Premio Racconti nella Rete 2017 “Porpora” di Silvia Messina
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017– Li senti? Di nuovo quei topi schifosi, corrono impazziti sopra il tetto.
– Sono disturbati dalla luce che arriva attraverso i lucernai.
Pierre risponde senza prestare troppa attenzione. Quando opera vuole rimanere concentrato. Preferisce non vedere lo squallore di quel posto, non chiedersi chi sia quella donna distesa sul lettino, il volto nascosto dalla maschera per sedarla, il corpo di bambina, nero come l’ebano.
– C’è qualcosa che non va. Pierre c’è troppo sangue. Mio Dio, è arrivato fino a terra. E’ tutto intorno alle tue scarpe.
– Maledizione! Sophie passami un’altra clamp. Presto! Asciuga, non vedo niente. E’ troppo denso.
– Dobbiamo portarla in ospedale. Pierre ti prego.
– Non c’è più tempo. Devo riuscire a bloccare questa emorragia.
Sembra magma che si riversa sul lenzuolo, cola giù fino ai piedi arrugginiti del letto operatorio, gli lambisce l’orlo dei pantaloni.
Il fiume scuro rallenta, si ferma. C’è silenzio nel vecchio magazzino abbandonato. Anche i topi hanno smesso di correre, percepiscono la morte.
– Sophie smettila, fermati. Non c’è più battito. Lascia stare quelle garze, non servono più.
La prende per i polsi tremanti. La allontana da quel corpo svuotato, senza più storia. Un lamento sommesso, un suono animale, come una preghiera antica sgorga dalle sue labbra livide. Sembra una bambina mentre si lascia portare verso il lavandino macchiato di vecchio. Non riconosce le sue mani ricoperte da muco vischioso, porpora. Minuscole lentiggini di gocce rapprese tessono una ragnatela lungo le braccia, risalgono fin sul volto, imbrattano la fronte alta non ancora segnata dall’età, si raggrumano sui capelli stretti in una coda di cavallo.
Sente Pierre pronunciare suoni, forse parole o frasi.
– Dobbiamo andare via di qua. Ci penseranno loro a sistemare tutto. Mi dispiace tesoro. Mi dispiace.
E’ l’alba. Sophie apre gli occhi. Il sedativo le ha concesso qualche ora di oblio.
– Pierre! – grida – Dimmi che non è vero. Dimmi che è stato solo un incubo. L’orrore del ricordo la fa balzare fuori dal letto. Non sa come sia tornata a casa. L’uomo è immobile, seduto di fronte alla finestra.
Sophie si inginocchia accanto a lui, poggia il capo sulle sue gambe. Pierre le accarezza i capelli, ora liberi dai nastri, sciolti sulle spalle nude. Li attorciglia tra le dita.
– La mia Madonna bionda. Ho rovinato anche te. Non dovevo accettare questo ricatto. Avrei dovuto trovare un altro modo per pagare quei maledetti debiti.
– Minacciavano di ucciderti.
– Sarebbe stato meglio per quella povera ragazza – Pierre chiude gli occhi come se potesse riportarla in vita almeno nel ricordo – Avrà avuto sedici anni appena.
Un brivido lo scuote. Ha freddo. Allontana Sophie da sé e tira fuori dall’armadio due valigie.
– Andrò a costituirmi. Ho già contattato un avvocato. Dovrai andare via per un po’. Non è prudente che tu stia qui.
– No. No. Io non ti lascio, non posso vederti andare in prigione, non posso affrontare tutto questo senza di te. Fuggiremo insieme, nessuno ci troverà.
Lo stringe forte quasi volesse incatenarlo a sé.
Pierre le fa cenno di non parlare. Si stacca dal suo abbraccio e si avvicina silenzioso alla porta. Dei passi lungo le scale l’hanno insospettito. Dallo spioncino vede salire una sagoma scura. Sembra un uomo. Il volto nascosto da un cappello. Fa segno a Sophie di non muoversi, lui stesso trattiene il respiro. Lo sconosciuto si ferma sul pianerottolo, si dirige verso la loro porta ma poi prosegue su per le scale.
– Chi era?- bisbiglia Sophie – La polizia?
– La polizia sarà la nostra salvezza – dice Pierre senza riuscire a controllare il tremito della voce – ma devo costituirmi prima che quelli dell’organizzazione decidano che sono diventato troppo pericoloso.
Pierre riprende a preparare le valigie di entrambi.
– Siamo stati attenti a pulire tutto, a non lasciare tracce. Non sarà facile risalire a noi – lo incalza Sophie.
– Sanno come trovarci e non saranno clementi.
– Dobbiamo fare una doccia con tanto sapone, cosi laveremo via tutto il sangue e nessuno ti potrà portare via da me.
– Dici cose senza senso. – Trattiene il viso di Sophie tra le mani – Tu sei al sicuro. Nessuno sa che eri con me quella sera. Dirò che ho fatto tutto da solo. A loro basterà.
Pierre riporta Sophie sul letto. La mette seduta accanto a sé.
– Non farò mai il tuo nome. Non ti tradirò mai. – La rassicura stringendola fra le braccia per fermare il suo tremore.
– Io non posso vivere senza di te – Grida la donna colpendo Pierre con piccoli pugni sulla schiena, sulle gambe. Non mi lasciare sembrano dire e più si fanno leggeri più il loro carico di angoscia aumenta.
Pierre la stacca da sé delicatamente. La guarda fisso in volto, cercando nel profondo di quegli occhi nocciola il filo della ragione apparentemente perduta.
– Adesso finisci di preparare la valigia. Il tuo treno parte tra poco. Il biglietto l’ho messo nella tasca del cappotto. Fai presto, devi partire prima che io arrivi in commissariato. Ci andrò a piedi per darti più tempo.
La bacia sulla fronte come una bambina, la saluta con un sorriso. La vede affacciarsi alla finestra per guardarlo andar via, come sempre.
La valigia è sul marciapiede. Pierre chiude il portone accompagnandolo con la mano. E’ sempre stato difettoso. Sa che lei è lì alla finestra. Sophie, infermiera, amante, complice. Lui il suo diabolico pigmalione.
La sensazione di essere seguito ritorna più pressante. Alza appena lo sguardo. Un uomo è affacciato al palazzo di fronte, sembra proprio rivolto verso di lui. Chissà quante volte l’ha visto uscire dal portone, spesso di notte. Quante altre volte ha spiato Sophie affacciata alla finestra all’angolo, l’unica ad essere illuminata fino a tardi.
Il telefono vibra nella tasca di Pierre. Sul display lampeggia il nome del suo avvocato.
– André sono già per strada. Sì è una linea sicura, possiamo parlare. Aspetta …
Due uomini in giacca e cravatta gli vengono incontro, lo guardano attenti, sembrano rallentare. Pierre sente il cuore accelerare. La valigia si è fatta pesante, le ruote stridono lungo il marciapiede. Si ferma davanti all’edicola. Li vede passare oltre.
– Sì, sono qui scusa. No, non voglio ripensarci, è l’unica cosa giusta che posso fare. Rimani in attesa ho un avviso di chiamata. Pronto Sophie!
Lei ha già chiuso la comunicazione.
– André? Ti dicevo non c’è altro tempo da perdere. Sì, ti ascolto. Ancora questa domanda? Quante altre volte lo dovrò ripetere. Ero solo. Non bisogna essere in due per uccidere una bambina. Scusa, te l’ho detto sono molto nervoso. Voglio solo chiudere questa storia il più presto possibile. Va bene, a dopo.
È ancora fermo accanto ai pacchi di riviste imballati che aspettano per terra. L’edicolante lo guarda di sbieco da dietro i fascicoli di ricette. Gli lancia un’altra occhiata mentre sistema una pila di fumetti. Forse quell’uomo ha sentito troppo. Forse lo ha riconosciuto. Ma sui quotidiani la notizia ancora non c’è. Pierre aspira il profumo di carta e inchiostro, lo stesso con il quale il suo nome sarà marchiato. In quella edicola l’uomo alla finestra domani potrà comprare Le Monde, bevendo il suo caffè leggerà:
Medico praticava aborti clandestini per conto
di una organizzazione criminale, muore una donna.
La sala operatoria degli orrori, gli aborti illegali
sulle prostitute in un magazzino abbandonato.
Prima di aver finito la colazione conoscerà la storia di Pierre in tutti i minimi particolari, soprattutto quelli più scabrosi e violenti. Conoscerà tutta la verità o almeno la parte di essa che sarà disposto a sopportare.
La strada curva a destra e si apre in una piccola piazza. Il commissariato gli appare davanti. Sotto la croce verde della farmacia lampeggia l’orario. A quest’ora Sophie sarà già in stazione, pensa Pierre. Il treno partirà tra poco. Prova a richiamarla. Non risponde.
Il suono delle sirene lo stordisce. Due auto della polizia si allontanano di corsa dal parcheggio lasciando i segni sull’asfalto. Dentro il commissariato la piccola sala d’attesa è già piena, puzza di chiuso e sigarette. Il suo avvocato non è ancora arrivato. Un vociare, dapprima sommesso, si fa insistente, prende forma, consistenza. Qualcuno si è ucciso, a poca distanza da questa piazza, a poca distanza da Pierre.
– Si è gettato nella Senna – fa una donna grassa, che occupa due sedie, lucida di sudore.
– No, si è lanciato dalla finestra – precisa un vecchio fermo sulla porta della sala d’attesa. È arrivato da poco, ha notizie più aggiornate.
– Sembra che ci sia un testimone. Era affacciato alla finestra bevendo il suo caffè quando l’ha vista. Sì, era una donna, bionda dicono, sembrava calma.
La signora grassa conferma questo particolare con un cenno del capo mentre cerca di tamponare il sudore che cola lungo il collo possente. L’uomo anziano si accende una sigaretta.
Il poliziotto di servizio all’ingresso lascia la sua postazione. Si rivolge al vecchio, sembra conoscerlo.
– I colleghi per radio hanno detto che la donna ha aperto la finestra, è salita su una sedia poi in bilico sulla ringhiera. L’uomo affacciato al palazzo di fronte ha cercato di chiamarla ma lei non si è fermata. Si è lasciata cadere. Chi era di sotto dice che non si è sentito neppure un grido o un lamento solo il tonfo del corpo sull’asfalto.
La donna grassa smette per un attimo di asciugare il sudore, chiude gli occhi, segnandosi il petto.
L’aria si è fatta irrespirabile. Pierre non ha la forza di lasciare la sala. Stringe forte il manico del suo trolley. Non gli rimane che quello ormai. Il vecchio tira l’ultima boccata, si prepara alla battuta finale prima del sipario.
– Ancora non si sa chi fosse. Non aveva documenti con sé, né una lettera di addio. Nella tasca del cappotto hanno trovato solo un biglietto del treno.
Silvia,
il noir è uno dei generi che preferisco ed il tuo racconto mi ha appassionato tantissimo.
Affronti il lato più recondito dell’amore, quello che, se mal gestito, sconfina nella morte, con gran padronanza di linguaggio ed intrecciandolo intelligentemente con l’argomento di cronaca (purtroppo sempre attuale) delle pratiche di aborto clandestino; il tutto, adoperando un ritmo narrativo che asfissia il lettore con l’ansia e l’angoscia che dominano Pierre.
Complimenti.
Gran bella storia! Incalzante e precisa, con alcuni dettagli che fanno la differenza: come le mani che stringono forte il manico del trolley o i topi che smettono di correre perché percepiscono la morte. Sono dettagli cinematografici, secondo me questo racconto potrebbe essere anche una buona sceneggiatura per un corto livido e con un montaggio volutamente sporco. Ben fatto!
Racconto molto intenso, coinvolgente per la tensione che trasmette e sconvolgente per il tema trattato.
Scritto in maniera egregia, ti tiene emotivamente aggrappato alla storia con uno stato d’ ansia condiviso con il protagonista.Complimenti.
Drammaticamente coinvolgente, al di là del noir, lo sguardo ancora umano del protagonista ci racconta la vita delle donne schiave, che scorre sconosciuta e parallela alla nostra, e spesso finisce in tragedia. Compimenti per la sensibilità e la delicatezza della narrazione
Silvia, duro e disperato come la storia, che parrebbe d’altri tempi. Efficacemente squallida l’ambientazione.