Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Lelia” di Anna Dattolo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Lelia è stanca, avanza un po’ sugli scogli umidi. Apre un pacchetto di Marlboro per accedersene una, ma si tocca il pancione e lancia la sigaretta. E’ stanca, non ne può più. È sola con un fagiolino nella pancia. La sua famiglia non la vuole, se n’è andata di casa, lavora in un negozio di vecchi souvenir, quelli polverosi già quando li compri come ricordo, con il nome del posto inciso su una ceramica scadente. Lo fa per mantenersi, come può. Non studia più. Non studia dalla sera in cui si è portata a letto un altro per dimenticarsi di Gennaro. Ed è così che succedono i macelli. Quando non rispettiamo l’ordine delle cose, quando non rispettiamo noi stessi.

Ha gli occhiali da sole alla John Lennon, i capelli sopra le spalle color cioccolato con i riflessi rossastri e il “culo grande” dice lei. Le tintinnano i braccialetti quando muove le braccia, prima le muoveva sempre quando fumava, quando brandiva la sigaretta in aria mentre ballava in discoteca quelle musiche assordanti.

Adesso non esce più, va soltanto in quell’angusto tugurio con Eleonora: le ha dato un lavoro, ma la disprezza. È un disonore essere incinta alla sua età. Diciotto anni, appena diciotto. In paese tutti parlano di lei. Eppure Lelia, con un esserino dentro il suo corpo, si sente una donna. Molto più di quando Gennaro la chiamava “la sua donna” regalandole peluche, molto più di quando le aveva regalato un anello di diamanti a soli sedici anni.

A tratti odia quel bambino, le ha rovinato la vita, lo dicono tutti. Spera solo di poterlo usare come oggetto, spera che le sarà utile quando busserà alla porta di casa cercando una riconciliazione e metterà sotto gli occhi severi dei suoi genitori il frutto del suo errore. Ma in fondo, possiamo nascere per sbaglio? Possiamo essere non voluti, non cercati? Possiamo far parte del cerchio della vita crescendo in una pancia che ci odia? Glielo dirà un giorno che non si ricorda la faccia del padre? Che era buio ed era ubriaca? Che è stata un’incosciente, che era piccola, adolescente?

Sua madre non le parla. Con il padre ha perso le speranze, per lui tutto è stato troppo, fin dall’inizio. Dal fidanzamento con un ragazzo più grande di dodici anni, fino allo sfacelo della sua bambina.

La madre è sempre una madre, le dispiace, le manca, piange in camera sua mentre il marito lavora, stringe la catenina tra le mani nodose e prega la protettrice delle gravidanze. Piange in cucina mentre fa la pasta fatta in casa. Pensa a Lelia. A volte le porta qualche piatto caldo, ma non la vuole vedere, lascia tutto ad Eleonora. Il marito non le fa vedere sua figlia, lei obbedisce. Si sottomette. Lelia lo sa che sua madre è una sottomessa. Ha tanta forza di sopportazione, ma non abbastanza per la ribellione, per prendere una decisione propria. Lelia è cresciuta osservando sua madre, una buona donna, un girasole che rotea la testa seguendo le volontà del marito.

Lelia aveva deciso che non sarebbe stata come lei, lei sarebbe stata un gladiolo dai setosi petali di spada. Avrebbe avuto un uomo cortese, gentile. Avrebbe avuto i suoi spazi, le sue cose, la sua libertà. Avrebbe avuto una personalità, un suo nome e un suo cognome, non sarebbe stata soltanto “la moglie di qualcuno”.

Allunga le gambe sullo scoglio sottostante. L’aria è mite, i ricordi viaggiano sul mare piatto, luccicano sotto l’ultimo sole della giornata. Le prime uscite, il bacio, la prima volta dopo meno di tre settimane, le sere. Lei a quindici anni usciva con persone di trenta. La chiamavano la loro “piccola”. Una sera l’avevano fatta bere, le avevano fatto conoscere l’alcool quasi fosse un rito d’iniziazione. Quella sera aveva dormito da Gennaro, aveva solo quindici anni. Lui le aveva sfilato la maglietta e slacciato i pantaloni. Lelia non voleva, aveva esitato solo un attimo, un breve momento, incerta, più no che sì, era ancora piccola, voleva rimanere così, desiderava aspettare, ma le mani di lui avevano premuto più forte. Si era divincolata per un secondo, ma chissà com’era ribellarsi ad un uomo quando era giusto farlo, non lo aveva mai visto.

Così dovette cedere, quella sera e poi ancora altre sere. Tante altre sere.

“E’ troppo grande per te, non durerà”, “Devi fare le cose adatte alla tua età”. Ecco cosa dicevano le amiche di Lelia. Le vedeva truccarsi, andare a ballare. Andava anche lei, ogni tanto. Ma poi doveva andare a dormire da Gennaro. Lui aveva bisogno di lei. Lei diceva ok. Si sentiva importante. Non capiva, ancora non capiva.

Anche lei voleva i vestitini corti. Un giorno se n’era comprato uno, verde smeraldo. Si sentiva bene, era un bel colore, s’ immaginava ballare con quel vestito, si era chiesta per la prima volta se gli altri la guardassero. Aveva comprato un rossetto rosso, si era messa in posa e aveva inviato una foto a Gennaro. Era con le sue amiche, ridevano come ridono le sedicenni. Avevano i tacchi e la voglia di divertirsi; parlavano di farsi qualcuno, ma Lelia no, quello no. Lei era fedele e amava Gennaro. Lo amava da impazzire. Anche lui impazziva per lei. Dieci minuti dopo la foto si era presentato sotto casa di Esmeralda, una delle amiche, e aveva portato via Lelia in macchina. Nessuna spiegazione: solo uno schiaffo e la parola “sgualdrina”. Da lì Lelia aveva imparato che una ragazza fidanzata certi vestiti non poteva comprarli. Lo aveva spiegato alle sue amiche come una matrona piena di esperienza, come una donna colta a chi non sa nulla, come una maestra ai bambini.

Era tutto giusto, tutto a posto. Si era detta che lei semplicemente era più avanti delle sue amiche, un passo avanti a loro, forse anche due o tre.

Lelia se lo ricorda come se fosse ieri, il vero sfacelo, il giorno in cui aveva cominciato a capire.

Una seria Lelia ha bevuto un po’ troppo, la sua amica le ha regalato le sue consumazioni, ha i jeans e le All Star, poco trucco e occhiali, così come ha deciso per lei Gennaro. Si diverte ugualmente, balla, adora la musica. Ride con le sue amiche, si lascia andare, si dimentica di tante cose, di chi sia, di Gennaro, dei vestiti che non le fa comprare. Fa caldo, caldissimo, si toglie la maglietta intrisa di alcool e sudore. Ha gli occhiali appannati, è sulla cresta dell’adolescenza con le amiche della vita. Le luci sono forti, colorate, psichedeliche, è un tunnel divertente, eccitante, non pensa più a niente. E’ incredibile. È tutto fuori norma, libero. Le brucia lo stomaco per via dei superalcolici, ma non se ne cura. Per un volta ha deciso di essere Lelia, di essere sedicenne. Ha preso una decisione sua.

Il prezzo da pagare è alto.

Una collezione di schiaffi. Gennaro le mette sotto gli occhi la foto che le hanno scattato: in reggiseno, sudata e sorridente. “Aveva peccato”. Sorride, nel ricordare quel tunnel felice. Gennaro si carica di una collera furibonda, il peggio viaggia nei pensieri di Lelia, ma un attimo dopo lo subisce. Lelia non pensa mai, neanche per un secondo, di avere peccato. Accetta le mani forti di Gennaro sulla sua pelle, accetta i lividi, accetta di cadere a terra per il dolore, accetta il vaso cinese creparsi contro la sua schiena per la caduta, accetta una scheggia di vetro conficcarsi nel polpaccio, accetta che la scheggia vada più a fondo perché le arriva un calcio proprio lì. Accetta tutto. Si sta ribellando in silenzio perché non accetta niente, subisce senza sottomettersi. Lo lascia senza parlare. Lo lascia nella sua insensata rabbia, nella sua ossessione, nella sua violenza che pensa di guarire con un peluche rosa. Non si sente metà faccia, sente il sangue coagularsi in superficie. Vede soltanto un individuo con le vene gonfie, che urla e scaglia oggetti contro le pareti, ma ogni suono è ovattato per Lelia. Un orrido lombrico in collera, grumi di fango attorno a quel corpo viscido e rosaceo, un animale senza pelo, un magro rimasuglio di essere disumano. Si agita, si divincola, animale senza capo né coda, vive sotto i piedi del mondo, si nutre della morte. Chi è lui? E’ lui quello perfetto? E’ forse lui il suo uomo? E’ lui che ama e che la ama da impazzire? L’immagine della loro unione, quella perfetta che aveva in mente, si spezza con un suono forte, i pezzi scivolano in terra mentre tutto si sgretola. Lei è solo una misera parte di quel puzzle ambiguo, così sofferente e leggera da non affondare, viene sbattuta contro gli scogli aspri in balìa di una corrente di violenza. Allo scadere dell’ira Lelia rimane a terra in quattro mura che non riconosce.

Il bimbo calcia, Lelia sorride. Lo accarezza di nuovo. E’ il suo riscatto, la sua nuova vita, quella da assaporare, non da bruciare. Ha una grande possibilità, una seconda esistenza che la aspetta. Scoppia di amore, solo che a volte lo confonde con l’odio. Ha solo diciotto anni, sono gli ormoni. Ha sbalzi d’umore.

Con il sole all’altezza del suo sguardo si sente potente, invasa dalla sua luce arancione: sa che se lo fissa la acceca, la natura è più forte di lei. Ma la natura è perfetta, le rafforzerà l’amore, le raddrizzerà la testa, farà uscire quel bambino dal suo corpo, lo poserà sul mondo, sotto il cielo, le darà la forza di spingere la carrozzina, la aiuterà a dargli da mangiare, le farà venire il latte. Lelia è contenta, contentissima.

Un giorno tornerà lì, con suo figlio, a dirgli che non ha un padre, ma che basta essere amati in questa vita, non importa da chi e da quanti. Suo figlio dirà ok. Poi gli dirà che è frutto di un’unione fugace e ormonale, una sera e via, che non è neanche il frutto di qualcuno che pensava di amare. Suo figlio sorriderà lo stesso con gli esili dentini da latte. Gli accarezzerà la testa, gli metterà il cappellino bianco con la visiera, andranno a mangiare il fritto misto sul lungomare, gli farà bere la coca-cola. Quando il cielo sarà blu gli comprerà un palloncino ad elio e cammineranno sull’asfalto caldo e poroso. Il mare continuerà a luccicare di fianco alle famiglie in vacanza nei loro vestiti leggeri e i sandali pieni di sabbia. Lei guarderà suo figlio e nell’immensità di questa vita gli dirà di amarlo con tutta la sua anima.

Lelia si alza, sale sulla strada e con una mano sul pancione comincia a camminare, si fermerà solo quando su quel marciapiede di marmo saranno in due.

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8 commenti »

  1. Bella questa vicenda di crescita! la via crucis di Lelia – per fortuna a lieto fine – riporta alle tantissime donne che invece non riescono uscire dal tunnel di un uomo violento. Vita contro morte, dice il racconto, e nella parte centrale, quando Gennaro picchia duro, viene fuori un bel modo di scrivere, drammatico e forte, che fa sentire tutto quello che la protagonista prova a noi che assistiamo leggendo. Suggestivo il finale. Bel lavoro 🙂

  2. Grazie di cuore Ugo! Le tue parole mi hanno fatto molto piacere, dal momento che ho cercato di tradurre in prosa quelle che ho immaginato essere la violenza di quest’uomo e la conseguente forza di Lelia, con l’intenzione di destare un’emozione forte nei lettori. Ancora grazie!

  3. Anna,

    certi uomini, intesi come individui di sesso maschile, mi fanno venire i brividi e vergognare di avere le loro stesse sembianze fisiche.

    Un argomento scomodo, pulsante, che trabocca di attualità e puzza di marcio.

    A mio avviso, sei riuscita ad affrontarlo irradiandolo di quella speranza, che, come afferma correttamente Ugo, non tutte le donne rovinate da compagni violenti hanno avuto la fortuna di scorgere in fondo al tunnel.

    Posso solo augurarmi che tutte le “Leila” ed i loro “fagiolini” possano ottenere la tanto ambita serenità, magari insieme ad un uomo, un uomo vero, che sappia amarli nella loro perfezione.

    Bravissima.

  4. Anna, non so come esprimere ciò che ho avvertito leggendo il tuo intenso racconto. Emozioni forti hanno evocato immagini già viste e parole troppe volte sentite, e la voglia di dire ‘Adesso basta’. Tu sei stata magnifica e hai dato voce a questa ragazzina in crescita che nonostante tutto sbuca e prende il volo.
    Non devo aggiungere altro perché il testo parla da solo, e parla al cuore.
    Grazie Anna e ancora bravissima.

  5. Il personaggio di Lelia è molto credibile. Sei stata bravissima a descrivere ed evocare le sue incertezze e sicurezze adolescenziali. Tra l’altro credo che il tema scelto non sia per niente facile. Il tuo raccnto, inoltre, è scritto benissimo.

  6. Tema non facile. Anzi direi temi non facili. Perché in realtà il tuo racconto parla di tante cose, parla di dolore, di rabbia, di violenza, di frustrazione, ma parla anche di amore e di speranza, una speranza che la giovane protagonista porta con sé, un minuscolo fagiolino che cresce nel suo grembo e che è già diventato la ragione di un’esistenza difficile.
    Personaggio calibrato alla perfezione, anche nel modo di fare e di pensare, sulla giovane età della protagonista. Scrittura pulita ed efficace. Davvero una bella prova. Brava Anna.

  7. Anna, una storia diventata purtroppo normale, raccontata con registri che lasciano percepire sensazioni e stati d’animo. Questa volta, nel caso tuo, una storia di crescita e di riscatto.

  8. Mi dispiace per il ritardo della mia risposta ai commenti, ma ringrazio di cuore tutti voi, Lorenzo, Marcella, Ivana, Luigi e Paola per le vostre parole, i complimenti e le osservazioni. Sono consapevole che il tema affrontato non sia facile, non nascondo che fossi dubbiosa all’inizio sul pubblicarlo o meno, ma i vostri commenti mi hanno fatto capire di aver fatto la scelta giusta e sono profondamente contenta di aver lasciato qualche emozione in voi. Di nuovo grazie.

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