Premio Racconti nella Rete 2017 “Una cosa bella” di Piera Giordano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017There is a crack in everything.
That’s how the light gets in.
LEONARD COHEN
Lunedì, 18 maggio 2009
Michele ha quattordici anni, la mia età. Ti ricordi? Li ho compiuti il quattro marzo, segno pesci, intuizione e ordine le qualità principali.
Michele è autistico. La psicologa, che è venuta in classe per chiarirci il problema, ci ha detto che presenta solamente alcuni tratti dell’autismo perché a volte, quando gli parli con frasi brevi, ti dà retta e ti risponde sissignore. Invece i veri autistici non ti rispondono, è come se fossero sempre assenti. Lo chiamiamo Sissignore. Stiamo all’erta a non farci sentire dai prof che non capirebbero e ci accuserebbero di prenderlo in giro.
I primi tempi avevo paura di lui. Quando si arrabbia, urla e sbatte sul banco qualsiasi cosa gli capiti tra le mani. Due giorni fa ha lanciato un tagliacarte che è volato in aria e caduto a terra. La prof di mate dice che è pericoloso, ma lui non voleva colpire nessuno.
La psicologa ci ha consigliato di evitargli i momenti di frustrazione. Sono d’accordo. Secondo Luca, è colpa di Michele se si trova in questa situazione come i barboni, gli zingari, i drogati e gli immigrati. Luca se ne frega, non cerca di capire perché uno finisce così. Lui ha sempre la coscienza a posto.
Michele vive chiuso nel suo mondo. La gente che non lo conosce lo guarda con sospetto perché si muove sulle punte dei piedi, come un ballerino alle prime armi, e parla ad alta voce tra sé e sé, cambiando il tono con esclamazioni e gridolini, un doppiatore di talento. Si crede dentro ai cartoni animati che gli piacciono moltissimo.
La psicologa ci ha spiegato che non riesce a sopportare i cambiamenti improvvisi. Una mattina era assente il prof di chimica che doveva essere sostituito da quella d’italiano. Michele si è arrabbiato, tu non entri, urlava all’insegnante, questa non è la tua lezione. Non c’era verso di calmarlo, non ascoltava le nostre parole. Quando sono a letto e sento papà e mamma litigare, le voci sovrapporsi sempre più forti e papà minacciare che se ne andrà, anche a me viene voglia di urlare e tapparmi le orecchie.
Nell’intervallo tutti gli stanno alla larga. Michele cammina avanti indietro nel cortile della scuola, un orso rinchiuso nel recinto dello zoo, e parla con il panino che agita in aria, tormentandolo con frasi senza senso. Sa di essere strano e che per questo lo sbirciamo di nascosto. Al suono della campanella, è il primo a filare in classe nello stretto del banco. Si dondola sulla sedia, poi fa ruotare in continuazione un pennarello rosso come per dimenticare la pena di prima. La sua presenza è intensa, persino quando non lo guardi sai che c’è e ti senti pure tu diverso.
Con la psicologa ci siamo impegnati ad aiutarlo per via dell’educazione tra pari. Gli ho detto: ciao Michele, buono il panino? E lui: sissignore. Mi è sembrato contento. Basta un saluto o una frase gentile e si comunica con lui. L’importante è dire cose semplici e corte. Dovrebbero impararlo anche i prof. Entrano e parlano parlano per sei ore di seguito. Noi facciamo casino. Ci accusano di essere infantili, maleducati, poco partecipativi e d’intervenire a sproposito. Non siamo capaci di ascoltare e di comunicare. Se siamo come Michele ci sarà un motivo? È che nuotiamo ognuno nel proprio mare, genitori e prof compresi, sbattendo braccia e gambe, facendo tanti spruzzi e schiuma, e non ci accorgiamo della bellezza dell’acqua e degli altri.
Oggi è capitata una cosa bella, per caso. Eravamo in cortile durante l’intervallo. Dall’unico tiglio malaticcio è caduto un piccolo di passero. Michele l’ha raccolto e lo teneva nel palmo della mano sinistra che era fasciata. Me l’ha mostrato.
“Un uccellino”, mi ha detto.
E io: “Ciao Michele, sono caduto dal ramo”.
“Perché?”
“Sto imparando a volare, ma è difficile” ho risposto come se fossi il passerotto.
“Anch’io non ci riesco”.
“Bisogna evitare di fare cose difficili perché si rischia di farsi male”.
“Ieri mi sono tagliato perché ho potato la siepe con le cesoie grandi. Volevo aiutare papà” e ha oscillato la testa.
“Cosa sai fare bene?”
“So accendere il computer, andare su internet e aprire il sito di Tom e Jerry.” Mi ha guardato in silenzio e poi mi ha chiesto: “ E tu?”
“So costruire il nido con paglia e fango”.
Si è bloccato per qualche istante. Dopo, con uno scatto del corpo in avanti, mi ha detto: “Nel laboratorio ho fatto un vaso d’argilla”.
“Ti ho visto”.
“Sei mia amica?”
“Sì”.
“La campanella”. Ha posato il passerotto sul muretto e si è tappato le orecchie con le mani.
“Andiamo dentro.”
“Sissignore”.
In classe Luca m’indicava con il dito e se la rideva in un delirio solo suo. “Sonia è fuori pure lei, se la fa con il matto e il passero!” Mi faceva rabbia la sua stupidità, però, adesso, diario mio, me ne frego perché ho scoperto che c’è una fessura, forse per tutti, e da lì che escono ed entrano le parole vere. Basta trovarla.
A domani, Sonia.
Piera…che bello questo racconto, che bello questo ” inno “. Ho letto davvero emozionandomi e, quando sono arrivata alla fine, mi è venuta voglia di rileggere l’ inizio. Soltanto in quel momento mi sono resa conto che avevo tralasciato il testo della canzone, a caratteri piccoli: non l’ avevo proprio visto. Probabilmente dipende dal fatto che devo decidermi a cambiare gli occhiali..ma mi piace pensarlo come ad un segnale :). Bravissima e complimenti
Piera,
mia madre ha lavorato per anni con ragazzi diversamente abili.
Lei mi ha insegnato che dedicare solo una superficiale attenzione alle “diversità” significa non cogliere l’opportunità di apprendere insegnamenti e, di frequente, lezioni da individui spesso dotati di una sensibilità più acuta e spiazzante rispetto ad “esseri sedicentemente normali”.
Ma io sono stato fortunato: mi rendo perfettamente conto che i bambini, laddove non indirizzati, possano finire per ghettizzare questi ragazzi, non per decisione cosciente, ma semplicemente per timore di ciò che non si conosce.
Per tutti questi aspetti, che hai egregiamente tessuto con una scrittura di prim’ordine, ho adorato il tuo racconto.
Dimenticavo: LEONARD COHEN PREMIO NOBEL SUBITO! 🙂
Complimenti.
“È che nuotiamo ognuno nel proprio mare, genitori e prof compresi, sbattendo braccia e gambe, facendo tanti spruzzi e schiuma, e non ci accorgiamo della bellezza dell’acqua e degli altri.” questa frase è una delle cose più belle che mi siano capitate in queste settimane di letture dei racconti in gara. E’ un pensiero che una bambina di 14 anni può sicuramente avere perché ha tutta la profondità e l’incoscienza di quella ( terribile ) età. Tutto il racconto merita, ma se mai esistesse un romanzo diario di Sonia, quella frase dovrebbe essere in esergo 🙂
Piera, quant’è bello il tuo racconto! Poetico e delicato, tratta di un argomento difficile ma ci indica che c’è sempre una via per comunicare, sempre un modo per toccare il cuore di chiunque, ci dimostra che la gentilezza e la sensibilità aprono tutte le porte. Grazie!
Grazie a voi, per la lettura e i vostri pensieri, che mi hanno commossa, perché dicono quanta bellezza c’è nel mondo ( e non solo superficialità, egoismo o indifferenza),
bellezza nel senso di mettersi nei panni degli altri, in una comunanza del sentire e del sentirsi.
Che fortuna avere una mamma come la tua, Lorenzo.
Sì, un grande Leonard Cohen!
i racconti che parlano di bambini disabili sono sempre una grandissima scoperta.
ho un fratello che ha gravi disabilità cognitive e fisiche, è lui che mi ha insegnato che dietro alla grande crosta che li copre loro ci sono, lo puoi vedere tra i loro gesti ripetitivi, tra i loro movimenti apparentemente insensati, sono raggi di luce che durano pochissimo, ma che ci sono, e sono li a dirti che loro non sono quello che sembrano, sotto di più, sono come tutti noi, solo più rari.
grazie d’aver scritto questo racconto!
Sai Piera, mi è successa una cosa che mi accade di rado. Dopo aver letto il tuo bellissimo racconto, apprezzato il tono dolce in cui è sussurrato, gioito per l’evoluzione emotiva della giovane protagonista. .. ecco, me la sono immaginata cresciuta, la tua Sonia. Un’adulta attenta, comprensiva, accogliente, magari insegnante, in una scuola in cui gli alunni non valgono per i loro voti, in cui non c’è competizione, sbarre e catene… ma perdonami sto divagando.
Ho voluto bene a Sonia e a Michele ma anche a Luca perché, come tutti i bambini, non è venuto al mondo così ma pieno di luce e amore. Siamo noi adulti purtroppo a renderli così.
Grazie Piera.
Piera,
ho apprezzato veramente il tuo racconto. Con grande delicatezza descrivi il rapporto tra i due ragazzi, compagni di scuola.
Illumini di sensibilità Sonia che riesce a entrare in contatto con Michele, affetto da una grave disabilità.
E’ bello il rapporto che si costruisce tra loro e li lega. Con grande capacità descrivi le emozioni, i sentimenti dei due adolescenti.
Ottima l’introduzione al racconto di Leonard Cohen!
Bravissimma!
Cara Piera
Anche mia figlia ha un compagno di classe autistico e penso che la sua presenza abbia arricchito tutti, alunni, insegnanti e … genitori. In prima media qualche insegnante ha provato a far leva sui timori dei genitori per mandare via il nostro Michele, ma nessuno ha avuto questo “coraggio” per fortuna! Oggi siamo alla fine della 3′ media e lui é migliorato e tutti gli vogliamo bene. Mia figlia già in prima media diceva: “Lui può dire liberamente tutto quello che vorremmo dire pure noi, é il più sincero di tutti”. Ovviamente non ha detto “beato lui” poiché si rende conto che é comunque un bambino problematico e meno fortunato! Speriamo che incontri sempre persone capaci di aiutarlo e di volergli bene.
Bello il tuo racconto e sicuramente riflessivo.
Mi ripeto: è la prima volta che partecipo ad un concorso di questo tipo e la cosa che mi sta piacendo di più è continuare a scoprire l’esistenza di persone che hanno un mondo da raccontare e la voglia di scoprire i mondi degli altri, anche quelli difficili e dolorosi, e lo fanno con uno strumento imbelle ma potente: la parola scritta. Grazie a tutti!
Hai ragione, Granit Baqaj, loro ci sono e ci offrono un mondo di emozioni e pensieri, grazie a te per il tuo sguardo reso più vasto dallo sguardo di tuo fratello
Marcella, condivido, noi adulti non sempre siamo in grado di affrontare in modo positivo le situazioni, di tracciare sentieri che ci conducano alla serenità reciproca
Vi ringrazio per gli spunti di riflessione dei vostri commenti, Grazie Marisa, grazie Paola. E’ vero Lucia, i bambini e poi ragazzi come Michele ci mettono a disagio, ma dopo scopriamo che sono una ricchezza: ci aiutano a conoscerci meglio. Ci aiutano a crescere!