Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Un gran giorno per morire” di Fabio Sommella

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Sono perseguitato dagli errori! Non so se si può parlare di una forma di “dislessia fisio-anatomica” (probabilmente si), ma gli errori minacciano la mia incolumità fisica e, conseguentemente, psicologica ormai di continuo, quotidianamente.

Stamane, e per fortuna non erano presenti i miei famigliari, me ne sono capitate delle belle!

Salgo sul treno, affollato come sovente accade, e procedendo lentamente tra i pendolari assiepati alle porte, scendo i due gradini dello scompartimento inferiore. Scorgo un posto libero di fianco al finestrino e chiedo permesso. Porgo la dovuta attenzione al consueto gradino “di risalita” (i dislivelli sono fonte di guai!), che ho imparato esser presente in queste vetture, cercando di ovviare all’effetto del riverbero che mi offusca la vista; ma, naturalmente, trascuro il soffitto basso e l’infisso in alto del portabagagli superiore a cui, inavvertitamente, urto la testa!

Avverto tuttavia la botta! Poco male, mi dico: imprecando garbatamente mi siedo al posto a cui gli altri tre passeggeri nel frattempo mi han fatto gentilmente accedere, con la giovane donna che forse commenta tra sé e sé la scena (ma sta parlando con l’auricolare al telefono, pertanto forse la medesima non è risultata tanto ridicola, chissà!).

Giunto a destinazione, mi approssimo all’uscita, ancora assiepato tra la folla che scende. Percorro il marciapiede e penso sia meglio, nel frattempo, estrarre il tesserino della navetta, che ci aspetta poco distante. Naturalmente il riverbero del sole mi impedisce di scorgere la persona in giacca e cravatta che, “controcorrente”, mi viene incontro; ci urtiamo leggermente e, automaticamente, mormoro un “Mi scusi!”, perché in effetti poteva scusarsi pure lui, visto che, sicuramente, ci vede meglio di me; ma che ne sa e che ne so io?

Poco male anche questo. Così riprendo il cammino: scendo con accortezza le scale e prendo a percorrere i trecento metri che ci separano dal bus aziendale; ma il percorso, si sa, è per gente dalla vista aguzza. Terreno accidentato, di qua e di là è privo di un marciapiede, transitato da auto, riserva “spuntoni” vari, sollevamenti imprevisti del suolo. Così, neanche a farlo apposta, inciampo proprio in uno di questi, con la punta del piede sinistro.

Impreco nuovamente, voltandomi indietro e osservando, ora controluce, l’autore del misfatto: sporge come un piccolo cocuzzolo dall’asfalto, una mini-collinetta traditrice che tende inganni e cattive sorprese a pedoni come me, così incauti. Chissà se qualcuno ha osservato: chissà il ridicolo o la pena: “Che scemo, quello!”, “Poveraccio!”, “Ma come è distratto!” … Eh: te la darei io la distrazione, con questi occhi, e non posso nemmeno augurarti di trovarti nella medesima situazione.

Senza eccedere nel passo, giungo alla navetta in sosta poco lontano: intanto mi ero detto che non devo correre però, aggiungo sorridendomi, come si fa a non correre essendo comunque pressato da un mondo che ti chiede di spostarti continuamente mentre sai che, col tuo pensiero, sposteresti volentieri il mondo pur rimanendo fermo?

Salgo infine sulla navetta: mostro il badge aziendale al conducente. È affollata anch’essa (è quella delle nove e poco più) e dopo tre-quattro file di posti decido di infilarmi nel posto libero alla mia destra, sedile di centro, essendo già occupato da un collega quello di fianco al finestrino. Mi sto sedendo ma, evidentemente, l’intervallo temporale tra me e il collega che mi segue è davvero minimo: infatti non ho ancora messo completamente le “gambe dentro” che questi, senza neanche accennare a un rallentamento,  mi urta malamente. Si sa: ormai si entra nei posti degli autobus come su una catena di montaggio, come i meccanismi di una cremagliera, come la catena polipeptidica sui ribosomi citoplasmatici: rallentare, o addirittura fermarsi, badando a chi ti precede è un optional desueto e impraticabile.

Ti chiedi, in una frazione di secondo, di chi sia la responsabilità; poco male: ti scusi col collega che sorride e si scusa a sua volta, asserendo che la colpa è sua. Colpa sua, colpa mia, quale distinguo superfluo e inutile. Certo: la fretta è cattiva consigliera, così come lo sono la riduzione della vista e i più ampi problemi agli occhi, l’angoscia del vivere, l’ignorare i deficit altrui, il non valorizzare  le altrui qualità, il vivere in un mondo che indica come unico valore, fino a persuadere la moltitudine, il guadagno economico, un mondo che ritiene l’unica forma di economia possibile quella finanziaria e monetaria, economia a cui tu non credi più e forse non hai mai creduto davvero, neanche a vent’anni!

Ma … amen: scendi dalla navetta attraversando i viali interni del comprensorio: oggi è un altro giorno e seppure, mentre prendi l’ascensore e chiedi “Che piano?”, parli a nessuno (visto che la persona che aspettava con te non è salita e a te invece sembrava di si), fuori hai avvertito il sole estivo, l’aria calda, il cielo azzurro e ti senti come il nonno indiano di Jack Crabb, il Mulattiere, che dice a sé stesso: “Oggi è un gran giorno per morire!”.

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1 commento »

  1. Delicato ed efficace. Complimenti.

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