Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Buon Natale Katarina” di Vilma Buttolo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Buon Natale Katarina

Non avrebbe dovuto cedere.
– Grazie Ivana. Sei un tesoro – le aveva detto la giovane collega. Così, come accadeva ormai da alcuni anni, sarebbe rimasta lei a lavorare fino alla vigilia. In fondo non aveva né un compagno stabile e neppure dei figli che richiedessero la sua presenza per quella festa. Non li aveva voluti.

– Maresciallo è sufficiente che lei stia qui – disse con tono autorevole. Erano state le sue prime parole, dopo una rapida stretta di mano.
Era arrivata a quell’appuntamento a piedi. “Non è troppo distante” aveva pensato, prima di raccogliere dalla scrivania i documenti necessari. E poi quel tragitto le sarebbe servito per mettere in ordine, nella sua mente, le immagini di ciò che sarebbe accaduto. Come il montaggio della pellicola di un film ormai familiare.
– Lo sa che devo entrare con lei – replicò senza troppa convinzione l’anziano carabiniere. Ivana provò un certo fastidio: non per quel silenzio delle sette e trenta del mattino di un giorno quasi di festa e neppure perché si trovava a discutere con quell’uomo in divisa all’ingresso del piccolo ospedale di provincia. Voleva fare in fretta.

– “Ladri di bambini” questo sarà il titolo che leggeremo sul giornale della Valle. Lo sai vero? – aveva sottolineato il segretario vedendola uscire, dall’ufficio di servizio sociale, la sera prima.
– Sì lo so. E tocca di nuovo a me. Ma del resto l’ho voluto io. Anche se.
A quella sospensione il segretario si fece più attento.
– Anche se?
– Anche se questa vicenda mi mette un po’ a disagio. Comunque – aggiunse con un sospiro – preferisco andare da sola. Veronica non mi sembra ancora in grado – disse prima di uscire.
– Sempre protettiva eh? – furono le ultime parole che sentì chiudendo la porta.

Il maresciallo spostava il peso del corpo da una gamba all’altra e a Ivana sembrò un ondeggiare lento, quasi un ritmo del suo parlare. Per un attimo posò l’ attenzione sulla divisa scura. Piccoli fiocchi di neve gli si erano fermati addosso. Fu tentata di spazzarglieli via dalla spalla con la mano. Ma l’ ultima frase che sentì, ristabilì il confine.
– Per mantenere l’ordine – concluse il maresciallo.
Tentando una possibile mediazione Ivana disse – Facciamo così, saliamo insieme e lei resta fuori dal reparto. Se qualcosa non va la chiamo.
Si guardarono come per siglare quel patto e poi insieme si diressero verso l’ascensore.
Entrando nel reparto Ivana si sbottonò il cappotto e si sfilò la sciarpa con un gesto rapido. “ Fa troppo caldo qui dentro” pensò avviandosi lungo il corridoio ancora illuminato dalle luci notturne. Il suo passo sicuro era più delicato del solito. L’odore di crema e borotalco la avvolse ancor prima di poter distinguere le stanze e i vetri della nursery. Rallentò fino quasi a fermarsi. Sapeva che da lì in avanti la vita di altre persone sarebbe cambiata.
– Sto facendo la cosa giusta – si disse infine, ripassando mentalmente tutti i fotogrammi di quella brutta vicenda fatta di violenza, povertà, emarginazione, ignoranza, solitudine. Di immensa solitudine. Forse era proprio “quella storia” e il clima natalizio a turbarla.
“Sto facendo la cosa giusta” si ripeté riavviando il passo. Imboccò un altro corridoio e si fermò.
Vicino al vetro, che separava gli adulti dai piccoli appena venuti al mondo, c’era una zingara. La vide nella penombra del reparto. Si avvicinò lentamente per osservarla meglio.
Era alta. La lunga gonna a fiori e i colori accesi accentuavano le sue forme abbondanti. I capelli erano pettinati e acconciati con cura. Aveva profonde rughe sul volto. Le sue mani nodose, appoggiate al vetro, le ricordavano quelle radici che emergono con forza dalla terra.
Fece ancora qualche passo fino ad arrivare più vicina a lei. Si fermò dietro al grande albero di Natale. Prima di ogni altro pensiero, fu colpita da un odore acre di legna bruciata, che proveniva da quella donna e che, inaspettatamente, le sembrò familiare.

– Ivana deve rimanere con noi- la voce della nonna la colpì più per il tono che per le parole. Si era svegliata in quella fredda mattina di inverno ed era stata un bel po’ a godersi il caldo, sprofondata nel morbido materasso. Li aveva sentiti bisbigliare al piano di sotto. Non voleva ascoltare quei discorsi dei grandi, ma il sottotetto dove dormiva non aveva porte.
– Non ce la lasceranno mai – rispose il nonno
– Dobbiamo provare. In quella casa sono matti, compreso nostro figlio. Quei due non sono dei bravi genitori e Ivana sta soffrendo troppo. Sta molto meglio qui – concluse la nonna.
Ivana non aveva capito bene di che cosa stessero parlando. Era abituata ad altri toni e rumori che in quella casa non aveva mai sentito. Forse, anche per quello, lo stare dai nonni era sempre una festa. Si era preoccupata però perché aveva sentito pronunciare il suo nome. Allora era scesa dalla scala in legno per raggiungerli nella grande cucina.
La sentirono arrivare dal rumore dei piedini sugli assi cigolanti.
– Ivana attenta – le disse il nonno raggiungendola velocemente – lo sai che non devi scendere da sola – aggiunse prendendola in braccio. Lo strinse forte affondando il viso nella sua camicia a quadri. Le piaceva l’odore del nonno.

Ivana non riusciva a capire chi fosse la nomade di fronte a lei. Forse una nonna, una bisnonna. Conosceva molto poco di quella situazione. Giusto il necessario: una madre bambina già in comunità, lontana dalle botte di quell’uomo che era suo padre. Padre e chissà cos’altro ancora.
La donna osservava attraverso il vetro. Ivana colse in quello sguardo una tenerezza infinita. La bimba che cercava non era lì, ma lei guardava tutti quei neonati come se fossero suoi.
Piangeva in silenzio e accarezzava il vetro parlando sommessamente in una lingua che Ivana non capiva ma il cui suono le piaceva.

– Papà lo sai che non posso lasciarti Ivana – La voce di suo padre le aveva spento il sorriso di quei giorni. Avrebbe voluto scappare ma le gambe non si mossero e rimase lì tra quei due uomini.
– In autunno inizierà la scuola. Faremo di tutto per lei e non accadrà più. Te lo prometto.
Ivana sentiva suo padre dietro di lei stringerle le spalle. Le mani nodose del nonno, lì di fronte, le sembrarono serrarsi. Poi il nonno disse a suo figlio qualcosa, in quella lingua di cui lei conosceva solo qualche parola, imparata per gioco. Di lì in avanti, la loro discussione continuò con quelle frasi incomprensibili di cui lei capì solo la violenza dei toni.
Il giorno dopo lasciò quelle montagne di confine e quei nonni che vide via via sempre meno nel tempo, fino a non frequentarli più.

L’idea di chiamare il maresciallo non l’aveva neppure sfiorata. Ivana avrebbe voluto invece chiedere a quella donna chi fosse, spiegarle che la bambina sarebbe stata bene.
Poi, in un attimo, le luci del reparto si accesero. La zingara di scatto si girò verso di lei. Il tempo sospeso tra la realtà e i ricordi si interruppe.
– Ehi cosa fai qui? – Un’infermiera, uscì all’improvviso dallo studio medico.
– Ehi dico a te – continuò dirigendosi verso quell’ ospite inattesa.
Anche Ivana allora si avvicinò.
– Scusa – disse la nomade all’infermiera guardandola solo per un attimo – ho sbagliato scusa.
Poi girandosi verso Ivana le parlò, con quella cadenza balcanica, come se avesse saputo chi fosse.
– Che Dio ti benedica signora. Che Dio benedica tutti questi bambini e – si interruppe per un attimo afferrandole le mani – e benedica Katarina. Per favore – aggiunse, stringendo la sua presa. Ivana rimase immobile.
Tutto si svolse velocemente. Con destrezza la donna fece scivolare le proprie mani dalla stretta appena nata e si allontanò dall’uscita di sicurezza.
L’infermiera perplessa le si avvicinò – Le ha fatto male dottoressa? Ah questi zingari – disse con un sospiro – Non ho capito cosa le ha detto. E lei?
– Neanch’io – sussurrò Ivana infilando la mano destra, ancora chiusa, nella tasca del pantalone.

Faceva freddo come sempre tra quelle case sperdute fra le montagne del Friuli, ma Ivana, ormai un’adulta, non era più abituata da tempo al gelo di quelle giornate. Se non fosse stato per la situazione, sarebbe stata una bella vigilia di Natale, con il sole e le cime bianche, con tutta la gente del paese intorno a lei, il profumo di neve e l’aria pungente che si mescolava con il calore del fumo dei camini.
La cerimonia fu toccante, tante persone da riempire non solo la piccola chiesa ma anche il sagrato. Furono tanti gli anziani che la salutarono, chi con un sorriso, chi con una carezza.
Poi si diressero verso il cimitero. Accanto a lei, con un incedere lento, camminava suo padre. Era curvo e stanco, finalmente meno forte di allora. Arrivarono in un attimo di fronte alle fosse per i nonni. Un cuscino di fiori appoggiato a terra riportava la scritta “Insieme per sempre”. Così era stato. Erano morti a distanza di due giorni uno dall’altro: prima la nonna e poi il nonno.
Vide suo padre accartocciarsi su sé stesso.
– Tua madre ed io non siamo stati dei bravi genitori – le sussurrò con gli occhi umidi – Le cose non sono andate come avrei voluto. Forse avrei dovuto lasciarti qui con loro – disse continuando a guardare davanti a sé. Poi tacque nell’attesa di una parola o di un segno che alleviasse il proprio rimorso.
Ivana non rispose. Preferì fosse il silenzio ad accompagnare le sue lacrime.

– Dottoressa Calligaro, tutto bene? – le chiese il maresciallo vedendola arrivare con la bimba.
– Si. Tutto bene .
– Mi sembra ci abbia messo molto. – sottolineò con apprensione. Poi allungò una mano verso la neonata che dormiva nel seggiolino, sfiorandole con l’indice il piccolo mento.
– All’ultimo hanno dovuto cambiarle il pannolino – mentì guardando la piccola. Non gli avrebbe detto della zingara. Non era successo nulla, infondo. Ognuno aveva fatto la cosa necessaria.
Nell’ascensore il maresciallo osservò attento la bimba.
– E’ bella – disse inaspettatamente. Ivana annuì. Le parole che avrebbe voluto far uscire le si fermarono in gola, lì dove un grosso nodo le si era formato nel ricordare la sua storia.
Usciti dall’ospedale si diressero ognuno verso la propria auto; i timidi fiocchi della mattina si erano trasformati in una nevicata decisa. Ivana sistemò il seggiolino facendo attenzione a non svegliare la bambina.
Fu affiancata dalla volante: dal finestrino abbassato il carabiniere alla guida si fece dare le indicazioni necessarie.
– Tanto dobbiamo seguirla dottoressa – precisò il maresciallo, sporgendosi verso di lei dal suo posto – non corra troppo, mi raccomando – disse alla fine sorridendo.
Ivana entrò nella sua auto e mise in moto. Il rumore improvviso svegliò la piccola, che spalancò gli occhi; erano ancora di un colore indefinito. Si guardò intorno come se stesse cercando qualcuno e poi voltò il capo verso di lei senza piangere.
– Ciao piccolina – le disse, prima di prendere dalla tasca ciò che le aveva lasciato quella donna. Una catenina con un ciondolo raffigurante l’immagine di una santa. Una santa nera. Sul retro una scritta Santa Sara. Gliela infilò, sistemandola poi sul corpicino infagottato.
– Ti appartiene, forse un giorno ne scoprirai il significato – le disse aggiungendo, poi, prima di partire: – Sretan Bozic Katarina. Buon Natale Katarina.

Vilma Buttolo

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12 commenti »

  1. Ivana, che deve fare il suo lavoro, Ivana che ha più esperienza e ritiene più giusto sobbarcarsi lei quel forte impatto emotivo, Ivana che cerca di ignorare la sua di emotività… che però inevitabilmente riemerge, con ricordi di un passato che fanno parte di lei. Ivana che sa di non essere una ladra di bambini, ma di essere lì per permettere alla bimba di sperare in un futuro migliore. Ivana che, però, le permette anche di mantenere un flebile legame col passato: una catenina e un nome. Non posso far a meno di dirti che per più motivi provo enorme stima di Ivana e di te che hai voluto descrivere un tale episodio da un punto di vista che spesso viene poco considerato. Complimenti per la delicatezza del racconto!

  2. Grazie di cuore.

  3. Ciao Vilma. Un racconto vero e commovente. Mi è piaciuto molto.Bello lo stile pulito e le immagini.
    Suscita tenerezza per la bambina, per il futuro ignoto che la accoglierà.
    Toccante

  4. Grazie Raffaella! In bocca al lupo

  5. Ciao, Vilma. Che bello! Bravissima.

  6. Ciao Pietro, grazie e in bocca al lupo anche a te!

  7. Un bel racconto, mi è piaciuto molto come hai reso il tema, lo stile asciutto e la resa dei flashback. Complimenti!

  8. Grazie!

  9. Quante cose ci sono qui! Ecco un romanzo in miniatura, con ambienti, vite e personaggi affascinanti e diversità interessanti. Lo dico sul serio: un racconto notevole che è anche la sinossi di una storia più ampia che potrebbe essere bellissima.

  10. Grazie!

  11. Un bel racconto, che svela contenuti interessanti.
    Lo stile asciutto e pulito rende la lettura scorrevole e lo leggi velocemente.
    A metà le vicende si intrecciano con la vita della protagonista.
    Sembra un noir, per la presenza del maresciallo, in realtà i contenuti drammatici si concludono con realismo e con toni che prospettano un futuro di speranza.
    Brava.

  12. Grazie!

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