Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “O la penna o la vita” di Alberto Gallo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

O la penna o la vita!

Ringrazio
il dr. Andrea Romanelli, che in una serata ‘salsera’,
mi ha spiegato tutto quello che c’era da sapere!

AL GALLO

“Din don!”. Il campanello sulla porta risuonò asciutto.
“Mi spiace signore, stiamo chiu… oh, è lei dottor Doyle! Prego, si accomodi!”.
Il signor Watson sfoderò uno dei suoi proverbiali sorrisi. Si lisciò i favoriti nerissimi e assunse una posa professionale: con le mani dietro la schiena e la pancia enorme somigliava a un’anfora.
Una folata di vento gelido fece tremolare i bordi merlettati dei centrini. Le chiome ardenti delle candele gettarono una luce crepuscolare sul vecchio tappeto Kazak a svastiche.
Il dottore salutò sfiorando appena il cappello.
La gatta Lulù sonnecchiava acciambellata nella cesta di vimini. Sherlock, il figlio del bottegaio, giocava con le biglie, lì vicino.
Doyle si guardò attorno senza curiosità: nella bottega Watson, antistante il suo studio, era di casa.
Nell’aria c’era un vago odore di stufato al curry: nel retrobottega Doyle immaginò la signora Watson intenta ai fornelli.
Il dottore prese a gironzolare con il cannello della pipa sigillato tra le labbra raggrinzite.
Aveva occhi attenti, a cui nulla sfuggiva.
Quella sera, sembravano più acuti constatò Watson fermo al proprio posto. Affondò le mani nel panciotto nero e sbirciò preoccupato la pendola di rovere sulla parete: le ventuno in punto e ancora due clienti!
Il suo stomaco brontolò sconsolato mentre gli invitanti odori della cucina gli riempivano il naso.
Il dottor Doyle andò alla libreria. Per quanto sembrasse anomalo in una botteguccia come quella, alla signora Watson piaceva dedicare un po’ di spazio alla cultura. I libri erano edizioni economiche dei più recenti successi d’oltremanica.
Il dottore prese un volume e lo rigirò controluce.
Il diavolo nel campanile di E.A.Poe lesse sottovoce.
Ripose il libro e il suo interesse si appuntò altrove.
Accanto alla mensola delle stilografiche, di fronte alla finestra che sbirciava la strada, c’era l’uomo.
Camminando, il dottore non aveva potuto fare a meno di notare quello strano non so che nel modo di muoversi di quel cliente.
Lo sconosciuto stava scrutando da vicino una delle stilografiche parigine Aurore 88, altro fiore all’occhiello della fornitissima bottega.
Doyle, perso ogni indugio, si avvicinò con decisione. Gli batté un dito perentorio sulla spalla.
“Signore, la prego di seguirmi fuori. Possibilmente, senza fare baccano” intonò con voce dal timbro che non ammette repliche.
Lo sconosciuto si girò appena, un sorriso impertinente stampato sulla faccia smunta.
“Mi scusi?” chiese perplesso. “Ci conosciamo?” e strizzò gli occhietti furbi, come per mettere a fuoco il seccatore.
Sbalordito, Watson sentì di doversi intromettere.
“Dottore mi permetta di presentarle il colonnello Moriarty: un veterano… un Leone d’Inghilterra.. “ snocciolò pomposo Watson.
Moriarty scattò sull’attenti.
Sulla giacca luccicò una croce al valore.
Al posto della destra, aveva una mano di legno: esibì anche quella triste protesi come ulteriore tributo patriottico.
Doyle non mosse un muscolo, né si fece impressionare particolarmente.
“Il signor Moriarty sta per diventare nostro vicino, dottore”, soggiunse il negoziante. “Il numero 88 di Holmes Street lo ha affittato lui”.
“Proprio oggi!”, sottolineò lo stesso Moriarty.
Scuotendo il capo il dottore obiettò: “Credo che si sbagli, Watson. Lei è in buona fede, ovviamente: il colonnello non è altri che un impostore!”.
Moriarty sgranò gli occhi.
“Come osa? Dottore dei miei stivali?!”, rimbrottò offeso.
“Signori! Signori!” farfugliò Watson, agitandosi.
Con una mossa a sorpresa, Doyle cercò di afferrare la mano di legno.
L’altro, fatto un balzo all’indietro con insolito vigore, si schermò con il bastone.
“La recita è finita ciarlatano!” lo incalzò il dottore.
Moriarty lo fissò indeciso, per un attimo. Battersi o tentare la fuga? era scritto in quell’occhiata fugace.
“Come lo ha capito?” chiese, sollevando minaccioso il pomello del bastone.
Doyle si piegò leggermente sulle ginocchia, allargò le braccia e contrasse i muscoli, come uno smilzo lottatore di sumo. “I Leoni d’Inghilterra non ricevono croci al valore. Bensì spille. E il grado di colonnello, non è contemplato in quell’ordine di arditi combattenti. Il numero 88 di Holmes Street è ancora sfitto: ho parlato con il proprietario meno di un’ora fa. La sua casa è infestata di blatte e ha dovuto, sì, rimuovere il cartello sulla porta… ma per questo motivo! E come se non bastasse, c’è ancora una ragione, in base alla quale posso ribadire con sicurezza quanto ho detto prima!“.
Due colpi di tosse risuonarono alle spalle del dottore, interrompendo le sue illuminanti deduzioni.
Doyle voltò leggermente il collo, incurante del pericolo a cui si esponeva.
Non si sbagliava, infatti!
Moriarty, approfittando della distrazione, gli sferrò un colpo a tradimento. Doyle lo schivò a stento, parando il bastone con l’avambraccio.
Il rivale indietreggiò, ghignando soddisfatto.
Una sofferenza atroce si diffuse sul viso del medico.
“Dottore, dottore!” urlò isterico Watson. “Sherlock ha ingoiato una biglia!”.
Ignorando il dolore pulsante, Doyle fece due passi indietro lasciando un ampio spazio tra lui e Moriarty.
Approfittando del varco l’uomo cercò di fuggire.
Fece giusto tre passi veloci.
Doyle scivolò sulle ginocchia: era quello che aspettava!
Afferrò i lembi del tappeto e tirò con tutte le forze. Il malfattore perse l’equilibrio. Crollò a terra, battendo lievemente la testa.
La mano artificiale si staccò dal moncherino. Dall’incavo della protesi saltarono fuori degli oggetti.
Il dottore gli fu sopra. Gli assestò un colpo dietro la nuca. Lo immobilizzò, girandolo nel tappeto come se fosse stato uno spiedino.
Si rialzò, malconcio e provato.
“Dottore! Presto! Venga qui” lo implorò Watson isterico.
Richiamata dalle grida, anche la moglie del negoziante fece capolino dal retrobottega. Senza indovinare cosa fosse successo, vide il piccolo Sherlock riverso sul pavimento.
Si asciugò le mani sul grembiule e si catapultò sul bambino.
Violenti colpi di tosse lo squassavano senza sosta. Le guance paonazze e le vene gonfie sul collo, indicavano che lo strozzamento stava per avere esiti disastrosi.
Doyle allontanò il signor Watson con una spinta. Tastò la gola del ragazzino. La biglia gli bloccava la respirazione.
Bisognava intervenire e farlo alla svelta!
“Devo praticargli una tracheotomia d’urgenza” annunciò.
“No!” protestò impaurita la mamma.
“Signora ne vale della vita di Sherlock! Dobbiamo intervenire! Come posso… “. Si guardò attorno.
Se si fosse trovato nell’ambulatorio dell’ospedale dove era assistente, sarebbe stato facile operare.
Ma in una bottega!
Pensa Conan, pensa! Cosa farebbe Bell, il mio capo?
Aveva bisogno di qualcosa di appuntito. Appuntito ma vuoto come l’osso di un uccello!
Ecco!
Si alzò di scatto. Andò alla mensola e presa una stilografica Aurore.
Si piegò sul bambino ormai cianotico.
“Tenetelo” disse agli spaventatissimi genitori.
Tastò con calma la parte inferiore della gola. Trovò il punto giusto. Appoggiò la punta della penna contro la carne morbida.
“Buon Dio aiutami”, mormorò.
Affondò la punta cercando di tenere la mano più ferma possibile.
La laringe si perforò sotto il pomo di Adamo. Il bambino sussultò, con gli occhi rovesciati all’indietro. Quando il gambo della penna penetrò a sufficienza, Doyle iniziò a girare piano la cannula superiore. L’interno della penna era vuoto, come un osso d’uccello appunto.
Dei colpi di tosse fecero sobbalzare il petto di Sherlock. Mentre il sangue smetteva di zampillare, un rantolo simile a un respiro miracoloso, premiò l’audacia del dottore.
Doyle sollevò gli occhi: i coniugi Watson piangevano, mentre il bambino inspirava.
“Respira, respira!” lo incitò la madre con voce rotta.
Doyle si passò una mano sporca di sangue sulla fronte. Si voltò a controllare Moriarty: il lestofante con la mascella aperta e gli occhi spalancati osservava affascinato l’insolito spettacolo.

“Quindi dottore questo è tutto?” chiese l’ispettore Baker riponendo il taccuino.
“Sì, ispettore”.
“Confermiamo” dissero i signori Watson.
Il landau dell’ospedale aveva appena caricato il bambino. Scosso, ma salvo.
“Bene, bene. Non so come abbia fatto ma ha visto giusto Doyle: quell’uomo è un taccheggiatore. Bella, la trovata della mano artificiale come nascondiglio. Come se n’è accorto?”.
Il dottor Doyle trasse un sospiro profondo. “Non era abbastanza disinvolto con la sinistra”.
“Tutto qui?” chiese esterrefatto Baker. “Avrei proprio bisogno di uno come lei alla centrale… la greppia del governo non dà molte soddisfazioni ai consulenti investigativi ” disse. “Ma se ama l’azione è nel posto giusto”.
“Ne potremmo riparlare ispettore. Potrei venire con un amico?“ domandò Arthur Conan Doyle.
“Se è in gamba come lei, senz’altro” sorrise Baker.
“Forse di più. Si chiama Sherlock Holmes: le piacerà!”.

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5 commenti »

  1. Ciao Alberto!
    Ho trovato molto divertente il tuo racconto. Descrivi la nascita di personaggi che sono rimasti nel nostro immaginario, ai quali non si può che essere affezionati. E il titolo è perfetto, direi geniale. Non rimanda solo alla vicenda che racconti, al salvataggio del piccolo Sherlock, mi fa pensare anche alla creazione di una storia, a come questa nasca spesso proprio grazie ad incontri fortuiti o ad esperienze della vita. L’ho interpretato con questo doppio significato. E alla fine Arthur Conan Doyle si è ispirato proprio a personalità che lo hanno segnato e colpito nella sua vita. Spero di non aver sbagliato!

  2. Avvincente e carino il tuo racconto, con qualche punta di tensione tipica dei libri gialli. All’inizio pensavo fosse solo una coincidenza per via dei nomi scelti, ma poi il finale é stato chiarificatore. Bravo!

  3. Grazie Carola, sei gentilissima. Il racconto è nato sulla scorta di un concorso, al quale non sono riuscito a partecipare.
    Doyle era un medico, e il suo personaggio si ispira in ‘toto’ a un suo mentore. Grazie ancora… spero il tuo ‘like’ possa essere il miglior ‘in bocca al lupo’…
    Alberto Gallo.

  4. Alberto,

    con il tuo racconto sei riuscito nell’impresa complicatissima di rendere onore alla buonanima di Doyle ed alle sue creature più famose.

    Vivace, lineare e mai scontato, sagace, incalzante, originalissimo e permeato da una fantasia invidiabile: un vero bijopux, in parole povere.

    E te lo dice uno che ha finito le pagine dei libri di Holmes.

    Complimenti!

  5. Originale e accattivante.. complimenti!

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