Premio Racconti nella Rete 2017 “Il silenzio” di Annalisa Rabagliati
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Era calmo nel crepuscolo il lago, circondato da una striscia di bassa montagna scura. In lontananza il sole, fuggito dietro le alte cime innevate, lanciava un ultimo riverbero, mentre il cielo, di un azzurro terso, stava per scurirsi a poco a poco. Quattro barche con le vele ripiegate, pronte per il riposo notturno, erano l’unica testimonianza umana. Non c’era un movimento né sulla riva, né nell’aria, a parte tre ultime folaghe che volavano verso il rifugio, mentre gli altri uccelli ciarlieri avevano placato la loro voglia di compagnia. Un silenzio maestoso dominava il paesaggio.
Agnese era assorta nella contemplazione e assaporava il piacere di quel silenzio, tanto da non sentire il freddo della sera invernale.
“Forse perché della fatal quïete tu sei l’imago a me sì cara vieni o sera…” Le tornarono in mente, come se li avesse scritti lei, questi versi studiati da ragazzina, i più adatti a quel momento e a quel panorama.
Amava il silenzio: più invecchiava e più lo cercava ed era sempre più difficile che si creasse quell’atmosfera di pace, quell’effetto calmante che ti faceva essere un tutt’uno con la natura. Si aspettava che da un momento all’altro qualche motore venisse a spezzare l’incantesimo, ma per un’insperata fortuna non fu così e poté godere a lungo di quelle sensazioni. Percepiva dietro di sé la presenza muta di Alessio, marito e compagno, con cui da tempo non vi era un dialogo profondo.
Si scambiavano solo informazioni : che cosa c’è da comperare oggi … ci sono da pagare le bollette … ecco dove andare domenica … A lui questo bastava, ma non era quello che voleva lei. Così Agnese aveva deciso di fare come il marito, che era capace di non parlare in modo vero per giorni, per ripagarlo della stessa moneta. Ma gli uomini, si sa, non hanno la sensibilità delle donne e forse Alessio non si era nemmeno accorto di quella guerra non dichiarata.
Avevano trascorso quel pomeriggio in un camposanto di montagna, strana meta per passare un giorno festivo, ma lui ci teneva ad andare a trovare un suo amico morto di leucemia che giaceva là, abbandonato in una tomba ricoperta di rovi. Avevano portato cesoie, stracci e fiori freschi e si erano dati da fare per sistemarla, estirpando le erbacce e potando i rami di una siepe di bosso cresciuti in modo selvaggio. Lui tagliava e lei ripuliva e, alla fine, la tomba aveva assunto un aspetto decente. Poi Agnese aveva tentato di pregare per il defunto, ma si era accorta di riuscire a farlo solo in modo superficiale. Il marito era ateo dichiarato e non si poneva questo problema, però la sua preghiera era l’occuparsi di un amico mancato troppo presto, dimenticato dal mondo, nonostante avesse fatto una bella carriera grazie agli studi. Ora l’unico che si ricordava del poveretto era Alessio, che veniva a fargli visita tre o quattro volte l’anno.
Agnese sapeva che il suo compagno era un brav’uomo, anzi, la persona migliore che avesse mai conosciuto e non si capacitava che tra loro le cose dovessero andare così. Continuava a porsi ossessive domande sul loro stare insieme anche mentre, osservando le lapidi del camposanto e leggendo i nomi di tanti deceduti alle età più diverse, non poteva che riflettere sul nostro destino di umani. Che senso aveva stare al mondo e poi finire miseramente? Certo, si ripeteva con rassegnazione, l’unico scopo della vita era, come per tutte le creature, amare e cercare di riprodursi e lei e il suo compagno lo avevano fatto. Ma questo era sufficiente per dirsi soddisfatti ?
Alessio le offriva il supporto di una presenza costante, ma diversa da tutto quello che Agnese aveva sognato: il compenetrarsi a vicenda , il parlare senza pudori, la completezza di un rapporto nato dall’incontro con l’uomo ideale, eterno sogno di ogni donna.
Quello che un giorno era stato il suo principe azzurro ora spesso taceva, non rispondeva alle sue sollecitazioni. Lei voleva ancora parlare dei massimi sistemi, come quando, da giovani, rimanevano svegli fino alle tre di notte per raccontarsi tutto. Lui, invece, dava per scontato il loro rapporto e, anziché interrogarsi sul significato della vita, stava davanti alla tv e chiedeva a gran voce perché il centravanti non passasse la palla al compagno.
Finita l’incombenza al camposanto Alessio aveva deciso di fare un giro in auto nei paraggi e Agnese, dando ancora un ultimo sguardo al cimitero deserto, si era detta che ai vecchi come lei il silenzio piaceva perché suggeriva l’idea della grande calma che attendeva tutti, prima o poi. I giovani, invece, lo rifuggono, perché metafora della morte: amano la confusione, amano incontrare persone nuove, amano buttarsi nella mischia, amano sentire rumore e amano farne.
In auto Agnese si era chiesta perché non fosse più capace di pregare, di meditare o di riflettere. Conosceva la risposta. Ci manca il tempo, ci manca uno spazio vuoto dalle cose da fare con cui affastelliamo la nostra esistenza, nella speranza di trasformarla da banale in memorabile. Abbiamo l’horror vacui del tempo e del silenzio. La nostra corsa della vita è immersa nel rumore che ci avvolge, ci perseguita, ma che talvolta crediamo ci faccia sentire vivi. Consideriamo rumore ciò che non è di nostro gusto, come una musica diversa dal genere che ci è più congeniale. Ma anche un brano di musica amata o un dibattito intelligente spesso ci impediscono di lasciar spazio al silenzio interiore ed abbandonarci alla riflessione. È un problema che non esisteva nei secoli passati, quando non c’erano macchine o mezzi di comunicazione sempre più invadenti. È la maledizione dei nostri giorni, ma ,certo, se Agnese fosse nata in un altro periodo non avrebbe fatto parte della cerchia ristretta di chi poteva permettersi di vivere di filosofia o letteratura. Lei sarebbe stata nel gruppo di chi doveva lavorare duro per campare, sempre che fosse sopravvissuta alle privazioni.
Apparteneva, invece, grazie a Dio, a quest’epoca per molti versi più fortunata di tutte le altre, ma, in quanto figlia di una famiglia operaia, non aveva mai potuto fermarsi a meditare. Stare a oziare inattivi era il peccato più grande e si poteva commettere solo a patto di gravi sensi di colpa. Ora capiva che la meditazione solitaria è anche fuga dal dover per forza agire in modo concreto, è un aiuto per concedersi lo spazio e il tempo per pensare a un bene non immediato.
“Ti piacerebbe che cercassimo una casa qui?” aveva chiesto Alessio mentre guidava sulla strada di montagna, interrompendo il flusso dei pensieri di Agnese. “Saremmo vicini alla città, ma vivremmo in un ambiente più tranquillo.”
Lei avrebbe voluto rispondergli che amava tanto la tranquillità, ma che temeva di rinchiudersi in un mondo troppo appartato, in cui la pace agognata sarebbe stata comunque guastata dall’imperversare della televisione. Non voleva però ripiombare nelle recriminazioni. Meglio non rispondere, continuare a stare zitta, immersa in un mutismo astioso, pieno di rammarico e rimpianto. Quante volte lei aveva rispettato quello di Alessio, senza romperlo con pressanti richieste! Ora toccava a lui non interrompere il suo. Ma questo silenzio di coppia non sarebbe stato il primo stadio della solitudine?
Alessio conosceva i bisogni di Agnese e le proprie carenze e aveva aggiunto: “Non sarebbe una scelta drastica. Potremmo continuare a vivere in città e venire qui solo per lunghi weekend e, in ogni caso, non è un posto così distante e tu potrai continuare a seguire conferenze e mostre anche partendo da qui al mattino…”
Intanto avevano raggiunto il piazzale del santuario che dominava il lago dall’alto. Erano scesi dalla macchina e si erano fermati a lungo, tacendo, ad ammirare il paesaggio quieto e immobile. Ad Agnese erano tornati alla mente versi di Foscolo, in un susseguirsi di pensieri.
La vista del lago, impagabile, rivaleggiava con il ricordo dei panorami dell’estremo Nord Europa, dove il silenzio era sovrano. Agnese amava quei posti e avrebbe voluto viverci, ma all’idea di quelle vastità deserte veniva presa da una sottile angoscia che si insinuava a rovinarle l’incanto. Troppa assenza di rumori e troppa solitudine davano un senso di inquietudine, di perdita di controllo.
Inevitabile il paragone con la relazione di coppia. C’è qualcosa che sfugge maggiormente al controllo? All’inizio si toccano vette impensabili, ma poi si scende lungo la china dell’abitudine. Il matrimonio altro non è che un sodalizio, una società di mutuo soccorso, un patto di protezione. C’è un’intesa stabilita, non solo dal Codice Civile, di sostegno reciproco e c’è una legge non scritta: si sanno tante cose l’uno dell’altra che non si raggiungeranno mai più certi apici. Non ci sono più domande. La carnalità, la sessualità è l’unico legame che unisce veramente e quando, con l’età e, in casi sfortunati, con la malattia, la capacità fisica viene meno, manca la soddisfazione del motivo che giustifica l’unione di due esseri. Il rapporto a due si evolve, diventa una relazione diversa da quella che ci appagava. È giusto accettare questo cambiamento? Che cosa ci obbliga a tenere unite due entità distinte?
Alessio ruppe il silenzio, distogliendo Agnese dal vortice dei dubbi: “Non ti sembra di essere di nuovo nel Nord Europa?” Fece una pausa e aggiunse: “ Ho voluto portarti qui per ringraziarti. Non eri tenuta a venire al cimitero a condividere la mia tristezza.”
Agnese si chiese quale strana capacità medianica avesse il marito. Ogni volta che lei stava per allontanarsi lui la riagganciava, dandole, forse inconsapevolmente, una risposta. Ecco le cose che li univano: la memoria e il sentire comuni!
Il muretto che proteggeva dallo strapiombo sul lago era invaso da un’erba rampicante selvatica. Agnese si voltò e chiese al marito se voleva tagliarla e ripulire anche lì.
Alessio sussurrò teneramente una sola parola: “Agnese!”
Sapevano di essere complementari e necessari l’uno all’altra.
Si abbracciarono d’impeto, pronti a ricominciare, come sempre.
Una riflessione in forma di racconto. Lucida. Razionale. Disincantata. E come sempre dovrebbe accadere, tutta questa disciplina viene infranta dai sentimenti. Forse perché mi ritrovo un poco in Alessio apprezzo molto l’emozione di questo racconto. Grazie!
Ti ringrazio per il commento, particolarmente gradito perché viene da un uomo che dice di ritrovarvisi. Credevo infatti di aver raccontato sentimenti e riflessioni femminili, ma, ovviamente, certe emozioni le prova ogni essere umano. Grazie ancora.
Annalisa,
intanto i nostri racconti condividono parzialmente i titoli e già per questo mi rimani simpatica :-).
Battute a parte, dar voce al silenzio, sia a quello che ristora sia a quello che graffia, è compito arduo e complicato.
Il tuo racconto, davvero pregevole, lo lascia parlare non solo con parole, ma con suoni, immagini, frasi non dette e sospiri trattenuti; ne scandaglia il lato naturale e quello umano, che nella relazione di coppia può portare al distacco o alla complementarità.
Per fortuna la “capacità medianica” di Agnese ed Alessio soccorre a frantumarne la parte oscura ed a cospargerla con la quotidianità del vero amore.
Complimenti.
Due bei personaggi, così particolari e così universali. E bella questa riflessione che lanci sul tema del silenzio e le sue molteplici visioni. Il “gioco del silenzio”, poi, in una coppia arriva dritto al lettore. C’è la base per un romanzo che può essere solo un crescendo di emozioni. Brava!
Grazie Lorenzo per il tuo bellissimo commento che mi lascia senza parole, poiché le tue sono così gratificanti ed esaltanti che non so aggiungere nulla. Andrò a leggere il tuo testo e già sono sicura che mi piacerà, se scrivi bene come in questo commento.
Grazie Tommaso per il tuo commento che dimostra che hai capito il messaggio della storia. Mi gratifica molto che tu pensi che possa trasformarsi in romanzo, ma forse un racconto breve deve la sua forza al fatto di concludersi in fretta. Ti ringrazio per le tue belle osservazioni e sono contenta che il mio racconto ti abbia dato emozioni.
Cavoli bello, le prime cinque righe mi hanno trasportato in riva al lago!
Complimenti Annalisa. un racconto davvero ben scritto, che tocca le corde più intime della sensibilità del lettore. I pensieri di Agnese sono descritti benissimo e suscitano immediata empatia. Nonostante lo stile che per forza è differente, sento un’affinità con argomenti che anche a me stanno a cuore: il carattere delle relazioni, le sfumature psicologiche e i pensieri che intervengono ad analizzarle e ripensarle. Belle anche le descrizioni paesaggistiche.
Brava! 🙂
Annalisa, bella questa acquisizione di consapevolezza che porta la protagonista a comprendere che l’amore non è un incendio devastante, ma una fiammella che, se alimentata, emana un chiarore capace di farti distinguere i corpi solidi dalle ombre.
Grazie Luigi, quello che dici significa che sono riuscita a rendere bene il paesaggio, che secondo me è parte integrante del racconto e rispecchia il desiderio di calma e silenzio della protagonista.
Grazie per i complimenti, Giada. In particolare sono felice che tu trovi affini ai tuoi sentimenti quelli della protagonista. Questo accade, credo, perché in fondo tutti nutriamo gli stessi dubbi, le stesse aspirazioni, anche se li esprimiamo in modi a volte così diversi che si potrebbe pensare che siano differenti. Invece le domande che ci poniamo noi comuni mortali in modo più o meno raffinato,sono le stesse che si pongono filosofi e grandi pensatori.
Grazie Paola per il tuo commento, che coglie con un esempio poetico la domanda sottesa a tutto il racconto :che cos’è il vero amore?
Sono stata in vacanza e non ne ho avuto il tempo, ma ora andrò subito a leggere i vostri lavori. Ancora grazie!
Ciao Annalisa,
i nostri racconti hanno lo stesso titolo e volevo ringraziarti per questa “altro” racconto di silenzio, di un silenzio peraltro condiviso, di coppia, e dunque ancora più prezioso, ancora più difficile da praticare, ma necessario. Belle alcune riflessioni che spezzano il racconto e il paesaggio, ma che si incastrano perfettamente con la narrazione e la completano
Brava!!
Bello e complesso il tuo racconto Annalisa,ritrovo nel silenzio un estrema e a tratti struggente forma di comunicazione, oltre le parole stremate dalla vita resta forse un silenzio che evita il confronto ma non cela il profondo disagio.
Un silenzio che al fine unisce ma attraverso un percorso tortuoso è sempre in bilico su un invisibile filo sospeso.
Molto brava, anzi bravissima.
Annalisa, hai saputo raccontare benissimo, e in modo assolutamente veritiero, il silenzio mutevole, significativo e soprattutto diverso per Agnese e Alessio.
Silenzio lungo ma non troppo, che avrebbe altrimenti impedito il potersi di nuovo riagganciare, e collimare, e fondersi nell’abbraccio finale.
Grazie Elisa, Gianluca e Marcella per i vostri bei commenti e i complimenti. Avete tutti compreso benissimo il messaggio del mio testo sui problemi di comunicazione nella coppia .Anche quando ci si ama reciprocamente non sempre si riesce a dimostrarlo nel modo in cui vorrebbe il partner, perché solitamente la coppia è formata da due personalità diverse, ancorché complementari. Al silenzio nella coppia si aggiunge il silenzio che cerchiamo o fuggiamo nella vita e mi pare che questo punto sia quello che più mi avvicina a voi che avete letto. Grazie ancora.
Molto bella questa variazione sul tema del silenzio. Variazione nel senso che ho letto altri due racconti dallo stesso titolo, con sviluppi molto diversi ma sempre affascinanti. Probabilmente un tema così aperto si presta a molteplici riflessioni. Ho apprezzato molto la tua scelta narrativa. Il silenzio all’interno della coppia che descrivi è al contempo inesorabile e sublime, pregno di significati inespressi ma presenti. Mi ci sono molto ritrovata nella mia esperienza di lunga convivenza.
“È giusto accettare questo cambiamento? Che cosa ci obbliga a tenere unite due entità distinte?” Il silenzio in questo bel racconto è ora rifugio ora strumento di lotta, i dubbi della protagonista sulla sua relazione matrimoniale e sul senso più alto della sua vita si dipanano e trovano la forza di una nuova risposta solo “nel gesto” finale nella forza di un nuovo contatto.Inutile dirlo mi è piaciuto molto il tuo racconto per la sensibilità tipicamente femminile che non accetta la “resa”.
Scusate Ivana e Anna Rosa se non vi ho risposto subito. Sono stata in viaggio e non ne avevo la possibilità. Vi ringrazio entrambe per i bei commenti e andrò quanto prima a leggere i vostri racconti che saranno senz’altro altrettanto belli.
Grazie, Ivana, per l’apprezzamento sulla mia scelta narrativa, sono contenta di sapere che hai ritrovato la tua esperienza personale di convivenza. Questo potrebbe significare che sono riuscita a descrivere bene i sentimenti di coppia oppure che, come credo, all’interno di ogni coppia il gioco dei sentimenti è simile.
Grazie, Anna Rosa, per aver gradito il mio racconto, riuscendo ad analizzarlo in modo così sensibile e generoso nei miei confronti.
Scusa Ivana, sono molto stanca , perché appena tornata da un lungo viaggio e non ricordavo di aver già letto il tuo bel testo sulla pesca miracolosa, che mi è piaciuto molto, tanto da commentarlo subito. Forse oltre la stanchezza del viaggio, sto veleggiando verso l’Alzheimer!