Premio Racconti nella Rete 2017 “Mia” di Miriana Pedron
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Invio distratta l’ennesimo curriculum, ormai ho perso le speranze. Ne ho spediti talmente tanti nell’ultimo mese che ho perso il conto e la cosa peggiore è che ancora non ho avuto risposta da nessuno.
Da quando ho scoperto che la compagnia di supermercati per cui lavoro chiuderà a fine mese mi sono lanciata in una ricerca disperata di un altro lavoro, è vero per qualche mese c’è la disoccupazione, ma poi?
- Mamma, mamma! –
La voce di Mia mi risveglia dai miei pensieri, lei l’amore della mia vita, la più inattesa e bella sorpresa che mi potesse mai capitare.
E’ per lei che vivo, che combatto ogni giorno contro questa società che ci toglie ogni momento di più la speranza di un futuro, la voglia di combattere per i nostri diritti, per quello che ci è dovuto.
Prendo in braccio la mia bambina, tre anni di energia esplosiva, la guardo negli occhi, quegli occhi grandi e verdi come quelli di suo padre, lo stesso padre che ha deciso di partire per chissà dove il giorno dopo aver scoperto la mia gravidanza.
- Mamma, mamma! Andiamo a giocare!-
E così mi trovo seduta per terra a bere del tè immaginario da delle carinissime tazzine fucsia di plastica e mentre guardo Mia le lacrime cominciano a scendere, rigandomi le guance.
Non faccio in tempo ad asciugarle che lei se ne accorge e corre da me, mi guarda di traverso con i suoi occhioni verdi e poi mi butta le braccia al collo e mi stringe forte.
- Mamma, mamma – mi dice – non era buono il tè?-
E stampandole un bacio in piena fronte le dico che il tè era buonissimo e di non fare caso a me.
Soddisfatta della mia risposta ritorna ai suoi giochi, ignara del vortice di pensieri che si stanno affollando nella mia mente. Come potrò fare se non trovo a breve un lavoro? Fatico ora, con uno stipendio pieno, ad arrivare e fine mese, tra bollette, spesa, macchina e chi più ne ha più ne metta. Fortunatamente mia madre è già in pensione e può tenere Mia quando non ci sono, almeno non devo pagare una babysitter, altrimenti non ce la farei.
Lo squillo del cellulare mi riporta alla realtà, rispondo senza controllare chi è.
- Pronto? –
- Signorina Conter? –
- Si, sono io. Con chi parlo? –
- Sono l’avvocato Maritozzi, rappresento il signor Mattia Rosati, la contatto perché il mio cliente vorrebbe avere un incontro con lei per parlare del riconoscimento della vostra bambina. –
Non posso crederci, è un incubo, ora mi risveglio. Sono più di tre anni che Mattia è sparito e ora è tornato e avanza pretese sulla mia bambina?
- Signorina è ancora lì? – La voce dell’avvocato nel telefono mi fa capire che non è un incubo, bensì che il giorno che avrei voluto non arrivasse mai è appena arrivato.
- Sì ci sono – gli dico. – Mi richiami la prossima settimana e ci accordiamo per l’incontro. –
Attacco senza attendere la risposta e in un attimo rivivo questi tre anni.
Lui è sparito e mi sono ritrovata a ventitré anni sola, incinta e senza lavoro. Ho dovuto lasciare l’università, trovarmi un impiego e un appartamento. I miei genitori mi avrebbero anche ospitata, ma pur volendo non c’era posto a sufficienza per una persona in più. Ed ora, ora che ero riuscita a superare tutto questo lui si presenta qui per portarmi via la mia bambina? Ora, che ho appena perso il lavoro e non ho i soldi per fare la spesa, figuriamoci per pagare un avvocato!
- Mamma, mamma! Chi era? – Lei, così piccola e pure sempre attenta. Lei, Mia.
La settimana seguente l’avvocato richiama e fissiamo l’incontro. Nel frattempo mi informo su quale sia la mia posizione in questa storia e alla preoccupazione per l’incontro e per il fatto che dovrò rivedere Mattia, si somma anche quella di non aver ancora trovato uno straccio di lavoro. E mi resta ancora solo una settimana al supermercato, poi con la fine del mese chiuderà i battenti, per venire presto demolito e trasformato in un mega parcheggio a pagamento.
Ed ecco inesorabilmente arrivare il giorno dell’incontro. Sono davanti alla porta dell’avvocato, incerta se entrare o scappare il più lontano possibile. Ma so di non avere scelta, quindi prendo il coraggio a due mani e suono il campanello. La porta si apre e appena entro mi trovo in un nuovissimo ufficio con tanto di segretaria (per non dire modella) alla reception. Mi accomodo in sala d’attesa e poco dopo vengo convocata nell’ufficio dell’avvocato.
- Buongiorno signorina Conter, vedo che è un po’ in anticipo, è un piacere conoscerla, gradisce qualcosa mentre aspettiamo Mattia? –
Non faccio in tempo a rispondere che la porta si apre e lui entra nell’ufficio. Sono immobile, non so cosa aspettarmi, sono anni che non lo vedo. Faccio un bel respiro e mi volto. Ed eccolo li, sorridente, con quegli occhi verdi da togliere il fiato, bello come solo lui sa essere.
- Ciao Melissa, da quanto tempo, ti trovo bene. –
- Ciao Mattia. – Non ho altro da dire al ragazzo che mi ha spezzato il cuore, e che nonostante tutto è ancora in grado di farmelo battere all’impazzata.
Cominciamo la riunione e acconsento al fatto che lui riconosca la bambina, ma che per intanto la possa vedere solo in mia presenza e secondo le mie regole. Lui non obbietta a nessuna delle mie richieste e inoltre mi ringrazia per la disponibilità. Concludiamo ed esco in fretta dall’ufficio, voglio andarmene prima che lui finisca di parlare con l’avvocato.
Mi fiondo di corsa verso la macchina e riesco a partire prima che riesca a raggiungermi.
Suonano alla porta, ho il cuore in gola.
- Mamma, mamma! Chi è? –
- Un amico. – le dico, ma so che dall’altra parte della porta c’è suo padre e che la vedrà per la prima volta.
Lui entra, la vede e noto nei suoi occhi lo stupore di chi vede per la prima volta se stesso in un’altra persona, mentre anche lei lo guarda, lo studia, cerca di capire se le va a genio oppure no.
E i giorni passano così, uno alla volta, mentre assisto alla nascita del legame tra mia figlia e suo padre. E così la sento sempre meno mia e sempre più nostra. Fino a quel maledetto giorno.
Sono passati all’incirca sei mesi dalla chiusura del supermercato e da quando Mattia e Mia si sono conosciuti e io non ho ancora trovato un lavoro e non ho più diritto al sussidio di disoccupazione. Raccolgo la posta e noto che c’è una lettera dell’avvocato Maritozzi. La apro e il mio mondo crolla in pezzi. Mattia ha chiesto l’affidamento esclusivo di Mia e io non ho i mezzi per combatterlo. Non posso credere che mi abbia fatto questo, dopo che l’ho fatto entrare nella nostra vita senza ostacolarlo in nessun modo.
Sfrutto tutte le possibilità che ho pur di lottare per la mia bambina, ma sono senza lavoro e non riesco più ad arrivare alla fine del mese, se non grazie all’aiuto dei miei genitori e ai pochi soldi che guadagno facendo pulizie in nero per qualche vicino.
Al giudice non basta tutto il mio impegno, Mattia ha un appartamento di proprietà e un lavoro stabile in una ditta, può prendersi cura di lei molto meglio di me. E così mi trovo ad assistere a una sentenza che accorda a Mattia l’affidamento esclusivo di Mia, la mia bambina, per la quale ho sacrificato tutto il possibile, per la quale darei la vita, la mia piccola Mia. Mia perché quando è nata non c’era un padre, c’eravamo solo io e lei ed ora lui me la sta portando via, come se io non avessi fatto nulla per questa piccola creatura.
- Mamma, mamma! Quando torni a trovarmi? –
- Torno presto amore mio, molto presto. –
E mentre me ne vado e la vedo correre sorridente tra le braccia di suo padre non posso che pensare che ogni giorno che passa la mia piccola Mia è sempre meno mia.
Miriana,
questo racconto mi ha fatto venire il groppo in gola; provo a spiegare il perché.
Prima cosa: il doppio senso tra il titolo ed il nome della bambina è meraviglioso; una certezza, l’unica rimasta alla protagonista, che via via si sgretola grazie alla tua prosa sciolta, che non fa concessioni.
L’amore di una madre, incondizionato ed infinito, che non serve a contrastare uno stato di fatto impietoso, che pare paramentrare il rapporto con una figlia sulla sola base delle sostanze econimiche che uno Stato, il nostro, come tutti sappiamo, ad oggi non è in grado di garantire a ciascun cittadino, nonostante i diritti costituzionalmente garantiti ed i bei discorsi dei galli da politica.
Ripenso a quei simil parassiti, scusatemi il termine, che da decenni stazionano su scrivanie vuote, capaci solo di lamentarsi per il basso stipendio e per non poter tornare a casa prima delle 18, senza comprendere la fortuna di poter godere di un lavoro fisso.
E onestamente rimango esterrefatto.
Grazie per aver dipinto un quadro così preciso e delicato di una delle piaghe della nostra società.
Complimenti.
E perdonami i refusi grammaticali nel commento, ma la tastiera del cellulare è spietata!!!
Struggente è dir poco e questo passa fra le maglie di una prosa che registra in maniera quasi imparziale, mi sembra con poche concessioni ai sentimenti. La mamma che racconta è lucida e la sua vicenda ha l’inesorabilità di molte fasi della vita. Un racconto che sa coinvolgere.
Grazie mille ad entrambi. Mi fa piacere che siate riusciti a cogliere così nel profondo il senso che volevo dare al mio racconto. Grazie ancora!
Che ingiustizia. A me piacciono i racconti che mi toccano il cuore e questo lo fa. Bravissima.
Grazie mille Dominique, è un onore per me sapere che il mio racconto sia riuscito a emozionare qualcuno!
Ciao Miriana, che piacere ritrovarti e rileggerti! ‘Mia’ è un po’ la storia di tante donne,avrebbe dovuto chiamarsi ‘Nostra’. Mi ha ricordato , chissà perché la Madama Butterfly, pensa un po’.Molto toccante, hai reso benissimo l’angoscia della povera madre, e la freddezza del padre, principe assoluto e spietato.Un bacino a Mia. Laura
Grazie mille Laura per il tuo commento. Purtroppo, come dici tu, è una storia condivisa da molte, per questo motivo ho scelto questo argomento per il mio racconto. Sono molto felice che questa mia scelta sia stata apprezzata.