Premio Racconti nella Rete 2017 “Amicizia differenziata” di Tommaso Tronconi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Anche quella mattina il sole svegliò presto Goran. La luce filtrava con facilità nell’atrio dell’agenzia immobiliare. Goran se ne stava lì, ogni notte, a terra, sul suo lettuccio di cartone, abbarbicato alle coperte intrise di polvere e terriccio. Il sole picchiava forte sulle due vetrine laterali piene di annunci di Vendesi e Affittasi. E Goran non se lo faceva ripetere due volte, dal sole, di svegliarsi. Non poteva rimandare la sveglia, perché di sveglie non ne aveva. Allora si stiracchiò sotto le coperte, poi si alzò e si specchiò nelle vetrine. Ogni mattina sempre più arruffato, prese il pettine dal suo zainetto sfilacciato e provò a spianarsi un po’ i capelli. Ma come ogni mattina, l’impresa fu vana. Piegò quindi i cartoni, ripiegò le coperte, imbracciò il suo zainetto mezzo scucito e uscì di casa, o quello che era insomma. Ripose quindi le coperte e i cartoni nello sportello di un vecchio quadro elettrico, o forse dell’acqua chissà, all’interno di un cortile lì vicino dove non passava mai nessuno.
Come ogni giornata che si rispetti, anche la sua cominciava con la colazione. Già di prima mattina i bar pullulavano di persone: insegnanti, studenti, bancari, impiegati, nonni. Goran aveva i suoi due o tre bar prediletti che bazzicava a rotazione. Se ne sta lì, nascosto dietro le colonne dei porticati o le auto parcheggiate. C’era sempre qualcuno che, per fretta o mancanza di fame, lasciava qualcosa sul tavolo: qualche biscotto, un pezzo di cornetto, un goccio di cappuccino o di succo di frutta. Non appena vedeva un cliente abbandonare il tavolino all’aperto, Goran sgattaiolava fuori dal suo nascondiglio e si fiondava come un falco sulla sua preda mattutina. Agguantava il boccone di brioche avanzato o il rimasuglio di caffè e se lo pappava a gran velocità prima che arrivasse il cameriere a sparecchiare. Le altre persone sedute a far colazione lo vedevano, lo guardavano, fingendo di non curarsi di lui. Era un po’ come un piccolo fantasma, anche se pulito non era e di gelsomino non profumava. Qualcuno lo fissava schifato, ma rimaneva in silenzio, come a non volersi immischiare. Soprattutto ci fosse mai stato qualcuno di buona volontà che gli avesse offerto volontariamente qualcosa da mangiare o da bere.
In modo simile agiva in vista del pranzo per aggiudicarsi qualche tozzo di panino avanzato. Il suo luogo preferito era la zona intorno all’università, dove ragazzi e ragazze sgrifavano ogni giorno fettone di pane e schiacciate che costantemente non finivano e gettavano a pezzi intatti nel cestino. Goran aveva l’occhio lungo, osservava con attenzione e appena vedeva qualche prelibatezza buttata via, correva di soppiatto verso il bidone dei rifiuti, guardava dentro, metteva la manina nel buco e, come un bravo mago fa col coniglio nel cilindro, tirava fuori il suo pranzo. Non è difficile capire come, di questo passo, sempre nel posto giusto al momento giusto, riuscisse a riempirsi lo stomaco. Procurarsi la cena, invece, anche per colpa del buio, era impresa più ardua. Ma con i primi due pasti della giornata Goran riusciva a tenere duro fino a sera.
Il resto della giornata la passava a zonzo, tra giardinetti per bambini, vicoli più o meno ignoti, strade del centro, con il palmo destro sempre teso nella speranza che qualcuno potesse regalargli qualche spicciolo da mettere da parte.
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Il camion tossiva ogni volta che entrava in moto. Poi bastava un poco di gas per farlo rombare, come se stesse annunciando il suo imminente arrivo a bloccare il traffico cittadino. Perché il camion della nettezza, al pari dei tassisti e dei ciclisti contromano, è uno dei peggiori nemici del traffico. Procede lento, goffo, come un’enorme scatola da scarpe con le ruote. E, pur essendo innocuo, incute qualche timore.
Gionni doveva fare tutto da solo. Ogni singolo operatore ecologico, come lo chiamavano gli addetti ai lavori ma non i comuni cittadini, doveva guidare, fermarsi, scendere, prendere il bidone della spazzatura, svuotarlo nel camion, quindi rimetterlo a posto, rimontare su e ripartire. E così via per ogni cassonetto della spazzatura presente sul percorso da coprire.
Anche giunto all’angolo dopo l’agenzia immobiliare dove dormiva Goran, Gionni scendeva e compiva il suo rito quotidiano di rimozione dei rifiuti. Quando un giorno vide proprio il piccolo Goran. Se ne stava lì, tra i bidoni dell’immondizia a cercare del cibo o chissà cos’altro. Il bambino quasi non s’accorse dell’arrivo del camion. Poi Gionni spostò un bidone e Goran lo vide. Ne ebbe paura e scappò subito via. Gionni non fece neppure in tempo ad aprir bocca che rimase immobile ad osservare il ragazzino correre lontano, mentre dietro al camion un signore impaziente già clacsonava senza requie. Poi svuotò i bidoni, li rimise a posto, rimontò su e ripartì.
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Il giorno seguente accadde la stessa cosa. Gionni e Goran s’incontrarono sempre lì, ma anche stavolta il piccolo fuggì subito, lasciando ancora il netturbino senza parole.
Così però non fu la volta successiva.
Quella volta, infatti, Gionni fermò il camion una manciata di metri prima e pian pianino si avvicinò ai bidoni, dai quali sentiva armeggiare il piccoletto. Gionni teneva in mano un album di figurine, quelle coi faccioni dei calciatori, e qualche immaginetta sbertucciata ma ancora buona da attaccare. Tese la mano tra i bidoni senza farsi vedere, Goran adocchiò subito le figurine, ci si fiondò sopra e si trovò davanti l’uomo. Spettinato anche lui, con le sopracciglia folte e spampanate, qualche dente ingiallito e fuori posto, qualche ruga ben visibile sul volto. Ma due occhi buoni, scuri, che lo lasciarono interdetto.
«Queste sono per te. E questo è l’album dove attaccarle» gli disse con fare gentile Gionni.
«… grazie…» rispose timido Goran.
Poi Gionni si rialzò e mentre il ragazzetto sbirciava avido quanto ricevuto in dono, svuotò i cassonetti, rimontò sul camion e partì. Goran ebbe solo il tempo di urlargli dietro: «Come ti chiami?».
«Gionni, mi chiamano Gionni!» rispose l’uomo.
«… io sono Goran!» gridò con un misto di gioia e imbarazzo il piccoletto.
Gionni stese il braccio sinistro fuori dal finestrino e agitò la mano in segno di saluto.
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Un altro giorno spuntò e Gionni e Goran s’incontrarono ancora, stesso posto, stessa ora.
«Ciao Goran!» disse Gionni.
«Ciao… Gionni…» rispose il bambino.
«Oggi non ho niente da darti…» disse dispiaciuto il netturbino.
«Domani è il mio compleanno!» tuonò allegro Goran.
«Allora ti farò un regalo, promesso!» esclamò l’uomo, stringendo la manina del piccolo amico, che arrossendo sorrise.
Il giorno dopo Gionni suonò il clacson. Goran sbucò fuori dai bidoni e vide che Gionni agitava in aria un camioncino.
«È il mio regalo!?» gridò di felicità Goran.
«Sì, ma è solo una parte del tuo regalo…» rispose Gionni, che intanto era sceso dal camion allungando il giocattolo al piccolo amico.
«Senti Goran, lo vuoi fare un giro su un vero camion?» gli domandò.
«Sì!» rispose Goran saltando sul posto.
«Allora andiamo!» disse Gionni aprendo la portiera del camion della nettezza.
Goran balzò su come un grillo.
«Dunque il tuo nome è Goran, giusto?» domandò amichevole Gionni.
«Sì…» rispose Goran, tutto preso a guardare da vicino il camioncino giocattolo.
«Vieni dall’Est Europa?» ribatté l’uomo.
«Sì…» rispose ancora il piccolo senza scollare gli occhi di dosso dal suo regalo.
«E i tuoi genitori dove sono?» chiese ancora Gionni.
«Non lo so…» disse triste Goran.
Poi incalzato poco alla volta da Gionni, nel suo italiano stentato e abbozzato, Goran raccontò al netturbino che i suoi genitori erano stati presi durante una retata delle forze dell’ordine al campo rom della città dieci giorni prima. Lui era riuscito a scappare. Ora non sapeva dove fossero mamma e papà, e loro non sapevano dove fosse lui.
«E vivi di furtarelli?» gli chiese Gionni.
«Sì…» rispose con un po’ di vergogna il ragazzino.
«Guarda che non ti devi vergognare. Anche io ho rubato. Sono stato anche in prigione per furto e rapina».
Goran lo guardò con gli occhi sgranati, in bilico tra ammirazione e timore.
«Sai dove ho preso le figurine che ti ho dato?» disse Gionni.
«No… dove?» rispose Goran.
«Le ho rubate!» disse sorridendo l’uomo. «E lo sai dove ho preso il camioncino che hai tra le mani?» aggiunse poi.
«No… dove?».
«Ho rubato anche quello!».
Goran incominciò a ridere e finse di tirare una piccola pacca sulla spalla dell’uomo.
«Dico davvero, Goran, le ho rubate. O almeno in un certo senso. Tu non sai quanta roba butta via la gente. Le figurine e codesto camioncino li ho presi da un bidone del sudicio. Ma sono come nuovi!» spiegò l’uomo.
«Grazie…» riuscì solo a dire Goran.
«Non devi ringraziarmi. Vedi, in realtà io e te siamo molto simili…» incominciò Gionni.
«Ma io sono piccolo…» ribatté subito Goran.
«Sì è vero», disse ridendo compiaciuto l’uomo, «ma siamo simili. I nostri nomi cominciano entrambi con la G, siamo dei ladruncoli, tutti ci evitano perché puzziamo un po’, siamo soli soletti».
Poi aggiunse: «Sai, un tempo di riparava di tutto: frigoriferi, elettrodomestici, giocattoli, tutto! Oggi non più: si butta via tutto. Non funziona? E allora si butta via subito. Stessa cosa facciamo con gli altri. Non ci piacciono? E allora non li vogliamo con noi, li buttiamo nella spazzatura, li mettiamo in un angolo, proprio come le cose che non servono più». Gionni sapeva che Goran non capiva tutto quello che gli stava dicendo. Ma poco importava. Gli andava bene così.
Finito il giro, stringendo in mano il suo camioncino, Goran salutò Gionni: «Ciao… a domani!». E colmo di gioia, guardò il camion allontanarsi.
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Il giorno successivo il camion dell’immondizia arrivò con un po’ di ritardo. Ma stavolta a scendere non fu Gionni. Un altro uomo si chiuse dietro la portiera e cominciò a raccogliere la spazzatura.
«Dov’è Gionni?» chiese Goran.
«Chi?» rispose lo sconosciuto.
«Gionni!» ribatté amareggiato il piccolo.
«Ah sì… ho capito chi dici. No, Gionni non verrà più. È di nuovo in carcere. Il suo periodo di reintegrazione sociale è sospeso.» rispose.
Anche stavolta Goran non capì tutto, ma afferrò il concetto.
Quella sera se ne andò a letto mogio mogio. Ma prima di addormentarsi, con un pennarello finito chissà come nel suo zainetto, prese uno dei cartoni dove dormiva e su un lato, come fosse uno zerbino di benvenuto, ci scrisse: “Casa di Goran e Gionni”.
Intanto è molto carino il titolo. Poi sono molto ben tratteggiati i caratteri dei due personaggi. C’è qualcosa di modernamente de amicisiano nei protagonisti, ma ci sta: i buoni sentimenti trovano sempre casa, come ci insegna Gioran. Bel racconto, tenero e toccante!
Caro Ugo, grazie di queste tue belle parole.
Ho letto il tuo “Sem fa cucù” e colgo l’occasione per farti i miei complimenti per come scrivi racconti per bambini, hai un penna felicissima!
Molto piacevole il tuo racconto. Non vuole strappar lacrime, ma riesce a far riflettere su problemi reali che vengono normalmente raccontati con prediche noiose o retoriche. Bravo!
Sì esatto Annalisa, volevo suscitare una piccola riflessione su due tipologie di esclusi e isolati nella nostra società. Avevo in mente da tempo questi due personaggi, il loro incontro è stato pressoché naturale.
Tommaso, complimenti davvero. Condivido pienamente le parole di Annalisa: scrittura pulita e coinvolgente; interessante la tematica sociale, affrontata con grande lucidità e senza sentimentalismi.
Bravo Tommaso, delicato questo tuo racconto, bello e scritto molto bene, ha una prosa bellissima costruita sui dialoghi, non facile ma il risultato è fluido
Complimenti!
Mi ha attratta il titolo, davvero d’impatto, non zero…
E poi mi hanno catturata i dialoghi, difficilissimi da sostenere così a lungo, secondo me, e tu l’hai fatto egregiamente, complimenti. Intensa la storia, che di una delle tante forme dell’amore tratta.
E adeguato il finale che fa pensare anche agli invisibili, sporchi fuori ma con un’anima pura.
Grazie.
Tommaso, un’amicizia differenziata come i rifiuti che abbondano e l’umanità che si sfuma nell’indifferenza. Il tema della povertà è difficile da trattare senza moralismi e tu lo fai con grande scioltezza e leggerezza, ma senza scadere nella banalità.
Lo spaccato di vita che questo racconto affronta è quello degli emarginati, gente fuori dal contesto sociale, i cosi detti invisibili. Ma l’autore più che alle condizioni reali del protagonista, un ragazzino che vive in stato di povertà, solo, ci mostra la sua vita puntando l’attenzione ai sentimenti. E il sentimento d’amicizia tra lui e un addetto alla raccolta dei rifiuti dà leggerezza alla storia. Piacevole
Tommaso,
prima di tutto complimenti per come scrivi: ho trovato la tua penna scorrevole, coinvolgente e caratterizzata da una scelta sapiente e controllata dei vocaboli, mai ridondante o tesa a strappare il plauso del lettore per il “parolone” di turno.
Hai affrontato il tema con delicatezza, dando ai due “amici differenziati” il lampo, seppur brevissimo e fugace, di una vita migliore, a dispetto di una società che, ormai troppo spesso, non vede, non sente, non ascolta.
E chissà, magari questa mattina, dopo averti letto, qualcuno offrirà una vera colazione ad un Goran qualsiasi.
Posso solo farti tantissimi complimenti.
Bravo!