mattina, in poco tempo, sarò privata di ogni cosa. Mi sento già vuota. I ragazzi dormono tranquilli, Eduard, invece, continua a rigirarsi nervosamente nel letto. Credo riesca a percepire la mia rabbia. Chissà, magari potrebbe ancora cambiare idea, capire che siamo fatti per stare insieme. Le lancette dell’orologio si muovono lentamente, il silenzio è pesante e insostenibile.

Pian piano, dalle finestre entra un fascio di luce che annuncia l’arrivo del terribile giorno. Il momento di vederli andare via è arrivato. Senza alcun rispetto nei confronti della mia sofferenza e della solitudine che, inevitabilmente, mi accingo ad affrontare, la mia famiglia prepara entusiasta gli ultimi bagagli. In pochissimo tempo i ragazzi sono pronti. Spalancano la porta e corrono via felici. Dietro di loro, Eduard, sembra esitare un attimo. Si volta e getta un ultimo sguardo su di me. Poggia la mano sulla porta e accenna un gesto che sembra quasi una carezza. Al suo tocco, scricchiolo.

Un istante dopo, le mandate provenienti dall’esterno mi convincono che non c’è più alcuna speranza. Sarò fredda e vuota. Chissà per quanto tempo non sentirò più alcuna parola riecheggiare dentro di me. Sto cadendo a pezzi…

Caro Eduard, se un giorno, passando da queste parti, al posto delle alte mura e del bel giardino scorgerai solo macerie, sappi che sei stato tu, con il tuo abbandono, a causare il mio definitivo crollo.

Siete voi umani ad avere il cuore di pietra.

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24 commenti »

  1. Lo trovo bellissimo

  2. Serena,

    sarà che una volta ho provato a misurarmi anche io con un racconto simile, ma adoro le voci narranti “inanimate”, che, come a ragion veduta esponi, molto spesso sembrano avere più sensibilità degli esseri umani.

    La tua, poi, è una voce calda e suadente, tenera e premurosa, fiera nonostante l’abbandono, grazie ad una prosa elaborata e fine; pare di sentirne rimbombare l’eco tra le stanze della casa.

    Bello, toccante e strutturalmente ineccepibile.

    Bravissima.

  3. wow che finale, ammetto che mi ha sorpreso! complimenti per l’idea e per lo stile di scrittura!

  4. Serena, che bella scrittura fluida e pulita per raccontare una storia che nasconde risvolti dolorosi ma che si chiude con un promettente inizio.
    La tua “casa” andrebbe d’accordo con la mia “macchina” che per ora però ha solo l’ansia dell’abbandono.
    Mi complimento con il cuore… non di pietra però!

  5. Bellissimo. Fino alle ultime frasi si crede di aver a che fare con la solita storia un po’ banale di una donna innamorata e solo all’ultimo la rivelazione, che costringe a rileggere il testo chiedendosi come si è fatto a non capire che il soggetto scrivente è la casa, innamorata dei propri abitanti. Sei stata proprio brava nell’indirizzare l’interpretazione del testo nel senso da te voluto.

  6. Grazie Rosa Maria, il tuo è stato il primo commento, mi ha emozionato e incoraggiato.

    Lorenzo, che dire? Hai scritto un commento bellissimo. Grazie per l’acuta analisi del racconto e per i complimenti.

    Grazie anche a te, Granit! il mio intento era proprio quello di stupire il lettore alla fine del racconto.

    Infine, Marcella, grazie per il tuo simpaticissimo commento. Spero di averti convinta a non abbandonare la tua macchina! 😉

  7. Ti ringrazio tanto Annalisa. Hai intuito perfettamente il mio intento! Desideravo proprio dare l’idea di un racconto banale e già comprensibile fin dalle prime righe sperando che, solo alla fine, fosse in grado di “spiazzare” il lettore. Grazie mille!!

  8. L’abbandono è un racconto particolarmente piacevole con un’idea dentro, offerta con una prosa che unisce pulizia e suggestione. Mi è piaciuto molto, grazie!

  9. Grazie a te, Ugo!

  10. Serena, oltre al “gioco” dello scambio di prospettiva retto magistralmente fino alla fine, è bello intuire nel tuo racconto il legame tra “cose” e sentimenti e quanta parte di noi si “attacchi” ai luoghi, e alle “pietre” che non sono più tali ma diventano soggetti assestanti, appendici di ricordi, scenografie vive delle nostre esistenze.
    Bravissima nella costruzione e nella narrazione, agile matura e riflessiva

  11. Grazie Gianluca! Ho sempre pensato che il legame tra cose e persone, a volte, possa essere così forte da superare quello dei “legami umani”.

  12. Serena, sarà che anche secondo me le cose hanno un’anima, ma io avrei dato una possibilità a questa tua simpatica vecchia casa che hai descritto con tanta tenerezza! però sul cuore di pietra … non posso che darti ragione.

  13. Grazie mille per il tuo commento, Paola!

  14. Complimenti Serena! se il tuo intento era sorprendere il lettore con il finale, con me ci sei riuscita. Bellissima la frase conclusiva, direi una chiusura perfetta. Grazie e brava!

  15. Grazie a te, Chiara! Sono contenta che ti sia piaciuto.

  16. Brava Serena! Al “Non vai più bene” ho sobbalzato e ho continuato a borbottare contro il protagonista cosi’ insensibile da uscirsene con quella frase imperdonabile. Poi l’inatteso cambio di prospettiva che però non cambia la sostanza e la bella frase finale che chiude il cerchio.

  17. Grazie per il tuo commento, Marco!

  18. E’ un bel racconto.
    Bello lo stile elaborato con cui descrivi bene il rapporto tra la casa e i suoi abitanti.
    Ed è così, il luogo in cui abitiamo riflette bene i nostri ricordi, le nostre aspirazioni, è una parte di noi.
    Il finale sorprende e concludi con bravura.

  19. Grazie, Marisa!

  20. Mi hai sorpreso, in pochi ci riescono.
    Brava.

  21. Grazie Costantino!

  22. “Il tempo si diverte a rimettere insieme i pezzi per poi sparpagliarli in un attimo”, il tuo racconto mi ha ricordato un romanzo della Ferrante sullo stesso tema.Sei davvero brava.

  23. Grazie di cuore Anna Rosa, il tuo commento mi lusinga!

  24. In questo Premio sono presenti più racconti che hanno in comune la narrazione da un punto di vista inconsueto, che si svela o progressivamente o, come nel tuo caso, attraverso un finale a sorpresa. Un esperimento rischioso che, in mano a inesperti, sconfinerebbe facilmente nel “virtuosismo” fine a se stesso.
    E invece, in nessuno di questi casi sono rimasta delusa, anzi: il livello generale degli autori in concorso non finisce mai di impressionarmi.
    Il tuo racconto, Serena, gioca perfettamente sull’ambiguità della prospettiva, utilizzando il lessico con grande sapienza. Inoltre è condotto con grande abilità, e con toni di delicata malinconia. Il finale, poi, costringe il lettore (preso alla sprovvista) a rileggere e ripensare tutto, e non si può che rimanerne ammirati.
    Complimenti!

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