Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “La civetta curiosa”(sezione racconti per bambini) di Bruna Baldini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

In un bosco, vicino ad un paese arroccato sulle montagne di Massa Carrara, tanti anni fa, viveva una strana civetta, molto molto curiosa. Il silenzio del bosco però la riempiva di malinconia. Così appena si faceva notte, piano piano per non farsi sentire dagli altri animali, volava volava per andare nella piazzetta del paese. Lì tutti i giorni giocavano allegramente tanti bambini e ci facevano anche merenda. E come tutti sappiamo, i bambini quando mangiano sono molto generosi, lasciano per terra tante briciole di pane, di biscotti e di dolci. La civetta quindi appena arrivava con avidità saziava la sua fame e la sua golosità, poi saltellando felice si avvicinava alla fontana e si faceva una bella bevuta di acqua fresca e limpida.

Se non fosse stato per la sua grande curiosità di vedere come viveva la gente in paese, poteva ritornarsene tranquillamente nel bosco, ma lei proprio non ci pensava. Incominciava a volare da una casa all’altra, si fermava sui davanzali delle finestre e dagli scuri mezzi aperti guardava all’interno delle case. Spiando, sera dopo sera, sapeva tutto ma proprio tutto di tutti: chi era buono, chi era cattivo, quanti erano gli abitanti del paese, come si chiamavano, cosa mangiavano, chi andava a letto presto e chi stava al bar a giocare a carte fino a tarda notte. L’ultimo a ritornare a casa era sempre il vecchio Antonio.

I suoi amici del bosco non riuscivano a capire perché fosse così interessata alla vita di quella gente e perché, pur di stare in paese, passava le notti da sola. La civetta, se avesse potuto, sarebbe vissuta così anche lei. Anzi, per dire proprio la verità, ci aveva provato un po’ di tempo prima. Per stare sempre con la gente, si era costruita un bel nido in cima al campanile della chiesa. Aveva scelto quel posto perché da lì si vedeva tutto il paese.

Appena finito il nido ritornò nel bosco, aspettò la notte, salutò tutti i suoi amici animali e disse loro: “Ho deciso che da stanotte vivrò sempre in paese ma vi verrò a trovare spesso”. Dopodichè lasciò il bosco per il campanile. Era tanto felice. Per fare una grande entrata in paese decise di cantare una bella serenata. Incominciò a volare da un tetto all’altro delle case e, con quanto più fiato aveva, cominciò a fischiare ma ahimè, come tutti sappiamo, il canto della civetta è lugubre e non piace a nessuno.

Si svegliarono i cani e si misero ad abbaiare, si svegliarono i gatti e si misero a miagolare, si svegliarono i bambini e si misero a piangere. Gli uomini e le donne uscirono di casa e la presero a sassate. Se avessero potuto, l’avrebbero presa anche a bastonate. Le correvano dietro e le urlavano: “Disgraziata di una civetta vai a fischiare nel bosco! Se proprio vuoi portare sfortuna a qualcuno, portala ai tuoi simili!”. Avvilita e spaventata la povera civetta fece ritorno nel bosco. Da quella notte smise di fischiare e per tanto tempo non fece più ritorno in paese.

Ma una notte, mentre se ne stava piena di nostalgia accovacciata dentro il suo nido, le venne in mente il vecchio Antonio: le sembrava di vederlo uscire dal bar e, con passo stanco e un po’ barcollante per il vino bevuto, attraversare cantando il centro del paese. Il vecchio quando non aveva sonno, invece di andare a letto, si sedeva sugli scalini davanti alla porta di casa e parlava da solo. E lei, la civetta curiosona, per sentire cosa diceva, per tante notti si era nascosta tra le foglie della pianta di fico che era nell’aia.

Tuttavia  una notte Antonio si accorse di lei e la chiamò: “Civettona, perché non canti? Canta, canta insieme a me! Io vivo di notte come te, non aver paura, a me non porterai sfortuna!”. E ripeteva: “Canta, canta insieme a me così ci facciamo compagnia! Siamo due animali notturni noi. A quest’ora i cristiani dormono tutti”. Da quella notte si fecero compagnia tante volte.

Tutti questi ricordi però le riempirono il cuore di tristezza e così, anche se il tempo era brutto, decise di andare a trovare il vecchio Antonio. Lui di sicuro sarebbe stato contento di rivederla e poi sapeva vita, morte e miracoli di tutti. Chissà quante cose le avrebbe raccontato! E così si mise in viaggio. Arrivata sopra il paese, scoppiò un violento temporale. Il vento soffiava forte e lei faceva fatica a volare. Si sentiva sempre più debole e cominciò a scivolare giù, sempre più giù, verso terra e alla fine cascò sfinita vicino alla fontana della piazza. Allora chiuse gli occhi per la paura e pensò “Qualcuno mi ucciderà. Tutti pensano che le civette portano sfortuna. La gente non sa chi sono io”. Quando stava proprio per vedersela brutta il destino le andò in aiuto. Sentì la voce del vecchio Antonio che la prese, la mise sotto la giacca e la portò a casa sua e, adagiandola vicino al caminetto acceso, le disse: “Non morire. Sono stanco di parlare da solo e ho tante cose da raccontarti”. E le accarezzò la testa.

La civetta si riprese subito e rispose: “Antonio, il tuo aiuto e la tua bontà mi hanno fatto ritornare la parola. Io non sono una vera civetta, sono la duchessina Matilde. Vivevo felice con i miei genitori nel Palazzo Ducale di Massa di fronte a piazza Aranci. Un giorno un’amica di mia mamma, gelosa della nostra felicità, ci invitò a casa sua alla festa del suo compleanno. Tra gli invitati c’era una strega. Senza che nessuno se ne accorgesse mi fece trasformare in civetta e poi mi disse – Dovrai vivere sui monti e non potrai più parlare fino a quando non troverai una persona che si prenderà cura di te. E per ritornare duchessina, cara Matilde, dovrai trovare il modo di rientrare dentro il tuo palazzo-“.

Il vecchio Antonio che fino a quel momento sembrava aver perso la parola, disse: “Ti aiuterò io! Ti nasconderò sotto la mia giacca e andremo a piedi fino a Massa. Il viaggio è lungo ma prendere l’autobus è impossibile con la sfortuna che ti ritrovi addosso. Se qualcuno si accorgesse di te, ci butterebbero giù dal finestrino tutti e due!”.

Partirono all’alba. Arrivarono in piazza Aranci la sera. Antonio si sedette sfinito sopra una panchina davanti al Palazzo Ducale. Il portone era aperto ma ai suoi lati c’erano due guardie. Al piano di sopra però c’era una finestra aperta.

Dalla piazza alla finestra c’erano pochi metri. Antonio senza farsi vedere da nessuno nascose la civetta tra i rami degli aranci e le disse: “Io farò finta di essere ubriaco, mi avvicinerò alle guardie e, quando mi vedrai parlare con loro, spicca il volo ed entra nel palazzo da quella finestra”. E quindi cominciò a fare l’ubriaco e, mentre distraeva le guardie, vide la civetta entrare veloce attraverso la finestra. Fece un grande sospiro e pensò “E’ andato tutto bene. Sono felice. Buona fortuna!”.

Ritornò alla panchina per passarvi la notte. Al mattino sarebbe andato in piazza della Fabbrica a prendere l’autobus per ritornare a casa. Ma quando stava per addormentarsi si sentì chiamare: “ Nonno, nonno”. Aprì gli occhi e vide una ragazzina bellissima vestita a festa. Era la duchessina Matilde che insieme ai suoi genitori l’abbracciarono forte e lo portarono dentro al palazzo per farlo vivere sempre con loro.

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2 commenti »

  1. ..una favola tenera e imprevedibile..e un lieto fine pieno di amore e speranza..bella veramente!

  2. Fantastica, tenera, dolce e con un imprevedibile colpo di scena. E con un bel lieto fine. Brava!

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