Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Giorno uno” di Marco Floridia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Svegliandosi, sentì la sabbia sotto la guancia. Era calda in un modo piacevole, non la bruciante carta vetrata estiva dal cui contatto si cerca di scappare, e nemmeno la morta argilla del mare d’inverno, che lascia nelle ossa quella fredda e compatta sensazione di umido. Invece la sabbia era morbida, ripiegata in onde accoglienti, un abbraccio di sostanza viva e materna sul viso, sulle braccia e sulle gambe scoperte. Aprì gli occhi, e anche la luce era discreta, sopportabile senza bisogno di strizzare gli occhi e di desiderare il rifugio dell’ombra. Il sole non era lontano dall’orizzonte, le ombre erano corte. Il suo cammino nello spazio visibile, in una direzione o nell’altra, quale che fosse, sarebbe stato comunque ancora lungo.

Si stirò a lungo, con calma, quasi con prudenza, come se qualcosa si potesse rompere. Prima le braccia, rimanendo sul fianco, e poi le gambe, e infine i piedi e le mani, in lunghi movimenti circolari. Ancora in parte dentro l’opacità liquida del sonno ruotò su un lato per sedersi, con le gambe semidistese verso il mare. L’acqua quasi non faceva rumore. La spiaggia era lunga, quasi infinita da entrambi i lati. A destra terminava in una lontana costa rocciosa, assediata dalla vegetazione quasi fino al mare, e a sinistra in una sottile striscia bruna che poteva essere un proseguimento della costa, o un frangiflutti, o forse una fila di casette o un molo.  Poche persone camminavano in lontananza, e nessuno così vicino da poterne distinguere i particolari: l’altezza, l’età, il sesso. Si prese le ginocchia fra le gambe. Anche i rumori erano lontani e indistinti. Di fronte e in fondo, dove l’acqua incontrava la linea dell’orizzonte, si intravedeva qualcosa, un piccolo gruppo di isole forse, ma avrebbero potuto essere nuvole basse, condensazioni lontane dell’acqua marina, dialoghi di vapore e sale incomprensibili per la distanza.

Cercò nel ricordo qualcosa, ma il pensiero era come uno specchio senza vetro, una porta aperta nella notte da cui entrava solo oscurità. Non ricordava il suo arrivo sulla spiaggia, e non riusciva a collocare il momento attuale in nessun percorso precedente, e neanche nel semplice tragitto di andata e ritorno fra mattina e pomeriggio, fra alba e tramonto. La sensazione di vuoto era talmente enorme e profonda che non creava neanche panico, solo una laconica constatazione della presenza di una unica lavagna nera e uniforme nella mente, di una griglia vuota senza segnali da decifrare. Non c’erano tracce e indizi, nessun lampo rivelatore, nessun frammento della sua esistenza che potesse riaffiorare, spinto verso l’alto da un rumore, un’immagine, un odore.

Ritornò dall’inutile viaggio verso l’interno e riprese a guardare al mare come una possibile ipotesi di provenienza. I pantaloni corti, che si fermavano sopra il ginocchio, erano asciutti, coperti solo da un po’ di sabbia friabile, e la maglietta bianca era tiepida, senza tracce di sale. Accanto, poco lontano, i sandali, anche loro asciutti. Non era quella la sua recente origine. Si girò a cercare nella sabbia circostante le impronte dei suoi o di altri piedi, ma la sabbia era stata regolarmente pettinata dal vento in ciocche parallele senza orme, tranne qualche traccia di gabbiani. Scoprì con sorpresa di non ricordare neanche il suo nome, la sua famiglia, la sua nascita, neanche l’età. Con le mani ancora unite oltre le ginocchia, fece scorrere le dita sulla linea della gamba e sentì le irregolarità frastagliate dell’osso come una linea interrotta artificialmente e poi ripresa a fatica, un progetto iniziale che dopo troppe interferenze non era riuscito più a riprendere la sua intenzione originale, perdendosi in una sequenza di piccole cavità irregolari e di sporgenze improvvise, come il contorno di una lattina male aperta. La linea ossea della gamba opposta aveva un profilo anche più discontinuo, e quello che doveva essere un tratto unico con una direzione predefinita, arrivato a tre quarti della sua lunghezza, sembrava avere deciso per una deviazione di qualche grado dall’asse originario, allargandosi con un piccolo angolo improvviso ad esplorare una nuova compatibilità con il collo del piede.

Capì che tutta la sua storia era in qualche modo nascosta nella sua testa, sepolta sotto uno strato impenetrabile, nero e compatto. Ma al tempo stesso comprese che il suo corpo manteneva una memoria oggettiva, visibile e palpabile anche nell’oscurità della mente attraverso i segni della strada percorsa. E quello che si poteva leggere non era rassicurante o piacevole. A una delle caviglie la pelle si era assottigliata sopra uno strato di fibre irregolari, a formare un bracciale di colore più chiaro, un insieme di piccoli segni aggrovigliati come i rami intrecciati di un nido spinoso, la memoria scolorita di un grosso anello nuziale portato a lungo e poi perso o buttato via. Le dita dei piedi erano irregolari, quasi bizzarre, un’anarchia di geometrie che sembravano non essere riusciti ad accordarsi su una forma e un orientamento comune.

Istintivamente si guardò le mani e poi le braccia. Anche qui un papiro di geroglifici incomprensibili, sottili linee nette, come traiettorie di pioggia sferzante, schegge chiare schizzate via da un legno lavorato con rabbia. Sull’interno degli avambracci segni tondi, buchetti irregolari come il segno delle dita di un bambino in una torta. Sulla pancia, sotto la maglietta, un piano disordinato di rilievi e tonalità, schiacciati sull’addome piatto come una raccolta di fiori secchi nella pagina di un libro, un cimitero di farfalle notturne sul fondo di un vaso. I capelli scendevano lunghi sulla fronte, abbastanza da nascondere altri segni, come forse era necessario, pensò. Ma quando si sfiorò il viso lo trovò liscio, regolare, un sollievo inatteso come una piazzetta silenziosa nel cuore di un labirinto di vicoli disordinati e opprimenti. Respirò profondamente, quasi un sospiro, e decise che era abbastanza, che non aveva bisogno di leggere il resto. Il ventre si contrasse con un brivido istintivo, una difesa automatica, un riflesso antico, un rigetto involontario e abituale. Tutto era appartenente e profondo, e al tempo stesso estraneo e inafferrabile.

Finalmente si alzò in piedi. Le gambe sulla sabbia erano forti, l’appoggio facile, l’equilibrio naturale. Prese entrambi i sandali tenendoli in una sola mano, e si diresse verso la riva. Entrò per due passi nell’acqua bassa e trasparente, e iniziò a camminare nel bagnasciuga verso uno dei due estremi della spiaggia. Dopo qualche minuto, incontrò le prime persone, gente che camminava sulla spiaggia portando alcune cose collegate in qualche modo alla loro vita quotidiana. Alcune barche erano appoggiate sulla riva, di fronte a semplici casette di legno che si affacciavano sulla spiaggia, tettoie di canne con qualche sedia sotto per ripararsi dal sole. Qualcuno dalle case salutava amichevole, da qualche parte arrivava una musica. La lunga striscia scura che prima aveva visto svegliandosi si era ora definita come un molo, con piccole barche e un agglomerato di abitazioni. Salutò con un cenno due donne che passavano parlando fra loro sulla riva. Parlavano una lingua che non era la sua, ma poteva capirle, e loro ricambiarono con un sorriso, ricominciando poi la conversazione da dove si era interrotta.

Proseguendo verso il molo ad un certo punto, automaticamente, mise una mano in tasca. Alcuni spiccioli, qualche banconota. Le separò distrattamente, e fra loro comparve un piccolo pezzo di cartoncino chiaro. Girandolo, vi trovò una serie di numeri separati da un trattino. Un numero di telefono probabilmente, senza un nome, e senza un indirizzo, nient’altro. Si fermò, uscì dal bagnasciuga, fece qualche passo nella sabbia, lasciò cadere i sandali e si sedette di nuovo, con il cartoncino fra le mani. Riguardò tutto intorno a sé: il mare, le donne che si allontanavano parlando e ridendo, il molo dalla parte opposta con le barche, e di nuovo quel piccolo pezzo di carta e quei numeri. Capì che in quella sequenza di segni c’erano molte risposte: chi era, da dove veniva, e una storia, la sua storia, che sarebbe stata raccontata da qualcun altro. Ora poteva tirare e riavvolgere quel filo, e al suo termine ci sarebbe stato qualcuno con cui aveva un legame, da cui forse dipendeva, o addirittura qualcuno che aveva bisogno, di cui era essenziale occuparsi. Qualcuno che avrebbe spiegato. Provò l’istinto di alzarsi e correre verso la risposta, e il cuore accelerò i suoi battiti. Avrebbe ricordato? La sua vita passata, riportata alla superficie, sarebbe rientrata al suo posto naturalmente, come un pezzo ritrovato dopo tanto tempo che si incastra perfettamente con il resto della costruzione, senza lasciare neanche un minimo segno di giuntura? O sarebbe rimasta lontana e inconciliabile, estranea alla realtà presente come un vestito di un’altra taglia e di un’altra età a cui non poteva più adattarsi? Sarebbe stato ricordare, oppure conoscere come per una prima volta? Altre esistenze, passate e presenti, sarebbero rientrate nella sua vita. E non sapeva definire quale ne sarebbe stato il prezzo. Avrebbe voluto domandare e temeva le risposte che sarebbero arrivate. Non aveva idea di cosa altro sarebbe riemerso da quella oscurità profonda e liquida. Il suo corpo portava scritti messaggi dalla sua vecchia vita più che sufficienti per lasciare tutte le cose dov’erano. Poteva scoprire il velo e sotto non esserci nient’altro che dolore. Si passò ancora le dita su tutti quei segni, ed ebbe paura di ritornare in un mondo che non voleva più né vedere né ricordare.

Riguardò il pezzo di carta e poi di nuovo il mare per alcuni lunghi minuti. Adesso era chiaro che il sole stava salendo, e che la giornata avrebbe avuto ancora molte ore davanti. Rimase così per un tempo indefinito, guardando il mare senza vederlo, e ascoltando il rumore dell’acqua sulla riva, e le voci lontane dei passanti. Poi con un sospiro si alzò e si portò vicino ad una rete che alle sue spalle delimitava il confine di qualche vecchia proprietà. Si mise in ginocchio e iniziò a scavare con le mani nella sabbia. Fece una buca poco profonda, tirò fuori dalla tasca il pezzo di cartone, lo avvolse in una banconota, e lo coprì con la sabbia, e gli lasciò sopra qualche sasso. Si pulì le mani dai granelli, e si rimise in cammino verso il molo.

 

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35 commenti »

  1. Storia originale, con un finale, che io ho colto come aperto e intrigante. Lìil linguaggio è ricco e i vari passaggi sono ben equilibrati.

  2. Grazie Giorgio per il tuo commento e per la tua lettura del testo. Come giustamente dici il finale e’ aperto, praticamente un inizio, ed in un certo senso è inevitabile che sia così. Grazie ancora.

  3. Marco, bellissimo il tuo racconto di parole pregnanti e impregnate dai sensi. Un linguaggio fluido e ricco di descrizioni che ho amato moltissimo. La persona senza nome, senza volto e senza colori mi è rimasta fortemente impressa, più viva e vegeta che se ne avessi delineato l’identità. Complimenti sinceri.

  4. Marco,

    vedo il tuo racconto come un inno alla rinascita; una scrittura ricercata e fine, impastata di figure e colori vividi, che racconta del coraggio e della forza necessari per lasciare alle spalle un fosco passato e lottare per un futuro migliore.

    Si tratta di una delle scelte più difficili ed, allo stesso tempo, appaganti.

    Complimenti.

  5. Grazie Marcella, davvero, per le tue parole. In effetti la persona di suo ha ben poco tranne forse troppa storia alle spalle. Il cattivo autore le ha tolto anche il genere. Ci hai visto un uomo o una donna? Grazie ancora!

  6. Sì certo, Marco, ho ben presto notato l’assenza di genere, per questo ho usato proprio la parola “persona”. Credevo fosse un uomo fino a quando ho realizzato che non arrivavano conferme ma poi neanche smentite. Sinceramente per me è rimasto un uomo fino alla fine.

  7. Che bel modo di scrivere! ricco di immagini, similitudini e sorprese. Al di là della storia intrigante e aperta a tutti gli sviluppi possibile ( ci saranno ? ) vale la pena leggere Giorno uno anche solo per il piacere della bella prosa. Veramente bravo!

  8. Difficile capire come potrebbe proseguire la storia, su che genere possa innestarsi la maturazione. Hai sollevato appena lo scrigno di Pandora e ancora non si capiscono bene i demoni di parole che potrebbero uscirne. Il tuo è un linguaggio denso che obbliga ad una lettura non meditativa e non così immediata. Devo ancora decidere se sia un pregio o un difetto. Nel frattempo, bravo, ottimo lavoro.

  9. Difficile capire come potrebbe proseguire la storia, su che genere possa innestarsi la narrazione. Hai sollevato appena lo scrigno di Pandora e ancora non si capiscono bene i demoni di parole che potrebbero uscirne. Il tuo è un linguaggio denso che obbliga ad una lettura non meditativa e non così immediata. Devo ancora decidere se sia un pregio o un difetto. Nel frattempo, bravo, ottimo lavoro.

  10. Un racconto particolare in cui la protagonista si cela in involucro misterioso tra fantasia e realtà. Un umano o sembiante? Presenza arcaica di un mondo in divenire o mostro umano corrotto? Questo GIORNO UNO si legge con interesse ma non cerchiamo definizioni né soluzioni nè tanto meno consigli. Piacevoli certe descrizione dettagliate del corpo umano?

  11. Un triplice e sincero ringraziamento a Lorenzo, Ugo e Marco per la lettura e i commenti; sì, ho provato a descrivere una rinascita, con un futuro tutto da definire e conquistare, forse da difendere dai brutti demoni del passato. Grazie!

  12. Grazie Maddalena, come per qualsiasi storia e personaggio non ci sono chiavi di apertura obbligate, tutte le angolazioni di lettura sono possibili, qui particolarmente, almeno nell’intenzione: se mancano vie di uscita è una mia carenza. Le descrizioni non sono piacevoli ma necessarie alla storia, ho cercato di mettere il dolce sul salato usando per le cicatrici le immagini più morbide possibili: fiori, anelli, nidi, farfalle, dita di bambino…
    Grazie per la lettura!

  13. Interessante davvero. Apprezzo molto l’atmosfera sospesa e l’apertura potenzialmente “universale” e simbolica del contenuto. Grazie!

  14. Giada, per esserti fermata a leggere e per il tuo commento: un grande grazie!

  15. Marco, complimenti per lo stile ricercato ed elegante. “Giorno Uno” desta nel lettore la voglia di iniziare una nuova vita seguendo il coraggioso esempio del protagonista, pronto a donare a se stesso una “seconda opportunità”, una “seconda nascita”.

  16. Caro Marco, un bel racconto metafisico!! Complimenti! Ciao, Laura

  17. Mi sono piaciute molto l’ambientazione e l’atmosfera. Il mistero che aleggia un po ‘ mi fa pensare a un racconto fantastico? Comunque mi piacerebbe tanto scrivere come te! Bella storia, bravo!

  18. Un racconto che sorprende, un personaggio che incuriosisce e non soddisfa la curiosità . Bello e enigmatico. Belle anche le immagini.

  19. Un grandissimo, metafisico e fantastico grazie a Serena, a Laura e a Dominique! Racconti nella rete si e’ rivelata grazie a voi e a tanti altri una vera sorpresa piena di letture stimolanti e ricche, e di una piacevole e rilassata atmosfera fra i partecipanti. Grazie ancora!

  20. Marco, bellissimo racconto che colpisce anzi accarezza. Una carezza calda che lascia intravedere la possibilità di graffiarti di scoprire ferite misteriose.
    codici di vite passate sbiadiscono in una lenta consapevolezza e desiderio di oblio.
    Uno stile straordinario che ti sostiene nel dettaglio di sensazioni primarie che ti avvolge e trasporta gentilmente.
    Bravissimo, aspetto il giorno due!!

  21. Grazie e ancora grazie a Raffaella la Villa e Gianluca Zuccheri per la lettura e i commenti.
    @Raffaella: sì tutto quello che c’è nel personaggio sono vecchie cicatrici e pensieri nuovi di zecca, manca una parte centrale. La possiamo immaginare ognuno a modo proprio, riempiendo liberamente gli spazi che apre la curiosità, ma si può anche lasciare lì dov’è per sempre.
    @Gianluca: grazie per avere colto una certa intenzione di protezione fisica verso il personaggio. Troppo buono nei commenti, mi hai…. frammentato! 🙂

  22. Caro Marco, il racconto è molto bello. Uno stile pieno, descrizioni complete ma asciutte e senza inutili fronzoli, un’ambientazione che si presta a qualunque interpretazione (la mia personale, fino alla banconota, è stata quella del primo giorno dopo la morte in un incidente d’auto). Ho letto i commenti precedenti, complimenti per l’eliminazione del genere, io non l’ho notato, e per me era un uomo sin da subito, e uomo è rimasto sino alla fine. Una lettura appagante.

  23. Riesco a leggere i raccconti random e mi trovo dispiaciuta quando mi rendo conto di essermi persa racconti come questo! Ma ora eccomi qua: mi unisco a quanti vorrebbero un giorno due! Però risulta un piacevole inganno il finale che lascia mille porte aperte. Inoltre sono tra quelli che lo ha immaginato uomo, forse un po’ influenzata da un iniziale pensiero a “Cast away” :). Complimenti Marco, sia per l’idea, che per il tuo stile!

  24. Molte, moltissime grazie per la lettura e i commenti a Massimiliano Ferraris di Celle e Silvia Schiavo.
    Non so se ci sarà mai un giorno due ma è bello vedere nelle parole e nell’inquadratura personale di chi legge quante variazioni inattese può prendere una traccia lasciata volare via.
    E’ un discorso che vale ovviamente per tutti i racconti di questo sorprendente gruppo. Ancora grazie per l’attenzione e complimenti per i vostri bei racconti.

  25. Molto bella l’idea sottesa a questo racconto, di enigmatica scoperta di sé e del mondo.. Ho molto apprezzato la descrizione del corpo del protagonista, quasi una mappa in cui è incisa la sua storia e in cui cerca di orientarsi. Complimenti!

  26. E’ molto bello. Mi è molto piaciuta la descrizione della sua storia sul suo corpo. Potresti farne un racconto lungo. Il limite che ci hanno imposto potrebbe anche non essere il suo. Troppi indizi, troppi segnali: i segni, le donne che lui saluta. Perché le saluta? Gli sembra di riconoscerle?
    Comunque anch’io l’ho immaginato uomo, forse perché per consuetudine ed educazione pensiamo che gli uomini vivono la vita nell’azione, come fa lui quando lo specchio interno resta muto.

  27. Grazie Ivana e Simona, la descrizione della “mappa” corporea è centrale nel racconto e sono quindi particolarmente contento del vostro apprezzamento.
    Vedo il racconto come completo così e in realtà non ho trovato limitante lo spazio assegnato, ma faccio tesoro di ogni suggerimento, e tutto è possibile, anche perché le storie e i personaggi a volte procedono per conto loro in maniera alquanto insubordinata! Le donne che salutano non appartengono al vecchio ma al nuovo mondo, svolgono come tutto l’ambiente una funzione per così dire di accoglienza. Ancora grazie!

  28. Gran bel racconto. Ho apprezzato soprattutto la tua capacità descrittiva, così pacata e riflessiva. Si prende il tempo necessario, senza fretta, ed è una scelta molto appropriata al tema del racconto, che è la rinascita e una nuova scoperta del mondo. Davvero bravo.

  29. Complimenti, Marco. Ho molto apprezzato in particolare il finale: “Adesso era chiaro che la giornata avrebbe avuto ancora molte ore davanti”… come per dire che questo “Giorno uno” avrà ancora molti giorni davanti. Nel protagonista misterioso, io ho visto un profugo. Ma l’insegnamento vale per tutti: ad un certo punto della vita, potrebbe essere necessario mettere una pietra sul nostro passato, e guardare con fiducia al domani.

  30. Giorno Uno è… the day after?incuriosisce il tuo personaggio, così accuratamente cesellato e volutamente ignoto dell’identità, sospeso tra un passato e un futuro che non ci riveli.
    Mi piace!

  31. Fiorella, Riccardo ed Elisa: che dire? grazie! Davvero.
    Sì era nella mia intenzione nascondere quanto più possibile il passato e descrivere una rinascita in cui è possibile guardare al futuro con volontà e speranza. Ho lasciato aperti molti spazi e sono molto contento di avere letto nei vostri e negli altri commenti con quanta attenzione e immaginazione sono state tracciate tante nuove direzioni, tutte possibili, giuste e belle. Continuo a sorprendermi in positivo di questa comunità di autori e racconti (ormai le storie circolano e vanno in giro con le loro gambe ed è bello) e della ricchezza di temi e scritture. Molti racconti non sono riuscito a commentarli, spero di farlo presto!

  32. Marco, sei un brillante, garbato, estremamente intuitivo commentatore, tanto quanto un ottimo narratore.
    Solo un caro saluto, tutto qui.
    Ci saranno altri giorni, e spero che di alcuni ne vorrai fare ancora dono a Racconti.

  33. Marco, molto è stato detto nei commenti precedenti, e non sarò certo il primo ad esprimere apprezzamento per la tua penna così levigata, che si destreggia senza imbarazzo tra la realtà del corpo e l’immaginifico del pensiero. Mi soffermo solo sul ‘rito’ della sepoltura del pezzo di cartone, che si conclude con l’apposizione del sasso. Più che una pietra tombale, a me pare un segno di riconoscimento, come a dire che, pur ricominciando da zero, è irrinunciabile anche solo sapere che si può attingere, in caso di necessità, alla memoria. Molti complimenti.

  34. Ammazza! E ci lasci così, senza sapere se sia un uomo o una donna, e come se la caverà nel groviglio dellla sopravvivenza. Voglio la prosecuzione, ahahah! Comunque bellissimo racconto, con una scrittura matura, ricca di dettagli. Complimenti!

  35. Un sincero grazie a PB e ad Antonella Caputo per i loro commenti. Penna Bilama, hai intuito e centrato in pieno la mia intenzione di lasciare una porta aperta alla memoria anche in un nuovo ricominciare. Antonella, l’esito è aperto ma io sono decisamente ottimista sul fatto che se la caverà, e forse si saprà qualcosa in più. Un grande saluto a tutti i compagni di viaggio, vecchi e nuovi!

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