Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Il mare buio” di Corrado Giusti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

        Paolo era giovane e bello, ma visibilmente inquieto: si sedette al volante e sbatté con violenza la portiera dell’auto; avviò il motore, accese i fari e partì, lasciando di scatto la frizione. Francesca, mora e sottile, al suo fianco, sobbalzò. Era notte inoltrata e la luna non si era ancora levata a rischiararla; le vie della città, oramai, erano deserte. Paolo respirava a fatica, come chi ha compiuto un grande sforzo; Francesca, invece, appariva completamente rilassata. Stettero a lungo in silenzio, poi, quando furono in periferia, Paolo si passò la mano tra i capelli, si scostò dal collo la camicia, fece un lungo respiro, come di sollievo, e prese la parola:

        «Non dirmi che non ti aspettavi una simile reazione, Francesca! Quante volte ti avevo ripetuto che ero stanco, nauseato dal tuo comportamento, ma tu no, non hai voluto ascoltarmi: hai continuato ad agire di testa tua, da quella presuntuosa che sei sempre stata!».

        Nelle sue parole non c’era odio, ma solo amarezza.

        L’auto aveva già imboccato l’Aurelia e procedeva verso sud, a velocità sostenuta. Francesca, a capo chino, taceva; non dava alcun segno di aver recepito le sconsolate parole di Paolo. Era come assente, estranea. Superato lo svincolo per Rispescia, Paolo, impaziente di arrivare, fece un primo sorpasso azzardato; l’auto, poi, mentre stava per superarne un’altra, frenò disperatamente, per non tamponare quella che la precedeva, che aveva rallentato per sterzare a destra. Francesca non disse nulla: era indifferente a tutto. Dopo un po’ Paolo riprese il discorso interrotto:

        «Non puoi sapere fino a che punto ti sei fatta odiare! Eppure ti sarebbe bastato così poco! Cosa ti sarebbe costato ascoltarmi?».

        Abbassò il finestrino dalla sua parte, senza chiedere a Francesca se le arrecasse qualche disturbo, e lasciò entrare l’aria umida della notte, che respirò a pieni polmoni.

        La massa oscura dei Monti dell’Uccellina si era assottigliata; oramai erano giunti all’altezza di Talamone ed il piccolo paese apparve, ad un tratto, tutto pieno di luci, come una giostra, sul mare buio. Il grande occhio del faro rosso si spalancava e subito si richiudeva. I lumi di Fonteblanda apparivano, invece, sparpagliati, qua e là nella piana. L’auto procedette oltre, in direzione di Albinia, e Paolo riattaccò il soliloquio:

        «Cominciasti subito, appena sposati, ma io credetti che bastasse dirti di non farlo più. Eri giovane, viziata dalla famiglia; ecco, sì, viziata, specialmente da tua madre…».

        Francesca non faceva parola, ma continuava a stare a testa china: pareva che recitasse il «mea culpa».

        «Eppure io ti ho sempre voluto bene, nonostante tutto! Eri così carina, così fragile, così tenera… Mi piacevi tantissimo! Ti sposai per amore! Tu no, tu avevi fatto bene i tuoi calcoli: avevo una buona posizione, potevo assicurarti tutto quello che desideravi… Tu e tua madre… Tua madre… La colpevole di tutto è lei! Basta guardare tuo padre: quel pover’uomo regge l’anima coi denti! Ma tu non mi ridurrai così: io voglio vivere a lungo, io, ed in buona salute, cara mia!».

        Prima di giungere a Orbetello, l’auto imboccò la strada del Tombolo di Giannella, una strada stretta, lungo una lingua di terra fra la laguna e il mare, fiancheggiata, a sinistra, da un’alta barriera di eucaliptus, solitamente fruscianti al vento, ora immobili nella calma della notte. Paolo, premendo un bottone sul cruscotto, abbassò elettronicamente anche il finestrino di destra e lasciò entrare nell’abitacolo la brezzolina frizzante che veniva dal mare. Francesca sembrò rabbrividire, mentre un ciuffo dei suoi capelli neri si agitava nell’aria, balenando nell’ombra. Non accennò neppure a riordinarli: era accasciata, distrutta. Ora Paolo era ammutolito: si limitava a tirare lunghi sospiri. La tensione si andava allentando. Subentrò un senso di angoscia:

        «Ora, purtroppo, non c’è più niente da fare!».

        La sua voce era rauca, dimessa:

        «Oramai la situazione è irrimediabile, Francesca… Vorrei sentirti dire che ho un po’ di ragione, almeno un po’, ma so che non lo farai…».

        La voce si spense come in un singhiozzo… Altri profondi respiri e ritrovò la sua sicurezza.

        «Bisogna vivere, Francesca, bisogna tutelarsi… Conta solo vivere… Sono certo che in questo sei d’accordo con me…».

        E la sua bocca accennò un sorriso, che si tramutò in una specie di ghigno.

        Raggiunto il ponte di Santa Liberata deviarono a destra, verso Porto Santo Stefano; sulla strada tutta curve non transitava nessuno. Le ville appollaiate sul monte e quelle sotto la strada, a strapiombo sul mare, solitamente piene di luci e di suoni, erano sprofondate nel buio e ammutolite nel silenzio. Evitarono il paese, che si arrampicava altero sul monte Argentario, costeggiarono per un breve tratto la banchina e salirono in alto, imboccando la strada panoramica.

        La luna non c’era ancora e si poteva vedere, all’intorno, solo quel poco che i fari riuscivano a illuminare: la strada bianca, le siepi polverose, qualche raro casolare… Le abitazioni dei vip erano sulla destra, sotto la strada, nascoste tra la macchia rocciosa, sopra la scogliera… Il mare sembrava immenso, come il buio che l’opprimeva. Ad un tratto l’auto si fermò, tutta appoggiata sulla destra, a pochi centimetri dallo strapiombo.

        Paolo si rilassò, aggiustò lo specchietto retrovisore, dando un’occhiata alla strada, alle sue spalle, aprì lo sportello dalla sua parte, fece per scendere; poi sembrò ripensarci: si volse verso la donna e si buttò di traverso sul suo corpo…

        Raggiunta con la mano la portiera di destra, la spalancò, sganciò la cintura di Francesca e… la spinse con forza nel vuoto.

        Poi scese in fretta dall’auto e corse sul ciglio della strada, fermandosi sospeso e tendendo l’orecchio: udì chiaramente il tonfo del corpo che aveva raggiunto il mare e il croscio dell’acqua che l’aveva accolto. Si stropicciò le mani con soddisfazione:

        «E ora goditi tutto il maledetto sale che vuoi, Francesca! A me basta che non ne usi più in cucina! Non hai mai voluto capire che il sale danneggia le arterie! Tu pensavi solo a te stessa: eri peggio di una capra! Alla fin fine mi hai costretto tu ad ucciderti: quella zuppa, oggi, era davvero immangiabile!».

        E risalì in auto, finalmente in pace con se stesso, con Francesca e col mondo.

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6 commenti »

  1. Mi ha ricordato un fatto di cronaca che raccontava di un uomo che ha effettivamente ucciso la moglie proprio per la minestra troppo salata. Il fatto che lei non parli per tutto il tragitto rende intrigante il finale: era già morta o si lascia uccidere? Credo la prima, ma l’alone di dubbio mi piace,lascia la storia più aperta.

  2. Confesso che anche io ho sognato di buttare giù dalla scogliera qualcuno molto fastidioso. Condivido il pensiero di Paolo, il salato fa male alla salute e bisogna sempre correre ai ripari!!! 🙂

  3. Un monologo quasi surreale in una notte folle in autostrada con un finale inaspettato. Mi chiedevo, leggendo, dove volesse andare veramente Paolo con Francesca (Dante o Venditti)??cercava una riconciliazione oppure una fuga anche da se’ stesso, da quello che temeva di dover fare? Il finale è brusco, spiazzante ed efficace. La zuppa salata è degna del teatro dell’assurdo. Originale.

  4. I luoghi cari della Maremma accompagnano il cammino della follia ordinaria di una coppia giunta all’estremo confronto. Un uomo bonario che si trasforma in un lucido omicida del banale quotidiano. E’ in scena l’eterno confronto tra psiche e realtà, ossessione e vuoto esistenziale. Alcuni luoghi, più di altri, sono carichi di magia… le strade che ci portano ad essi, prendono sempre i percorsi più tortuosi, ma inattesi…Bravo.

  5. Complimenti! L’ambientazione, il monologo serrato di Paolo, la non reazione di Francesca, i nomi stessi dei personaggi, tutto prepara ad una conclusione forte, in cui ognuno può ritrovare riferimenti al proprio mondo…

  6. Interessante il modo in cui hai reso un uomo esasperato dal fare egoistico della propria compagna la cui superficialità e muto e inesorabile immobilismo non possono non essere imputati a una profonda e buia immaturità che finisce per incupire e provocare un guasto nella vita del protagonista forse già di per sé debole. Bello!
    Scrittura chiara, scorrevole e caratterizzata da una sobrietà che fa risaltare i particolari riguardanti il contesto, lo stato d’animo e l’atteggiamento dei personaggi.

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