Premio Racconti nella Rete 2017 “Feu de paille (racconto breve per violino e sax)” di Les UBU
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Aveva sempre preferito i numeri pari. Quelli dispari gli davano un senso di disagio, come se guardasse un orizzonte inclinato. I numeri primi, poi, gli trasmettevano incertezza, non si facevano imbrigliare, sembravano sfuggire continuamente al suo controllo. Eppure la matematica era la sua passione fin dall’infanzia: tutto, infine, andava al suo posto; bastava un po’ di attenzione e si arrivava ad un risultato certo, inconfutabile, indiscutibile. C’era un mondo, in quei numeri, in cui regnava un ordine che non si poteva sovvertire; non era come quello che lo circondava nella sua quotidianità.
Inge lesse e rilesse, dubbiosa, quanto aveva scritto con il consueto impeto. Come se fosse stata preda di una sorta di rapimento mistico che la coglieva ogni volta che iniziava a scrivere un nuovo racconto, anche questa volta aveva lasciato scorrere i pensieri e, velocemente, la trama si era dipanata , scorrendo con fluidità. Quasi come se il racconto avesse una propria vita e si servisse delle sue mani per esistere. Sobbalzò quando sentì il rumore di passi dietro di lei e, frettolosamente, chiuse con una mano il pc mentre, assorta ancora nei suoi pensieri, si avviò svogliatamente a preparare la cena. Forse un giorno avrebbe dovuto scrivere un libro di ricette, chissà! Magari avrebbe ottenuto più successo. Il mondo sembrava impazzire per cuochi e pasticceri, nonostante la dilagante mania per le diete e i cibi salutari.. bah! detestava queste contraddizioni dei tempi moderni. Del resto i suoi capelli d’argento non potevano mentire…
Finiti i suoi compiti casalinghi, si ritirò, in religioso silenzio, accese il computer e, dopo aver socchiuso gli occhi per un istante, lasciando fluire i pensieri e l’immaginazione, cominciò a digitare avidamente un nuovo capitolo…
Da piccolo, quando la tensione era particolarmente alta in famiglia, si metteva a fare operazioni complicate, moltiplicazioni impegnative che poi verificava con la prova del 9. La prova del 9 aveva qualcosa di magico per lui. Da essa dipendeva il suo umore: un risultato perfetto era il premio alla sua fatica e la certificazione che tutto andava bene, nonostante tutto. Gli errori, pochi in verità, gli causavano invece nervosismo, inquietudine e non aveva pace finchè una serie assai lunga di successi non gli facevano dimenticare il suo unico errore. Il suo rapporto con l’altro sesso, durante gli anni dell’adolescenza e della giovinezza e poi durante gli studi universitari, si poteva definire contrastato. Il suo atteggiamento serio e riservato, l’uso essenziale della parola, creavano un certo alone di mistero che incuriosiva le ragazze. Ebbe alcune relazioni con compagne di studio, ma senza mai trovare un coinvolgimento emotivo completo, anzi, quando si accorgeva che il rapporto tendeva a farsi troppo serio e impegnativo, faceva il possibile per troncare la relazione, a volte anche in modo brusco. Talvolta erano piccoli dettagli che lo spingevano verso la fine di una storia. Potevano essere, talvolta, due occhi truccati in modo leggermente diverso l’uno dall’altro, o un filo di rossetto che da un lato debordava dalla linea giusta; tutti elementi che toglievano simmetria al volto e che gli davano un fastidio fisico.
Le mani continuavano a scorrere velocemente sulla tastiera, quasi come se non riuscissero a tenere il ritmo dei suo pensieri, dei suoi ricordi che, silenziosamente, trovarono spazio nelle pagine del racconto che stava scrivendo.
Bussò timidamente alla porta. Un’ eco gentile si propagò nell’aria fragrante del suo profumo fiorito. Nessuna risposta. Il bussare si fece allora più vigoroso fino a che lei non sentì il lento passo strascicato dell’uomo che le avrebbe aperto. All’apertura, i vecchi cardini cigolarono fastidiosamente mentre l’aria stantia si mescolò con la freschezza dell’aroma fiorito creando una improbabile nuova essenza.
“Buonasera signora Inge”, le alitò l’uomo, “entri, la stavamo aspettando”.
Camminava cercando di non fare rumore, detestava sentire il rumore di tacchi, per questo, per l’occasione, aveva scelto delle comode scarpe dalla suola in gomma. Vecchie, comode scarpe che l’avevano servita a dovere tante volte. Incredibile quante storie potrebbero raccontare delle scarpe usate, se potessero. Ad uno sguardo attento, potrebbero rivelare molto di chi le indossa. Era divenuta per lei una sorta di fissazione; a volte cercava di intuire la vita delle persone solo osservandone le scarpe. Per questo, ancora prima di stringere la mano all’uomo che le si presentò davanti, dette un’occhiata inquisitoria proprio alle sue estremità. Calzava dei mocassini di pelle morbida, marrone. Sottili pelucchi adagiati qua e là sulla tomaia, rivelavano una recente spazzolatura e lucidatura a mano. Di sicuro aveva una moglie premurosa.
“Buonasera … dottor … Jorge?”
“Sono la signora Inge Walden”. L’ uomo, discretamente, le dette una frettolosa stretta di mano di circostanza e la invitò a sedere.
“Mike ” – disse con voce un po’ grave -, “porta qui i documenti per la Signora”. La sedia cigolò debolmente sotto il suo peso leggero e, a quel punto, si sentì pronta a domandare il motivo di quella convocazione; c’era qualcosa di sinistro nell’aria.
“Signora lei conosce il sig. Hans Jansen?”
Inge impallidì, deglutì e rispose: “Hans Jansen il matematico?”
“Si, lui”
“Certo che lo conosco”, rispose ostentando una innaturale sicurezza, ” è il mio ex marito. Ma sono anni che non ho più sue notizie. Adesso vuol dirmi perché sono qui?”
“Vede Signora Inge, Hans , il sig. Jansen, era un mio buon amico, e ha lasciato questa lettera per lei.”
Come un cavallo colpito da una frustata improvvisa, la sua mente galoppo’ veloce … e con un filo di voce disse: “Perché mi ha detto che Hans era un suo buon amico?”
“Perché, signora, il vecchio Hans Jansen se n’è andato una settimana fa”.
Gelo. Improvvisamente un gran freddo si impadronì del suo corpo, del suo stomaco e della sua anima. Hans, il suo Hans, morto!
Certo erano molti anni che non aveva più sue notizie, anzi, aveva accuratamente cercato di non averne. Capitolo chiuso, si era detta. Punto e a capo. Forse, col tempo, avrebbe scritto un romanzo su di lui, sulla loro storia. Forse. Ma a chi sarebbe mai interessata? E come aveva potuto pensare di innamorarsi di un uomo così metodicamente imbarazzante, con la testa sempre presa dai suoi numeri… i suoi odiosi numeri. Lei che amava così profondamente l’imprevisto, che era curiosa della vita e che vedeva nelle lettere, gli strumenti più preziosi per esprimere la sua libertà.
Strano, si rese conto solo in quel momento di quanto il “suo metodico Hans”, contribuisse al suo equilibrio. Certo non lo vedeva, non lo sentiva, non sapeva se si fosse o meno rifatto una vita dopo il naufragio del loro breve ma intenso matrimonio, Hans per lei, era sempre presente nonostante la sua assenza.
“Inge, si sente bene? Vuole una tazza di tè caldo? Un caffè magari..”
“Grazie, sto bene”, disse appena il sangue ricominciò’ a scorrerle nelle vene, pompato da un cuore che sembrava impazzito.
“Ha detto che Hans ha lasciato una lettera per me? ”
“Si, eccola” . Le porse, con un incomprensibile sorriso, una busta bianca, leggera, con il bordo a strisce colorate, di quelle che si usano per la posta aerea . Nell’ indirizzo c’era scritto: per la Signora Inge Walden Jansen da consegnare Sue proprie mani dopo mia dipartita. Certo, non poteva essere stata scritta da altri che da lui.
Fu un lunghissimo attimo. Prese quella lettera e la mise nella tasca del suo cappotto, così, come si fa per le cose non particolarmente importanti. Decisa a non leggerne mai il contenuto. Ma la sua mano, ficcata dentro le tasca per il gran freddo, continuava incessantemente ad accarezzarla.
Sembrava un giorno come gli altri, ma quel giorno irruppero nella sua vita l’asimmetria e il disordine. Si era fermato per far colazione al caffè di Peter, vicino alla facoltà in cui insegnava e stava sfogliando, senza particolare interesse, un quotidiano che era sul tavolo. Non era attratto dalle notizie di quella pagina. Aveva invece notato che nei vari articoli della pagina stessa si parlava dell’incidente fra 2 tir, dell’articolo 7 della nuova legge sulla scuola, del ponte festivo di 3 giorni, dell’apertura di 2 nuove stazioni della metropolitana e delle 5 vittime di un’esplosione dovuta al gas: curiosamente il totale di quei numeri era 19, il numero della pagina stessa. Un numero primo! Non era un buon segno. Stava per accingersi a scorrere la pagina 20 per vedere se il fenomeno potesse ripetersi ancora, quando …
Era uscita scendendo rapidamente le scale. Desiderava allontanarsi prima possibile da quella gelida situazione per rimanere sola con i suoi pensieri. Si sentiva come stordita, camminando fra gente sconosciuta. Aveva la stessa sensazione che si prova quando, dopo una copiosa nevicata, i rumori giungono ovattati alle nostre orecchie. Non voleva piangere, ma sentiva una tristezza incontenibile, si sentiva abbandonata, tradita dalla vita.
Sì, anche in questo l’aveva delusa: era o non era lei che avrebbe dovuto andarsene per prima?
Cercò conforto nel tepore di un piccolo bar nel quale entrambi, molto tempo prima, si erano conosciuti. La vecchia scritta “Da Peter” non era mai cambiata; anzi, i gestori che negli anni si erano alternati, l’avevano conservata gelosamente , quale baluardo di un epoca in cui ancora gli studenti si trovavano per parlare insieme e amoreggiare tra i tavolini. Un’insegna vintage, si direbbe. A parte l’ insegna, niente all’interno era rimasto dei vecchi arredi: “Da Peter”, era un piccolo e moderno internet cafe’. Comunque il locale era accogliente e servivano un buon caffè.
I ricordi si affollarono nella sua mente. Il loro primo incontro, avvenne proprio lì. Esattamente nel punto in cui si era seduta. Hans era seduto e aveva lo sguardo fisso sulla pagina 19 del giornale. L’aveva incuriosita, quell’uomo. Voleva sbirciare quella pagina che, a prima vista, non sembrava avere alcuna notizia di particolare interesse. Fece per allungare lo sguardo quando,
maldestramente, rovesciò il suo caffè, proprio lì. La pagina 19 era irrimediabilmente rovinata. Illeggibile…
Aveva percepito che qualcuno si era seduto al bancone del bar, accanto a lui e che aveva ordinato qualcosa: una voce di donna, flebile ma decisa, ma non aveva alzato lo sguardo da quel giornale. Fu un attimo: si vide arrivare il contenuto di una tazza di caffè che si riverso’, come un torrente in piena, sulla sua pagina di giornale e sui suoi pantaloni. La proprietaria di quella flebile voce, in un gesto maldestro, aveva rovesciato la tazza di caffè che le era stata appena portata. Entrambi erano balzati in piedi. Lui la guardava ammutolito, mentre lei ripeteva “mi scusi, mi scusi, mi scusi …”. Il suo viso costernato ebbe improvvisamente un sussulto, soffocando a malapena una risata incontenibile che sgorgò poi senza più freni, mentre continuava a ripetere “mi scusi, non volevo …” si scusava e rideva. Lui, irritato, sollevò lo sguardo dai suoi pantaloni macchiati e finalmente la guardò. Fu in grado solo di dire, con un filo di voce: “no, niente…” Era rimasto inchiodato a quel viso. I suoi capelli erano raccolti in una specie di basco di lana lavorata molto grossolanamente, lasciando completamente libero l’ovale del viso e il collo, ma quello che lo aveva stordito erano gli occhi. Un ciuffo di capelli biondi usciva da quell’eccentrico copricapo e andava a coprire parzialmente l’occhio sinistro, attribuendo una certa asimmetria al volto, cosa che in altre circostanze gli avrebbe causato nervosismo e disappunto. Lei lo guardava con il viso leggermente abbassato ma con gli occhi dritti nei suoi, scintillanti come due lame di coltello, taglienti come rasoi. Lui ebbe appena il fiato di balbettare “mi hanno detto che il caffè non macchia…” “Speriamo” disse lei “non vorrei averle combinato un guaio”. Non poteva congedarla così, lo sapeva. In una frazione di secondo realizzò che qualcosa doveva inventare e si ricordò che all’occorrenza sapeva anche essere spiritoso e così le disse con un tono fra lo scherzoso e il grave: “Signorina, se questi pantaloni non ce la dovessero fare a superare il trauma, lei me ne dovrà rendere conto. Mi lasci il suo numero di telefono e la informerò quanto prima del loro stato di salute”. Lei sorrise e cominciò’ a rovistare affannosamente nella sua borsa, in modo disordinato e convulso; poi, stizzita, la vuotò del contenuto sul bancone e, finalmente, ne trasse una penna con cui scrisse un numero su una piccola zona di quella pagina di giornale, rimasta pulita.
Questo ricordo aveva fatto irruzione prepotentemente nella sua tristezza, facendola aprire, ancora una volta in un sorriso fuori contesto. Come sempre, le capitava in certi frangenti imbarazzanti, aveva cominciato a ridere, ridere fino alle lacrime, senza freni. E tanto più incrociava quello sguardo misto tra disappunto e una certa strana dolcezza e più rideva, fino al punto in cui si era creata un’atmosfera surreale, quasi una certa intimità con l’uomo che fino a pochi attimi prima le era sconosciuto.
Per quello aveva trovato assolutamente naturale dargli il suo numero di telefono, dando inizio così, inconsapevolmente, al loro percorso di vita insieme.
Dopo che se ne era andata, lesse quel numero: 5337257. Tutti numeri primi! In altri momenti gli sarebbe stato sufficiente per rovinare una giornata, ma quella volta no; anzi, sorrise. Aveva in mente soltanto quel viso e quegli occhi, quella risata incontrollabile, fino alle lacrime: quella ragazza era un concentrato di vitalità, di energia, passione ed era tutto lì, contenuto in quel lampo degli occhi. Era una sensazione nuova per lui.
Inge, finì di bere il suo caffè che ormai si era raffreddato e, lentamente, immersa nei suoi pensieri, si avviò verso casa.
Come spesso succede, con il passare degli anni, aveva conservato solo i ricordi migliori. Non trovava giusto occupare la sua memoria già colma di tanta vita vissuta, con rancori, delusioni, amarezze. Una volta aveva sentito una frase che aveva lasciato su di lei un forte imprinting: “devi imparare a scegliere i tuoi pensieri allo stesso modo in cui scegli i tuoi vestiti ogni giorno”. Questo era diventato il suo mantra personale e se, in certi momenti, avrebbe solo indossato abiti scuri (e il suo armadio parlava chiaramente di questo) con il tempo, aggiungendo un accessorio alla volta, era riuscita a colorare il suo guardaroba, i suoi pensieri, la sua vita.
No, non avrebbe aperto la lettera. Non subito almeno. Moriva dal desiderio di farlo, ma aveva una gran paura di riaprire vecchi ricordi, che avrebbero bruciato come sale sulle ferite.
Cosa non aveva funzionato? Quanto era dipeso da lei? Cosa avrebbe potuto e dovuto fare per evitare la fine di un rapporto nato così spontaneamente, fra persone profondamente diverse (o forse profondamente uguali) e che paradossalmente risuonavano della stessa melodia, anche se prodotta con strumenti così diversi? Nei momenti migliori , amavano definirsi “l’orchestrina”. Un sax profondo, affascinante col suo suono caldo e avvolgente, rassicurante, quasi umanizzato, e un delicato violino che poteva produrre suoni meravigliosi e struggenti , come pure cacofonici stridii.
L’energia. Ecco il risultato delle sue analisi. O meglio la mancanza di energia percepita. Lei così attiva, curiosa, indomita, gli avrebbe perdonato di tutto, ma non la mancanza di energia. A volte si era sentita tirare in basso, sprofondare nelle sabbie mobili della indifferenza che spesso Hans sembrava riservarle. Come un naufrago che cerca disperatamente di lanciare segnali di fumo per mandare il suo SOS ad un improbabile aereo che vola ad alta quota, si era trovata lì, delusa e soprattutto immobile. No. L’immobilità’ non faceva per lei. Fanculo lui, i suoi dannati numeri, i suoi caffè sempre alla stessa ora, le sue passeggiate, sempre quelle, le frasi che poteva recitare a memoria ogni volta che si verificava lo stesso evento.
No, non avrebbe mai aperto quella dannatissima lettera. Anzi, l’avrebbe gettata. Ecco cosa avrebbe fatto. Forse.
Guardò l’orologio e solo allora si rese conto di quanto fosse tardi. Perdeva sempre la cognizione del tempo quando metteva “le ali alla sua penna”. Non voleva decidere un finale della storia: qualsiasi idea le sembrava aggiungere banalità, togliere forza al racconto. Chissà se il suo editore sarebbe stato soddisfatto. Tutto sommato non le importava granchè. Spense il p.c. e ancora piena di quella storia, la sua storia che, finalmente, si era decisa di raccontare. Andò nella camera da letto e, silenziosamente, si rifugiò nel caldo abbraccio del suo Hans.
Non aveva mai buttato quel cappotto che custodiva gelosamente in una delle sue tasche, una busta leggera ingiallita dal tempo. Vuota.
Alla fine aveva ceduto alla curiosità, fortunatamente in tempo per utilizzare quel biglietto e assistere al concerto per sax e violino dove l’armonia del brano “Feu de paille” li aveva riuniti per la vita.
Les (immagino non sia il tuo vero nome :-)),
sono davvero lusingato di commentare per primo questo racconto, che, almeno a mio vedere, è un piccolo capolavoro per prosa, trama e ritmo narrativo.
La geometria che hai studiato – matematicamente, per rimanere in tema 🙂 – si presta alla perfezione per narrare le vite dei protagonisti, impastandando passato, presente e futuro in un’equazione letteraria dal risultato ineccepibile.
Ho apprezzato tantissimo la figura del marito: il suo modo di vedere il mondo e soprattutto l’amore, continuamente teso a ricercare una ragione empirica di questo sentimento così difficilmente decodificabile, mi ha ricordato moltissimo “Un Chimico” di De Andrè.
E quanto si parla del Poeta ci sono pochi altri complimenti da aggiungere.
Bravissimo/a :-).
Grazie per gli apprezzamenti. L’accostamento a De Andrè, seppure immeritato, fa comunque piacere.
MI piace la prosa che trovo semplice ma non scontata. Trovo ben riuscito il doppio binario su cui si muove la vicenda: tiene desta l’attenzione e fa venire voglia di scoprire come andrà a finire. Il che è la ragione di vita di qualsiasi storia! Complimenti, molto ben pensato 🙂
Grazie per il giudizio positivo e, in particolare, per aver trovato interesse nel racconto e provato una certa curiosità di andare avanti. Non lo davo per scontato, visto che si tratta di una prima prova, molto sperimentale.
Mi è piaciuto moltissimo il tuo racconto, intenso, ricco di suggestioni e spunti di riflessione. Intanto complimenti per la struttura su cui si svolge la storia. Nonostante i salti tra presente e futuro e tra i due diversi punti di vista, la costruzione non lascia dubbi nella comprensione ed è scorrevole. Ma più di tutto mi è piaciuto l’accostamento e la compenetrazione tra opposti, matematica e letteratura, presenza e assenza, abitudini e imprevisti che si risolvono nell’idea finale di una musica capace di riunirli tutti.
Grazie! Quello che mi è piaciuto di più nel tuo gradevole e cortese giudizio è quella osservazione sui due opposti che, grazie ad una delle arti, la musica, riescono a trovare una sintesi finale.
Les Ubu, grazie per il piacere che mi ha dato la lettura del tuo racconto. Adoro la struttura.
Grazie a te di aver dedicato tempo alla lettura del nostro lavoro e del tuo positivo commento
Bello questo racconto, costruito con una geometria precisa, ricco si sentimenti complessi declinati con maestria, sembra il risultato di una formula che si costruisce negli anni e che si conclude nella sintesi della musica.
Bravissima!
Grazie Gianluca, il tuo commento ci fa molto piacere e ci motiva. “Ci” in quanto Les Ubu e’ un duo.. uomo e donna. Siamo due compagni d’arte di lunga data, soprattutto teatranti (Ubu Roi e’ stato il lavoro del nostro debutto in cui interpretavamo i ruoli di padre e madre Ubu) Da quel giorno sono trascorsi più di 25 anni..Abbiamo tentato questo esperimento di scrittura creativa lasciando che il periodo scritto dall’uno ispirasse quello scritto dall’altra fino a comporre la storia che, di fatto, si è dipanata sotto le nostre “penne”. Grazie a commenti come il tuo, troveremo l’ispirazione di proseguire in questa direzione .
Grazie del tuo sensibile commento. In effetti il “binario” che hai individuato e’ il frutto della scrittura a “quattro mani” dove abbiamo cercato di fondere le nostre individualità in un unico e speriamo armonico racconto.
Ecco finalmente svelato il mistero del vostro nome! Avevo già apprezzato e commentato il vostro racconto ma sapere che c’è una coppia di due penne dietro mi sembra l’ultimo tassello di una struttura narrativa perfettamente binaria e quindi me lo fa apprezzare ancora di più.
Bella questa narrazione di un amore ‘asimmetrico’ che si ricompone nell’armonia della musica!
Les Ubu,
ho riletto il vostro racconto perché lo ricordavo come uno di quelli che mi avevano maggiormente impressionato.
Non posso che confermare tutto il bello che avevo percepito ad una prima lettura.
In aggiunta a quanto già scritto, ho notato che la “rilettura” favorisce l’individuazione di diversi piani interpretativi che non avevo percepito con il primo approccio; caratteristica determinante, almeno a mio avviso, per considerare un elaborato ben riuscito.
Insomma, di nuovo complimenti per quello che, per mio gusto, è uno dei racconti più belli di questa edizione.
Che dire? Non possiamo che essere lusingati di questo ulteriore commento che, insieme al precedente ci spinge ad insistere, magari ricercando nuove strade. Commenti di questo tipo valgono per noi, alla nostra prima esperienza, più di un premio. Grazie.