Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “In ogni mio respiro” di Cinzia di Luzio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

L’auto correva lungo l’autostrada.

Eravamo partiti da poco per un breve viaggio con i nostri bambini, per cercare di ritrovarci e di riprenderci le nostre vite stravolte da un uragano di una potenza devastante. La piccolina insisteva con un capriccio, con la tenacia di una bimba di tre anni, mentre il fratellino, sul seggiolino accanto a lei, cercava di dormire. Spazientita mi voltai e le dissi con serietà e fermezza: “Se non la smetti ti faccio scendere e ti lascio qui”.

Lei rimase in silenzio alcuni istanti, poi scoppiò in un pianto disperato: “e poi come faccio se non vedo più la mia mamma e non so dov’è?”

***

Quella mattina, in effetti, ero un tantino in difficoltà: i postumi del parto avvenuto appena quindici giorni prima si facevano ancora sentire e si sommavano a tutta la pesantezza delle tante notti insonni. I bambini erano entrambi inquieti ed io cercavo di gestirli come meglio potevo mentre voi eravate tutti al funerale di un vecchio zio. Consolavo il pianto di una mentre tenevo stretto al petto l’altro che voracemente portava a termine la sua poppata. Finalmente qualcuno torna a casa: non aspettavo altro per poter raccontare di quanto avevo faticato per accudire quelle piccole pesti dimenandomi tra poppate, pannolini, capricci e ciucci.

Più parlavo, più mi rendevo conto che in quella situazione c’era qualcosa che non quadrava: erano tornati tutti tranne te. I loro volti avevano un’espressione talmente attonita……ho smesso di raccontare.

–Mamma dov’è? Cosa è successo?-.

Mi hanno raccontato del tuo malore improvviso, del pronto intervento, del trasporto al pronto soccorso e del viaggio in ambulanza che proprio in quel momento stavi affrontando verso un ospedale più specializzato. Mi girava tutto intorno, mi sentivo in una specie di realtà parallela, ero confusa.

***

La prima volta che mi sono tuffata nelle acque limpide del Mar Rosso sono stata travolta da tante emozioni: un forte senso di vertigine, una leggerezza fisica e mentale e da una sensazione di simbiosi perfetta con quell’ intenso e travolgente blu. Quando sono tornata nella stanza dell’albergo sentivo ancora tremare le mie gambe, era stata un’esperienza molto forte e, come sempre, avevo bisogno prima di tutto di condividerla con te: ti ho telefonato e non la smettevo più di raccontarti della miriade di pesci, coralli e spugne che, illuminati dai raggi del sole, sembravano risplendere di luce propria, per regalare impareggiabili spettacoli di colore.

Sono tornata dopo nove anni in quello stesso mare. Questa volta, però, non ho potuto chiamarti. A sera, ammirando lo splendido tramonto che illuminava di una luce calda e rassicurante il vecchio pontile sulla barriera corallina, ho affidato i miei pensieri e sentimenti al mare, pregandolo di farli giungere fino a te.

Tante volte ho affidato al mare i miei pensieri nei giorni in cui la tua malattia avanzava inesorabile. Tentavo con fatica di portare a termine tutti i miei compiti, nascondendo il dolore di vederti allontanare pian piano dalla realtà.

Quando il buio della notte scendeva come un sipario e si spegnevano i riflettori, quando i bambini dormivano nei loro letti, finalmente libera di essere me stessa, mi rifugiavo sul balcone e mi lasciavo travolgere da tutte le emozioni che avevo represso durante la giornata. Cercavo di spingere il mio sguardo lontano, laggiù, oltre il buio della notte, lì c’era il mare, lo sapevo e a volte riuscivo a vederlo bene illuminato dalla luna.

Gli chiedevo di infondere in me un po’ della poderosa forza delle sue onde perché ne avevo disperato bisogno. Gli dicevo quanto fosse difficile vederti andar via giorno per giorno senza poter far nulla. Gli raccontavo di quanto quella cicatrice sulla tua tempia mi facesse soffrire come un marchio impresso a fuoco sul mio cuore. Io dovevo essere quella forte, quella che non poteva permettersi di vacillare, forte per i miei bambini, forte per assistere e sorreggere te, ora in grande difficoltà. Forte.

Alle prime luci dell’alba, mi sciacquavo il viso e accoglievo con un gran sorriso il risveglio dei miei bambini.

***

Alla vigilia della data tanto temuta, siamo rimaste a lungo a chiacchierare di tutto, come se fossimo in qualunque altro posto ma non lì, in quella bianca cameretta. Sapevo che, dall’indomani, nulla sarebbe stato più lo stesso. Sull’uscio della camera mi sono voltata a guardarti un’ultima volta prima di andar via.

Seduta sul letto, il tuo profilo si stagliava netto contro la luce rossastra di un tramonto di inizio estate, i capelli corvini, folti e ribelli come sempre, come da quel momento in poi non avresti più avuto. Ti sei voltata, come se il mio sguardo ti avesse chiamata.

Mi hai guardata, hai sorriso con una dolcezza disarmante e con un occhiolino hai fatto “pollice su”.

***

Puntualmente ogni mattina la mia sveglia mi chiama e dal corridoio dei miei ricordi ti sento arrivare. Con il suono inconfondibile delle tue pantofole ti avvicini alla mia cameretta, in una delle tante buie e fredde mattine invernali. Mi rannicchio sotto  le coperte, faccio finta di dormire ed aspetto. Arriva puntuale la tua carezza ed il tuo bacio ed un bisbiglio nell’orecchio “ E’ ora di alzarsi”. Subito con un balzo ti stringo al collo, aggrappata come un koala.

Un mattino in particolare mi torna alla mente, in un ricordo nitido e forte: quando al bacio del risveglio mi hai detto: “Svegliati principessa, questo è il tuo grande giorno!”. Era il giorno del mio matrimonio.

***

L’aria troppo calda e densa della sala d’attesa, tanti volti sconosciuti e sguardi che vagavano intorno, vuoti, ciascuno perso nei propri pensieri. L’ho preso dal passeggino e attraversando un lungo corridoio mi sono seduta per allattarlo in un posto più appartato.

Mi incantavo a guardarlo mentre beveva il suo latte e lo accarezzavo lentamente cercando di dare un po’ di sollievo al mio cuore in tumulto e di allentare il groviglio dei miei pensieri.

Un vecchio ascensore si è aperto ed una infermiera, con passo veloce, ha attraversato la stanza spingendo il grosso carrello con le vivande per i pazienti. Si è fermata davanti a me e mi ha sorriso.

“E’ bellissimo, ma è anche molto piccolo….quanto ha?”

“Due mesi tra due giorni”

“Lei lo sa , vero, che lui non dovrebbe essere qui?”

“Mia madre è in sala operatoria”.

Mi ha accarezzato una spalla “E’ davvero un bel bambino”

Mi ha guardata negli occhi con un sorriso ed ha ripreso a spingere il suo carrellone.

Il chirurgo è tornato dopo tante, troppe ore.

Gli siamo subito andati incontro.

“E’ brutto, è molto brutto.”

Qualcuno mi ha tolto il bambino dalle braccia.

“Fate sedere la signora che si sente male”.

***

Ormai non andavo a scuola da diversi giorni.

Continuavo ad avere la febbre molto alta e sebbene fossi stanca di dover rimanere a letto, il bello era che, quando non lavoravi, potevo averti tutta per me. Ti sedevi sul mio letto e mi raccontavi storie, cantavamo insieme simpatiche canzoncine e ci facevamo il solletico.

Mi sentivo una principessa quando arrivavi con lo sgabellino arancione, che ancora presidia la cucina di casa tua, come fosse una reale tavola imbandita con le prelibatezze che mi preparavi nella speranza che mi decidessi finalmente a mangiare qualcosa.

Quella sera eravamo tutti insieme, seguivamo una trasmissione televisiva, quando ho iniziato a dire un sacco di sciocchezze, frasi sconclusionate, senza senso ma incredibilmente divertenti, una specie di delirio goliardico dovuto al mio stato febbricitante. Per un po’ ci abbiamo riso su, poi è arrivato il dottore.

“C’è  un focolaio nei polmoni, dobbiamo iniziare subito la terapia”.

Ma come era possibile….il fuoco nei polmoni?! Vabbè, tanto io non avevo nulla da temere, avevo ad accudirmi la migliore infermiera del reparto pediatria di tutto il mondo: passavi tante ore al giorno a curare i bambini che ne avevano bisogno, con grande passione e dedizione. Ti avevo vista prenderti cura di neonati con grande dimestichezza e professionalità, così quando ti vedevo arrivare con quella siringona, senza protestare, prendevo un bel respiro e mi preparavo ad affrontare stoicamente la Penicillina.

Più tardi, quella sera, iniziavo a stare meglio e ad appisolarmi, quando ti ho vista avvicinarti. Indossavi il tuo cappotto ed il foulard con le rose rosse.

Un bacino sulla fronte. -Mamma ….dove vai?-

-A lavorare amore…-

-Ma come? Non dici sempre che vai in ospedale a curare i bambini malati?-

– Infatti è così-

-Allora perché a me mi lasci da sola? Anch’io sono malata…perché non resti con me?-

Trent’anni dopo, mentre ti davo la buonanotte sulla porta di casa, mi hai guardata, gli occhi stanchi e provati dalla malattia incalzante, senza collegarti ad alcun discorso, probabilmente seguendo il filo logico di un ragionamento che stava avvenendo solo nella tua mente, mi hai detto: -Ho un solo grosso rammarico nella vita: quello di avervi dovuto lasciare per andare a lavorare!-

Ora so che quella sera devo averti spezzato il cuore.

***

Tornai dal lavoro nel primo pomeriggio. Come sempre venni da te prima ancora di rientrare a casa mia. Ancora una volta c’erano tutti e ancora una volta ero l’ultima a sapere quello che stava accadendo. Tutto avveniva esattamente come ci avevano detto.

-Mamma non si sveglia-

I ricordi di quel pomeriggio sono confusi, offuscati, dolorosi. Ricordo che sono rimasta accanto a te fino a tarda sera. Continuavo a ripeterti –Ti voglio bene mà-, ti accarezzavo e provavo continuamente a chiamarti, sottovoce, con tutta la dolcezza del mondo, sperando di sentire ancora una volta il suono inconfondibile della tua voce.

Lentamente hai mosso la mano che tenevo stretta alla mia ed hai portato il mio palmo sulle tue labbra. Lo facevi sempre quando ero bambina: mi baciavi il palmo della mano tutte le volte che avevo bisogno di essere rassicurata.

E’ stato il tuo saluto.

***

I nostri nasini schiacciati contro i vetri gelidi della vecchia finestra, gli occhi spalancati, colmi dell’incredibile meraviglia che la neve, bianca e soffice, suscita nei bambini scendendo con la sua danza lieve ed armoniosa. La voce del maestro severo: ”Bambini tornate ai vostri posti, dobbiamo terminare la lezione!”. Ma i nostri pensieri erano altrove: a come fare il più bel pupazzo di neve che si fosse mai visto, a come organizzare le folli discese a bordo di una busta per l’immondizia lungo la strada in pendenza ormai coperta di neve, ai giorni di chiusura della scuola che quella neve copiosa stava per regalarci.Finalmente la campanella. Tutti imbacuccati ed entusiasti di poterci finalmente tuffare in quel mondo immerso nel bianco, usciamo dal portone. Imperversava una vera e propria bufera di neve, di quelle che non ti permettono neanche di tenere gli occhi aperti.

L’entusiasmo si placa e lascia pian piano il posto all’ inquietudine che presto diventa smarrimento. Le lacrime agli occhi “ non c’è neanche il pulmino….come faccio a tornare a casa?”.

Ma proprio in quel momento di sconforto, in mezzo al bianco fitto e accecante, dei fiori rossi si muovono tra le teste confuse dei genitori, vengono verso di me….sono quelli del tuo inconfondibile foulard che avvolgi sul capo quando nevica.

“MAMMA!”. Ti ho stretta forte al collo.

“ Stai tranquilla, andiamo a casa”.

Spesso mi perdo tra i mille pensieri, le responsabilità, i doveri e le difficoltà della vita quotidiana, mi sento disorientata e non so se la strada che percorro sia quella giusta. Vorrei che come allora tu mi venissi incontro per portarmi al sicuro.

***

Alle quattro del mattino la mia bimba ha pianto un pochino, solo per svegliarmi da quel sonno leggero a cui il dolore e la stanchezza degli ultimi giorni mi avevano costretta ad assopirmi. Sono venuta da te.

Ti ho stretto forte la mano, uguale alla mia, la stessa che per prima mi ha accarezzata quando sono venuta al mondo, la stessa che tante volte mi ha amata, accudita, protetta, salvata.

In quel momento così solenne, un respiro.

L’ultimo.

Un palpito così etereo e leggero ma così straordinariamente carico di tutto ciò che nella vita aveva avuto un senso fino a quel momento.

E’ stato come se qualcuno, con inestimabile ferocia, avesse squarciato il mio petto e strappato via il mio cuore.

Così è calato il sipario.

 

Arriva all’improvviso e ti travolge come un’esplosione. Il dolore arriva così.

Non puoi evitarlo, vacilli, barcolli pesantemente, ma non puoi permetterti di cadere.

Lui ti invade e pervade di sé ogni fibra del tuo essere e tu non hai altra via: devi lasciarglielo fare, giorno dopo giorno, finché anche lui diverrà parte di ciò che sei.

Non si può comprenderlo né spiegarlo,  bisogna arrendersi all’idea che tutto ciò che saremo da quel momento in poi lo dovremo anche a lui.

Ho dovuto accettare che la tua mancanza diventasse mia compagna di vita, ho dovuto imparare ad accontentarmi di ritrovarti in ogni mio respiro, in tutti i miei pensieri, nei gesti, nelle abitudini che tu hai insegnato a me e che io cerco di trasmettere ai miei figli. Ho dovuto imparare a combattere in trincea, perché quando c’è la mamma è sempre lei davanti a te a difenderti ed io mi sono ritrovata inerme e scoperta di fronte alla vita.

Mi sono sentita tante volte come quella piccola bambina di tre anni che resta sola sulla strada, sperduta e disperata perché non vede più la sua mamma e non sa dov’è, ma ho avuto la fortuna di essere mamma e di trovare in questo la mia forza, ed è stato come se io mamma lo fossi sempre stata. Tu non ci sei più a dirmi: “ non preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene”, però ora sono io a dirlo ai miei figli ed ogni volta che lo faccio mi sembra di sentire la tua voce all’unisono con la mia.

Avrei voluto dimostrarti fino in fondo quanto tu significassi per me, ma ho capito quanto grande fosse il tuo amore solo quando sono diventata mamma anch’io ed il nostro tempo insieme stava ormai per scadere.

La mia vita è semplice e spesso molto faticosa, ma ti assicuro che ogni giorno faccio del mio meglio, chiedendomi se saresti orgogliosa della donna che sono diventata.

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7 commenti »

  1. Cinzia,

    scrivere della perdita di una persona cara è complesso, perché si rischia di lasciar “correre incondizionatamente la penna” e banalizzare il dolore.

    Io ci ho provato e non ne sono stato in grado; tu, invece, hai colto pienamente l’obiettivo, riuscendo addirittura ad alternare vicende presenti e passate di un rapporto madre/figlia così denso e speciale.

    Mi auguro non si tratti di un’autobiografia ma, laddove così fosse, “tua madre sarebbe orgogliosa di te”.

    Complimenti.

  2. Grazie per aver letto il mio racconto, sono felice se son riuscita a trasmettere un pò della mia emozione.

  3. Cara Cinzia, quanta affettuosa invidia da parte mia che Nella mia vita sono rimasta orfana per ben tre volte…

  4. Toccante questo flusso di ricordi, emoziona e commuove, come mamma e come figlia. Senti lo stordimento e insieme il dolore, la riconoscenza, la speranza. Sei stata proprio brava.

  5. Grazie di cuore Marcella! Sono veramente felice se sono riuscita ad emozionarti almeno un pò…

  6. Cinzia, un flusso di coscienza bellissimo. Bello e veritiero il modo in cui il passato e il presente si mescolano, perché quando si perde o si sta per perdere una persona cara si tende a ripescare dalla memoria tutto quello che la riguarda. Davvero, so quanto sono vere queste parole e quanto deve essere stato difficile per te metterle nero su bianco.

    Sappi però che ci sei riuscita benissimo. Complimenti.

  7. Grazie Eleonora…davvero, il tuo commento mi ha commossa!

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