Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “La serranda” di Paolo Carburi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Mia madre oggi ha fatto i nidi di rondine e io sono a correre nel parco dietro casa come un ebete, con l’idea che questo potrà farmi sentire meno in colpa quando a casa mi affogherò nella besciamella.

Il parco “San Teodosio” pullula di gente professionista del sudore, donne e uomini convinti che dietro lo sport e lo sforzo fisico ci sia il segreto della bellezza e del successo sentimentale. Io, invece, sembro uscito dagli anni ’80: mio padre ha insistito che mettessi dei polsini che le poste gli regalarono 30 anni fa in occasione di un Natale, evidentemente, assai triste. Cosa io abbia fatto di male per meritarmi tutto questo ancora non lo so.

Sto per terminare finalmente i miei 25 minuti di corsa che mi apriranno le porte al vero motivo di questa mia discesa in campo ossia le 30 uova confezionate a nidi di rondine alle 7 del mattino da mia madre. Sono passati 22 minuti quando si materializzano, sul mio percorso, dieci panchine vuote che mi fanno convincere che sì, può bastare. Per cui mi seggo e con la mia tipica gobba da topo da museo mi riposo guardando il mondo che fatica intorno a me.

Mentre contemplo il nulla, il mio occhio pigro decide di notare una cosa che, quello buono, non aveva notato: una ragazza bella, alta e coi capelli rossi. Se ne sta in disparte, appoggiata su una spalla ad una pianta col cellulare in mano. In un attimo l’illuminazione, non ho dubbi: è la tipa che è venuta al museo domenica scorsa. L’avevo tenuta d’occhio per tutta la visita, le avevo dedicato tutte le mie attenzioni e lei, sul finale, mi aveva sorriso dicendomi che era stata benissimo e che io ero veramente bravo a raccontare quelle cose sulla storia. Un’infatuazione immediata.

E adesso s’innesta all’istante una diatriba tra il cuore che chiede d’incontrarla e le gambe che parlano direttamente al centro di comando, il cervello: “Ma che, fai davvero?”.

Non passano più di due secondi che, incurante del mio stato poco virile, decido di alzarmi e di andarle incontro. Ci voglio parlare. Mi avvicino di soppiatto (in realtà con una grazia da elefante), quando lei decide di muoversi con passo spedito, quasi di fretta. La cosa mi spiazza e mentre accelero il passo anch’io, lei imbuca l’uscita dal parco. La seguo con distanza di sicurezza.

In un attimo siamo nel corso principale. Cammina spedita e sicura senza girarsi mai ed io, che tra un mese mi sposo, con i polsini anni ’80 di mio padre e un vestiario riconducibile a quello fantozziano del “Batti Lei”, la inseguo, senza un motivo, come un qualsiasi quindicenne in calore.

Dovrei farmi schifo da solo per il mio vestiario bagnato e puzzolente e invece non bastano neanche le occhiate di ribrezzo che mi lancia la Torino bene, a passeggio e in sfilata lungo il corso principale, a farmi sentire a disagio. Improvvisamente lei si ferma davanti una vetrina. Io, poco più in là, la guardo da lontano appoggiato a un lampione. È un negozio per l’infanzia. Di colpo mi passano tutti i fumi e mi vedo per quel che sono: un anguilla unta e sudaticcia coi polsini gialli e blu delle poste. Sembro riprendere consapevolezza del mondo e del mio io quando scorgo la smorfia di fronte alla vetrina e il cuore riprendere a battere e a non farmi ragionare. Ne sono certo: nemmeno a lei piacciono i bambini.

Intanto lei riprende a camminare sprigionando tutta la sua sensualità rimasta fino a quel momento in disparte. I capelli rossi e mossi le cadono sulle spalle e ondeggiano mentre le forme, non troppo prorompenti, si adattano al vestito nero, lungo, che le scende fino alle caviglie bianche. Lo stesso bianco del collo esile ed elegante che intravedo quando con un gesto repentino si sposta i capelli per sistemarsi l’orecchino.

Ed è così, nel tempo di un istante, nel tempo di un attimo, quando pensi che tutto sia speciale e fiabesco, che il mondo ti crolla addosso. Ho l’occhio alto, proiettato verso lei, perso in quella che credevo fosse una visione d’altri pianeti, quando mi si palesa un maxi escremento di cane sul cammino. Non lo percepisco come tale ma è un vero bivio. Avete presente quel film, SlidingDoors? Ecco il mio bivio era andare a destra o a sinistra di quella cosa che sembrava più un prodotto di un cavallo. Saltarla, nel mio stato, nemmeno a pensarci: sarebbe stato più facile affrontare un salto in lungo alle Olimpiadi. Scelgo di andare a destra, passando, così, più all’interno del marciapiede; sono a due passi da lei, le sto per toccare la spalla quando ci ripenso un attimo ancora: ma che penserà mai del mio stato pietoso? Sono sudato e con i panni di un giocatore di tennis di un sessantenne. Finalmente mi faccio forza e decido di allungare la mano e di chiamarla ma a quel punto è Dio che decide di fermarmi e di punirmi sotto le vesti di un bambino di 10 anni.

“Signore…Signore!”

“Dici a me?”

“Mi aiuti ad alzare la serranda che devo prendere la bicicletta?”

Il mondo intorno a me si ferma, le persone aspettano la mia risposta e come mai pendono dalle mie labbra, non tira più vento, gli uccellini non cantano più, le macchine sono sparite, il tempo è sospeso e lei? Io penso a lei, a lei che se ne va.

“Ma certo…”

Non puoi dire di no a un bambino cicciottello di 10 anni, non puoi dirlo perché tu sei grande adulto e alzare una saracinesca cosa potrà mai essere. Mi avvicino mentre il mondo mi guarda e io penso a quei capelli. Non posso nemmeno girarmi per vedere se sia ancora lì a guardarmi o se sia fuggita incurante di quel teatrino.

Il pubblico, nel frattempo, è attento ai movimenti; hanno tutti il fiato sospeso mentre metto le mani sull’inferriata. Sembro Yuri Chechi agli anelli. Sono pronto per fare forza e anche se vorrei un po’ di gesso, penso che sarà un attimo, la serranda si alzerà e io potrò rincorrerla. Primo strappo plateale e la serranda non si muove.

“È dura veramente eh…”

“Mio babbo la alza con una mano…”

E allora perché NON LO FAI FARE A TUO PADRE EH? È quello che vorrei vomitargli addosso ma non posso. Vorrei solo girarmi e andare via, andare dietro a quell’orecchino di perla che scende sul quel collo esile ed elegante.

Un secondo strappo non porta a nulla. Qualcuno sghignazza. Una goccia di sudore mi scende dalla fronte. Terzo strappo e niente. Alle mie spalle un respiro pesante si avvicina.

“Levati!”

Un omone di due metri si fa spazio tra la gente e con praticamente un dito alza la serranda arrugginita. Io, ingobbito, rimango con gli occhi aperti e spalancati e tutto quello che ero stato fino a quel momento e che mi ero scordato di essere mi si palesa: un mollusco nudo e sudato in mezzo a un ambiente ostile. La vita riprende, il tempo riparte e io non ho nemmeno il coraggio di voltarmi, di vedere se quel vestito lungo e nero sia ancora lì, lì ad aspettarmi.

Comincia a piovere (ovviamente) e un ombrello di colpo si materializza sulla mia testa. Un bacio sulla guancia.

“Ma sti nidi di rondine non li vogliamo andare a mangiare?”

Alzo lo sguardo e la ragazza dai capelli rossi non c’è più mentre c’è lei che mi salva, che nonostante tutto è sempre lì, che ha una parola giusta anche oggi…

“…che io poi ti amo sempre di più quando sei così imbranato.”

“Ma hai visto tutto?”

“Certo che sì…Il momento migliore è stato quando il bambino ha detto che suo padre lo alzava con una mano. Questa supera quella volta in cui ci siamo conosciuti.”

Adoro.

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7 commenti »

  1. Oddio che che simpatica questa storia, fa pensare che il ridicolo è sempre dietro l’angolo. Divertentissima 🙂

  2. Paolo, hai presente quando Pinocchio diventa bambino e osserva se stesso come burattino a ciondoloni sulla sedia?? Che rabbia provai, da bambina, leggendolo! Ecco, è la stessa che ho provato nel sapere che la bellissima rossa , puff! svanisce nel vento. Come avrei voluto un incontro, che so, un bacio o magari un ‘Vai via, sudicio !’ invece no, come i bei sogni , la bella ondeggiante svanisce, e ci aspetta la cruda realtà.Sublime verità e delizioso racconto.Ciao!

  3. Vi ringrazio molto per aver letto il racconto e sono contento che l’abbiate apprezzato. Grazie tante.
    Paolo

  4. Caro Paolo, ho riso tanto quando ho ascoltato questo racconto la prima volta e continuo a ridere rileggendolo adesso. Veramente bravo! A parte il lato comico, sei riuscito a rendere benissimo alcuni gesti (come per esempio lo scostamento dei capelli e la sistemazione dell’orecchino) e quella sensazione di lieve amarezza per le occasioni mancate. Complimenti!

  5. Paolo,

    simpaticissimo e molto acuto il tuo racconto.

    Ho adorato, letteralmente, la tua capacità di richiamare icone del nostro tempo (Yuri Chechi, Fantozzi ecc.) per descrivere un protagonista che si trova combattuto tra la sua indole di “topo da museo” e la volontà di cercare di apparire affascinante agli occhi della seducente rossa.

    Il finale a sorpresa ricorda che, la maggior parte delle volte, la felicità è molto più vicina di quanto si possa pensare.

    Bravissimo.

  6. Molto simpatico il tuo racconto! Una situazione che è capitata a ognuno di noi: quella di lasciarci trasportare, per un attimo, dai desideri (più o meno impossibili) della fantasia. L’hai raccontata con ironia e indulgenza. Bravo Paolo 🙂

  7. Giulia, Lorenzo e Giada….che dire? Grazie ovviamente e sappiate tutti che siete troppo buoni. 🙂 Grazie ancora di Cuore. 😀

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