Premio Racconti nella Rete 2017 “Il vero obiettivo” di Silvia Colonna
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Gli ordini erano semplici e precisi: si sarebbe dovuto recare a Shibuya dove, ben nascosta da occhi indiscreti, si trovava una sala pachinko clandestina; lì veniva praticato il gioco d’azzardo e lui doveva riscuoterne l’incasso. La notte era calata da tempo su Tokyo, ma le luci che ancora illuminavano la città la rendevano un posto in cui non si dorme mai.
Le strade erano trafficate quasi come di giorno, tuttavia l’uomo sapeva come arrivare alla sua destinazione in fretta: sorpassava continuamente ogni macchina che incontrava, una volta a destra e quella dopo a sinistra come uno sciatore impegnato in uno slalom; si immise in uno stretto vicolo e sbucò in un’altra strada: era arrivato. Frenò la moto all’improvviso, inclinandosi, si tolse il casco e si avvicinò a un’anonima porta in ombra sorvegliata da un uomo grosso quasi altrettanto.
«Sono Hirabashi.»
L’uomo si fece da parte per lasciarlo entrare.
All’interno regnava la stessa oscurità che c’era fuori, ma ben presto il corridoio fu illuminato da lunghi tubi di neon. In fondo lo accolse un altro uomo con la stessa corporatura di quello precedente, che sorvegliava una nuova porta.
«Sono Hirabashi» ripeté «del kumi Agni-kai.»
Anche quello lo lasciò entrare dopo aver bussato per annunciarne l’entrata. Si sentì dire ‘Avanti’ e il motociclista entrò.
«Ah, Take Hirabashi… che piacere avervi qui. Come posso esservi utile?»
Quello che aveva parlato aveva la tipica faccia da imprenditore – nonché la pancia da magnate – e si era alzato non appena aveva visto il suo ospite.
«Sono qui per l’incasso.» disse semplicemente Take.
«Ma certo, ma certo… è in cassaforte, volete che ve lo prenda subito?»
«Faccia in fretta.» Come sempre era di poche parole «Nel frattempo farò un giro nella sala.» Non era una richiesta.
«Fate pure.» rispose l’uomo prima di accompagnare l’altro fuori e affrettarsi nella direzione opposta di quella presa da Hirabashi.
Take percorse nuovamente il corridoio a ritroso ed entrò nella sala attraverso una porta anonima. La sala pachinko assomigliava a un casinò: era piena di macchine in cui si praticava il gioco, stipate tra loro in maniera tale che era quasi impossibile camminare; molti uomini e qualche donna occupavano le postazioni, e solo poche persone facevano da spettatori.
Un urlo di gioia si levò da qualche parte e, dagli stralci di conversazione che si potevano udire, un fortunato giocatore stava vincendo un bel gruzzolo. Take si avvicinò e poté constatare coi suoi occhi che quello aveva una piccola fortuna; non poteva permetterlo, ne andava del suo onore, perché Take Hirabashi altri non era che il nome con cui Bimbogami operava nella Yakuza e, quale dio della povertà, era suo compito impedire a quell’uomo di andarsene con quei soldi.
«Che fortuna, amico!» esclamò dandogli una pacca sulla spalla. Restò in attesa per qualche minuto poi, quando l’uomo iniziò a perdere tutte le sue sfere, se ne andò borbottando un ‘La fortuna gira’.
Restò qualche altro minuto nella sala a osservare altri giocatori e a distribuire povertà prima di essere richiamato per ricevere l’incasso. Salutò con un cenno della mano e si recò all’uscita; infilò il casco e fece rombare la sua moto, poi rivolse un nuovo cenno all’uomo che sorvegliava la porta e, sgommando, se ne tornò da dov’era venuto.
La Agni-kai era tra le più piccole kumi Yakuza e operava esclusivamente a Tokyo – o meglio, esclusivamente a Shibuya. Bimbogami aveva trovato quella specie di lavoro come un colpo di fortuna dopo aver vissuto da barbone per molte vite umane: non era bello essere l’unico dio odiato e scacciato da tutte le case, con la sola compagnia del suo fedele Bimbomushi; la Yakuza invece gli permetteva di impoverire uomini come quello nella sala pachinko, o come coloro che si recavano dalle loro prostitute o comprava la loro droga, ma il suo scopo era anche un altro.
Aveva consegnato l’incasso a chi di dovere e in quel momento stava osservando la città illuminata; la sua giacca si gonfiò sulla schiena e lui se la tolse rivelando un grande tatuaggio: era indubbiamente uno scarabeo, anche se sul dorso aveva disegnata una faccia, e le zampe dell’animale lo avvolgevano in vita e sulle spalle, arrivando a disegnare intricate immagini sul petto dell’uomo; ma la cosa incredibile era che quel tatuaggio stava prendendo vita, ingrossandosi e staccandosi dal corpo del suo dio.
«Va’!» ordinò Bimbogami.
L’insetto svolazzò per un attimo intorno al suo padrone, poi scese in picchiata e si confuse con le tenebre. Poco distante una kumi rivale si stava avvicinando agli Agni-kai e si sentivano già nascere piccole sparatorie. Bimbomushi volò tra di loro, schivando abilmente ogni proiettile, per seminare la povertà nei loro animi.
Ben presto la strada fu invasa di sangue ed entrambi i clan potevano contare diversi morti tra le proprie fila; ognuno ne raccolse più che poteva prima di sparire. Bimbomushi tornò indietro per posarsi nuovamente sulla schiena dell’uomo, abbracciandolo e sparendo alla vista. Il dio aveva compiuto la propria missione; si alzò e si allontanò senza fretta, lasciando che le tenebre lo inghiottissero.