Premio Racconti nella Rete 2017 “Il vaso dell’eroe” di Lino Addis
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Angelo lo aveva capito improvvisamente un giorno, guardando una puntata del suo telefilm preferito. Naturalmente era consapevole che le imprese del super eroe mostrate nella “fiction” erano appunto finzione, invenzione, fantasia, ma era troppo bello per non pensare che non ci fosse qualcosa di vero. “I balordi devono capire già dal tuo sguardo che TU li sconfiggerai perché TU sei dalla parte giusta”. Angelo ci stava rimuginando. Aveva 75 anni, era vedovo, pensionato, solo, un po’ sordo e con un po’ troppa artrite.
Nulla di diverso da milioni di altri vecchi esseri umani come lui. Coraggioso? Non particolarmente. Però onesto, quello si. Generoso, anche. Soprattutto quando vedeva un giovane buttato ad un angolo della strada, bianco, nero o celeste che fosse, chiedere l’elemosina o tentare di vendere le solite cianfrusaglie, gli si stringeva il cuore e cercava di fare sempre qualcosa in più di allungare qualche spicciolo. Spesso lasciava del cibo, magari un panino e una bottiglietta d’acqua. Piccole cose.
La zona dove abitava era una vera schifezza. Il palazzo di edilizia popolare di piazza dei Fornelli, nel quale occupava un appartamentino al settimo piano, faceva parte del quartiere soprannominato ironicamente “Lego”, a causa della forma giocosa delle varie costruzioni che un immaginifico architetto gli aveva dato e che si alternavano pedissequamente: un lego triangolare, uno rettangolare, uno quadrato e così via. Angelo non aveva più un auto da anni e inoltre il suo garage era stato abusivamente occupato, o forse sarebbe più corretto dire, prepotentemente occupato, da un balordo che abitava anche lui nel palazzo e che insieme ad una banda di suoi pari, aveva “requisito” le rimesse di buona parte degli inquilini, specie se anziani, per stivarci refurtiva, droga, armi e tutto quello che gli passava per la testa, senza ovviamente che nessuno protestasse.
Nei giardinetti adiacenti ai palazzi giocavano bambini e ragazzini di varie età che cominciavano molto presto a capire cos’era la legge della giungla. Angelo, quando rientrava dalle sue solitarie passeggiate o dal market con le buste della spesa, spesso assisteva a veri e propri piccoli drammi: bulletti adolescenti che angariavano bambini più piccoli ai quali portavano via merende, spiccioli e giochi vari. Piccoli delinquenti che alzavano le mani per niente e spesso il risultato delle varie zuffe, erano bernoccoli e occhi neri. Angelo però non rinunciava mai a intervenire: “Ehi! Smettetela! Non vi vergognate?! Prendervela così con i più piccoli!… “Vaffanculo nonno!” era il commento più frequente di quei ragazzacci già persi, seguito da sghignazzate e parolacce irripetibili e, più di qualche volta, anche dal lancio di oggetti di varia natura che lo costringevano a rapide ritirate nell’androne del palazzo, con il cuore in gola.
Un giorno, “quel” giorno, ad Angelo nel tornare a casa dopo una passeggiatina prima di cena, cadde di mano il mazzo con tutte le chiavi che precipitò attraverso una grata, nel buio tunnel dei garage, nel quale non metteva più piede da tempo immemorabile. “Accidenti!” pensò.” E adesso chi ci va laggiù?!” Angelo si passò la lingua sulle labbra improvvisamente aride. Poi si decise e guardandosi attorno, si avviò verso la tromba delle scale che portavano nel sottosuolo. Schiacciò il pulsante di accensione della luce che non si accese e si rassegnò a scendere saggiando con prudenza gli scalini con le ciabattaccie di plastica che utilizzava per le sue brevi passeggiate. Giunto nel tunnel, dove anche lì non c’era un solo neon funzionante, si accontentò della poca luce del pomeriggio inoltrato che penetrava laggiù, per vedere dove mettere i piedi. Angelo vide subito il mazzo per terra e lo raccolse. Poi tornò sui suoi passi e fu allora che sentì un gemito.
Una sciabolata gelida gli percorse la schiena facendogli affrettare il passo ma poi, giunto alle scale, tirò dritto. Pensò al suo eroe. “Bisogna essere decisi!”. E subito dopo pensò “ma dove cavolo stai andando!” Poi il gemito fu ancora più forte. Arrivò alla svolta nel tunnel successivo dal quale proveniva un lieve chiarore. Si sporse appena e vide. Due loschi spaventapasseri vestiti di nero tenevano schiacciato al muro reggendolo per le braccia un disgraziato con le mani legate dietro alla schiena e la bocca completamente coperta con del nastro adesivo grigio, mentre il balordo principale del palazzo affondava a più riprese un coltello nella sua pancia, rigirandolo con crudele lentezza e il poveraccio rantolava ormai moribondo. Angelo sentì un formicolio caldo salirgli nel petto e per un istante la vista gli si annebbiò. Poi improvvisamente si girò, si levò le ciabatte e cominciò a camminare badando a non fare il benché minimo rumore, con i calzini bianchi che via via diventavano sempre più neri per la sporcizia che c’era sul pavimento. Salì le scale in apnea e superato il portone, aperto con una tale tremarella da non riuscire quasi a centrare la toppa, prese l’ascensore e raggiunse l’appartamento chiudendosi dentro.
Quindi, afferrato il telefono si lasciò cadere su una sdrucita poltrona del salotto. “112”? Raccontò d’un fiato tutto quello che aveva visto per filo e per segno e il militare dall’altra parte del filo gli raccomandò più volte di non uscire dal suo appartamento ed aspettare l’intervento dei suoi colleghi. Si sentiva eccitato. Ebbe un’intuizione. E se scappano prima che arrivino i carabinieri? Andò sul terrazzino della cucina. Da quando era morta Clara, la moglie, non si era più occupato di fiori. Non gli interessavano più. A testimoniare l’amore per le piante della moglie, era rimasto un colossale vaso di coccio con la terra ancora dentro e due stecchi avvizziti che forse una volta erano stati una pianta. Si affacciò e nel cortiletto sottostante vide l’auto dell’assassino fare manovra. Angelo fece lo sguardo cattivo. Abbrancò il vaso e ansimando per lo sforzo lo appoggiò prima sul parapetto e poi lo lasciò andare. Venticinque metri di volo. Il vaso centrò il parabrezza dell’Alfa Romeo 159 di Pasquale Colomba, detto “Buone feste”, con un effetto da bomba d’aereo. Pezzi di vaso e zolle di terra secca si proiettarono come schegge impazzite nell’abitacolo dell’auto investendo in pieno il balordo e i suoi due complici.
Furono trovati così, tramortiti, dopo qualche minuto dai carabinieri che erano intervenuti in forze. Nell’abitacolo fu trovato anche il coltello sporco di sangue che era servito per terminare l’infelice esistenza di un piccolo balordo trovato morto nel tunnel dei garage, in una pozza di sangue, che si era messo in mezzo ai traffici di chi era più feroce di lui. Il giorno dopo, Angelo era in una casa famiglia dove l’avevano provvisoriamente collocato per tutelarne l’incolumità. Verso sera chiese di vedere la televisione. C’era il suo telefilm preferito. Lo guardò però con occhi diversi. Aveva un sorriso stampato sulla faccia che non accennava a spegnersi e guardava compiaciuto le immagini del suo eroe sentendosi però come dire, collega, si collega. Ma vero però.
Bravo! Angelo è un bellissimo e umanissimo personaggio, raccontato con empatia. Va da se che la storia ha tanti riferimenti alla realtà contemporanea, al degrado, all’ambiente urbano, alle diverse solitudini di molti fra loro molto diversi… ma questo è lo scenario. Il coraggio ( anche di vivere ) è il vero protagonista.
Grazie Ugo Mauthe. Mi fa molto piacere che siano stati apprezzati i vari elementi di umanità dolente concentrati nel racconto. Terrò inoltre caro il Suo commento perchè è il primo che ho ricevuto da un “collega” che non conosco sul web.
Anche a me è piaciuto molto il tuo personaggio. In particolare la voglia che traspare di aiutare il prossimo a scapito di quello che potrebbe succedere a lui stesso. Bello!
Grazie Miriana Pedron. Mi fa piacere tu abbia apprezzato l’umanità del personaggio e della situazione. Sei il mio secondo recensore in assoluto!.
Bella storia, coinvolgente, vivace e realistica.. grazie!
Grazie a te Chiara Capelli!
Che spasso l’anziano vigilantes! grazie mille per il calore umano che mi trasmesso la tua storia!
Grazie a te Marco Partito. Mi fa veramente piacere che tu abbia apprezzato l’umanità del personaggio.
Marco Patrito scusa se ho involontariamente sbagliato il tuo cognome ma occhiali e smartphone talvolta non vanno proprio d’accordo!
Bello! Mi piace questo eroe improbabile. Complimenti.