Premio Racconti nella Rete 2017 “Consapevole scelta” di Silvia Schiavo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Si accese una sigaretta con fare nervoso, dopo che faticosamente aveva fatto sedere sua figlia al tavolo della cucina, ma poco importava che Adele si fosse accomodata sulla sedia: quell’adolescente a lei sconosciuta continuava a vomitarle addosso rancore, come un fiume in piena, gesticolando ferocemente in sua direzione e intercalando con vari “E che cazzo…” ed altri termini poco degni di nota. Possibile che anche lei nel pieno della sua giovinezza si esprimesse in quel modo? Non ricordava di essere stata un’educanda, ma certe parole… così sgraziate… da chi le aveva imparate? E poi…. “Bambina mia, perché cavolo ti sei sfregiata la guancia con quell’assurdo piercing? Sembra un brufolo trattato male” pensò, prendendo ancor di più le distanze dalla giovane donna che le sedeva di fronte.
Anche se in quel mentre una camomilla sarebbe stata più adeguata, in modo meccanico accese la macchinetta del caffè, caricandola con una cialda di quelle dall’aroma intenso, tirò una boccata di fumo e, oltre ad osservarla, riprese ad ascoltarla, così il fiume di parole tornò a vibrarle dentro le orecchie, nonostante ne avesse fatto volentieri a meno:
“… E che cazzo mamma, cosa credevi? Che sarei venuta su con il tuo stesso modo di fare? Con il tuo stesso gusto per i vestiti? È già tanto se ho i tuoi stessi capelli e i tuoi stessi occhi, tenendo conto che in genere le femmine assomigliano al padre. Questa sono io, che ti piaccia o no, eppure, vista la tua rinomata intelligenza, dovresti saperlo che quel che sono è pure merito tuo, del tuo dna, dell’educazione che mi hai impartito, o che forse non mi hai impartito, del fatto che se il babbo dice no, tu dici sì, o quando dice sì tu dici no…”
Avrebbe voluto alzarsi e tirarle un sonoro ceffone, ma una sorta di forza invisibile glielo impedì: per quale strano motivo si stava facendo trattare in quel modo? Avrebbe voluto zittirla, quelle frasi le facevano male, la mettevano a disagio. Chi era, la sua psicoterapeuta? Cosa credeva di sapere? Ragazzina sfrontata…
Le maniche della felpa informe a coprirle metà dei palmi, strette nei pugni, pugni che mollavano la presa solo per puntarle il dito contro: gli occhi sottolineati dalla matita nera, sbaffata dalle lacrime di rabbia, la pelle del volto candida, pulita, tranne che per quel coso.
“Perché non ti conosco? Perché non ho memoria di attimi felici vissuti insieme? Forse ti devo ascoltare per ricordare? Ricordami qualcosa di bello, rammentami che madre sono stata, oltre a quella che adesso ti sembro…”. Le parole non le uscirono dalla bocca, le venne il dubbio che quella creatura scatenata potesse aver ragione.
“L’altro giorno ti ho sentito, ti ho sentito mamma: ti lamentavi della fatica che fai, quando torni da lavoro e mi devi accompagnare a pallavolo, o devi controllare se ho studiato e oltre a stirare i tuoi vestiti hai pure i miei da sistemare. Rimpiangevi i tempi in cui dovevi pensare solo a te, ne parlavi con la zia, vi ho viste sai? Ti sei accorta che lei scuoteva la testa e ti guardava con compassione? Del resto ti conosce, ha sempre saputo che non sei come lei…”
La sorella aveva da sempre fatto scelte diverse dalle sue: finite le superiori trovò subito lavoro e fidanzato, sposata a venticinque anni, il primo figlio a ventotto, il secondo a trenta, vita mondana zero. Quando lei usciva con le sue amiche ne ridevano insieme, lo faceva senza nemmeno un gran rimorso, infondo non si erano mai prese: lei così sciatta, dedita alla casa, ai pannolini prima, ai grembiulini poi, le occhiaie di chi non dorme per le febbri dei figli… Eppure… eppure era sempre così schifosamente serena.
Lei per un figlio avrebbe avuto tempo poi, aveva energie infinite, ma finché poteva voleva investirle in viaggi, serate, vita di coppia, palestra…
“Sei pentita?!” Il grido di sua figlia le spezzò a metà il pensiero.
“Troppo tardi ragazzina, ci dovevi pensare prima…” aggiunse con rabbia mista a scherno, con un timbro di voce esageratamente simile al suo.
La sigaretta era giunta a termine, se ne accese un’altra e, stupendosi di se stessa, ne offrì una alla sua interlocutrice, il cui volto accigliato in alcuni momenti si marcava di rughe come quello di una cinquantenne preoccupata. Cercò il proprio viso nel riflesso del vetro della credenza: per un attimo le sembrò di non essere più la più-che-cinquantenne-madre, ma di essere tornata ai suoi quasi quarant’anni. Si compiacque del riflesso, perché in realtà a quell’età ne dimostrava poco meno di trenta… Vaffanculo, aveva fatto bene a non volere figli prima dei quaranta, aveva fatto bene…
“Io non fumo mamma, non lo sai? La tua figlia sconsiderata non ha vizi, se non quello di voler vivere come è giusto che sia a quindici anni, interferendo nei tuoi piani di eterna adolescente. Ti stupisce che io sia arrabbiata? Cosa si prova quando non ci si sente accettate lo sai? Pensavi che dimenticassi? Pensavi che mi sarei scordata tutto?… Mai una fiaba, una carezza prima di dormire. Le uniche novelle le ho ascoltate da zia o nonna, mentre tu ti agghindavi per uscire con le amiche e pareggiare i conti con mio padre: se lui aveva diritto al calcetto il martedì, il venerdì sera anche tu dovevi uscire… “Serata con le amiche” …
E la “serata con figlia” quando? Al momento in cui ho imparato a parlare, non sapevo nemmeno chi avrei dovuto chiamare “madre”: tutte si sono meritate più di te quell’appellativo, perfino la vicina di casa che mi faceva compagnia le due ore in cui andavi dall’estetista, anzi quattro, quando dovevi spendere il pomeriggio per rifarti da capo la manicure…
Complimenti, belle unghie signora, ne è valsa la pena di lasciarmi lì, per essere sempre alla moda?”
Le mani di Adele invece non erano affatto curate: le unghie rosicchiate, sintomo di un incessante nervosismo… Continuava a pensare di non conoscerla, ne era sempre più certa, e le faceva uno strano effetto, durante quella surreale conversazione, rendersi sempre maggiormente conto che sua figlia aveva capito tutto, fin… fin dall’inizio…?
Nervosa, a disagio, arrabbiata, ma saggia, di una saggezza disarmante, era quella la forza invisibile che la costringeva a tacere e che la privava della capacità di ribattere.
Adele si alzò e si riempì un bicchiere di acqua fresca, ne bevve un gran sorso: nella penombra di quella sera di inverno, con il neon della cucina che la illuminava dall’alto, vestita di nero e lo sguardo intenso, sembrava un’attrice alle prese con un impegnativo monologo, sicuramente era riuscita nel suo intento: catturare l’attenzione del pubblico.
Le lanciò un’occhiata che significava “Continua, ormai finisci…” e lei riprese.
“Già da quando scopristi di essere incinta, il primo sentimento che si impadronì di te non fu gioia, ma ansia: un essere totalmente dipendente da te, qualcuno che doveva venire prima di te… Te, Te, Te… Non più prima in classifica: saresti stata in grado?
Nei secoli dei secoli, miliardi di donne hanno sopportato nausee e mal di schiena in nome della forma di amore più puro, quello provato verso le proprie creature, con o senza uomini accanto, nella ricchezza e nella povertà, nell’agio e nel disagio.
Iniziasti a provare fastidio quando ti dissero che non avresti dovuto più fumare, le tue amiche single smisero di chiamarti per gli aperitivi, perché tanto non avresti potuto bere ai livelli auspicati, e poi iniziavi a sembrare goffa e poco elegante, nonostante i vestiti prémaman firmati… Tutta colpa mia eh? Non credevi, non credevi vero? Lo fanno tutte, da secoli, miliardi di donne nel mondo, perché non tu? Che non sei da meno a nessuno…
Ma fare un figlio non è una scommessa da vincere, non è una dimostrazione da dare.
Già ti sposasti con papà perché così la gente si aspettava, e poi, perché rinunciare ad una simile occasione di far festa? Stavi bene in bianco e avorio, le unghie intonate al bouquet, duecento invitati a cui far vedere la bella sposa, la macchina d’epoca, l’ingresso in chiesa, i sorrisi (falsi) dinanzi all’obiettivo e un album da tremila euro da sfoggiare in seguito con le amiche… Di cosa ti importava quel giorno? Di coronare il sogno d’amore? Forse di te, di nuovo TE!”.
Come poteva sapere? Chi le aveva messo in bocca quelle parole? Possibile che il padre le avesse raccontato quelle cose? Più probabile la zia, sì, che col suo matrimonio intimo aveva dato importanza al rito religioso, evitando sfarzi, ma anche buon gusto…
A che punto voleva arrivare? Quanto ancora l’avrebbe sfidata? Cos’altro conosceva?
Perché non riusciva a rintracciare qualcosa di familiare nello sguardo di quella ragazzina? Eppure l’aveva portata nove mesi in grembo, l’aveva cresciuta…
…L’aveva cresciuta?
Si sfiorò il ventre, ma non riuscì in alcun modo, neppure concentrandosi, a rievocare il ricordo, la sensazione della pancia tondeggiante, dei calci che facevano in genere sussultare anche le più distratte donne incinte. Eppure era sua, aveva i suoi stessi occhi e i suoi stessi capelli…
L’aveva veramente delegata, scaricata? Ceduta ad altri per non offuscare il proprio ego?
Era stata lei a nutrire la sua rabbia nel tempo, fino a quella esplosione improvvisa?
“Ricordi le notti insonni, mamma? Piangevo, ero appena giunta al mondo, fin dall’inizio pensasti di aver sbagliato, ma non potevi tornare indietro. Il latte artificiale per non sciupare il seno e per potermi zittire più facilmente.
Non ti aspettavi che avrei pianto? Tutti i neonati piangono… Credevi fosse facile? Addio riposino di bellezza, addio relax nell’idromassaggio. Ed io lo sentivo, lo sentivo e mi faceva male: non mi guardavi con amore, non mi carezzavi maneggiandomi con cura, eri a disagio, ero di troppo, cercavo dolcezza nel tuo sguardo, ma mi trasmettevi solo ansia e insicurezza.
Non potevo parlare, ma avrei voluto gridarti in faccia di svegliarti, era finito il tempo delle bambole, ero in carne ed ossa ed avevo bisogno di te, di te più di qualsiasi altra cosa, di una madre, di mia madre… Tu invece non desideravi altro che continuare ad essere figlia, solo figlia, rivolgerti ad altri per soddisfare i tuoi bisogni, non dovere niente a nessuno, niente obblighi, niente impegni…”
Pronunciando quelle parole iniziò a singhiozzare, le lacrime le sgorgavano a fiotti, prese poi a tossire… L’avrebbe voluta abbracciare, ma la stessa forza invisibile che prima le aveva impedito di schiaffeggiarla, in quell’istante le stava proibendo di consolarla…
Adele prese a tossire ancora più forte, non respirava sembrava un attacco di panico, lo stesso che forse stava paralizzando lei, seppur in modo differente.
“Adele? Adele?!! …Anna?!! ANNA!?”
Anna aprì gli occhi, stava tossendo e sibilando: un attacco di asma notturno.
Giorgio dormiva profondamente accanto a lei. Le sembrava di aver gridato, ma forse lo aveva fatto solo in sogno. Era sudata, quanto aveva dormito? Guardò la sveglia proiettata sul soffitto: erano le tre e mezzo, erano andati a letto alle una, erano stati a cena fuori, avevano festeggiato… festeggiato la scelta: entusiasta lei, quasi indifferente lui, come se lo riguardasse fino a un certo punto, un po’ come qualcosa che “ormai si doveva fare”.
Entrambi alla soglia dei quaranta, convivevano ormai da dieci anni. Erano zii di tre nipoti, due da parte della sorella più giovane di lei, uno da parte della sorella più grande di lui.
Era giunto il momento di decidersi: col consenso di lui, aveva buttato nel cestino la confezione di anticoncezionali che avrebbe dovuto ricominciare ad assumere la sera stessa, tirando a canestro, con una sorta di rito propiziatorio e spinta anche dal vino che avevano bevuto al ristorante.
Rabbrividì pensando alla leggerezza con cui l’aveva fatto. Era veramente pronta a barattare viaggi con pannolini? Aperitivi con pappe e rigurgiti di latte?
Scese giù in cucina per bere un bicchiere d’acqua: acceso il neon, le fece effetto vedersi comparire innanzi la sedia che durante il suo incubo era stata occupata da sua figlia, rabbiosa e piangente.
Riflettendo, dovette prendere atto del fatto che quella ragazzina, che le somigliava e la rimproverava, probabilmente fosse la sua coscienza, che le lanciava dei messaggi.
Si fece un caffè per uscire del tutto dalla dimensione onirica in cui era sprofondata fino poco prima, si accese una sigaretta e si sedette, guardando la sedia vuota, dall’altra parte del tavolo.
“Grazie, anche se non ci conosceremo mai…” disse ad alta voce inspirando il fumo.
Col telecomando accese lo stereo, partì “Chasing pavements” dal cd di Adele, la sua cantante preferita. Frugò nel cestino, aprì la scatola e fece uscire dal blister la pillola, che buttò giù con un lungo sorso d’acqua.
Silvia,
una bellissima riflessione sul ruolo di madre e sugli effetti che una “scelta non consapevole” può ripercuotere sui figli.
Imparare a scegliere con la propria testa e non lasciare che la vita scelga per noi: in fin dei conti e paradossalmente, è uno dei pochi modi per non sprofondare nell’egoismo.
Bravissima.
Ora che il tuo commento è stato approvato posso ringraziarti anche qui Lorenzo!
Mi è sembrato di essere lì, ho visto e sentito tutto fino a quando la protagonista non si è svegliata… grande scrittura ricchissima di pathos, una sorta di carnage a due che bisogna mettere in conto perché nessuno è mai un genitore perfetto e nemmeno un figlio perfetto. Un racconto importante, scritto in modo splendido. Complimenti davvero!
Ti ringrazio tantissimo Ugo! È bello che il mio scritto riesca a coinvolgere come tu mi riferisci! La sofferenza in effetti è da entrambe le parti, come in genere avviene nel conflitto genitore-figlio, per quanto la si cerchi di ignorare o negare.
Ciao Silvia, molto bello il tuo racconto. Induce a riflettere su una tematica importante, quella di mettere al mondo un figlio oggi. E’ davvero quello che ogni donna vorrebbe? Dobbiamo tutte essere necessariamente madri? Anche il mio racconto tratta lo stesso tema, ma in un’altra veste e in un’altra epoca, quando c’era una visione della vita e della famiglia completamente diversa da quella odierna. Comunque, la tua idea di racchiudere tutto in un sogno è davvero fantastica!
Grazie Marzia. Cercherò sicuramente il tuo racconto! Mi fa piacere che chi ha commentato abbia capito le varie riflessioni che intendevo far scaturire! Una riguarda il fatto che spesso, anche di fronte a scelte importanti, le persone non riescono sempre ad essere del tutto sincere, né con gli altri, né con se stesse (è veramente ciò che voglio io? Ho valuto a fondo cosa comporta?).
Brava Silvia. Brava davvero. Perfetto il monologo accusatorio della figlia sognata che tutte le mamme, con variabili , di qualsiasi pasta siano fatte, si trovano prima a poi a dover subire. Bravissima ad aver sottolineato quella ” forza invisibile ” che davvero spesso trattiene i genitori dal ” fare ” o dal ” dire ” perché in preda a sentimenti contrastanti e che, in sostanza, è anche la tipica forza invisibile che ci rende immobili, conferendoci una sensazione di impotenza quando stiamo sognando. Finale opinabile ma di tutto rispetto. Complimenti!
Grazie Gloria di aver dedicato del tempo al mio racconto! Chissà… se Anna avesse avuto più coraggio forse avrebbe fatto un’altra scelta e ci sarebbe stato un altro finale… Poteva anche leggere il sogno come un fortunato messaggio… “L’occasione di poter dialogare con i nostri futuri figli ancor prima di averli!”, così da non commettere gli sbagli che ci sbatteranno in faccia in futuro :).
Silvia, wow! fantastico! un racconto da mettere su un palcoscenico.
mi ha colpito molto, prosa teatrale quasi un monologo..davvero straordinario.
grandissimo finale!!! complimenti
Ti ringrazio molto Gianluca 🙂
Ciao Silvia, pensavo di aver già commentato perché trovo un estremo rispetto nel racconto di una scelta libera e consapevole, appunto, e quindi da lodare. I dialoghi sono superbi, inseriti in un varco onirico che mette in contatto la potenziale mamma con la figlia. Bravissima.
Grazie mille Marcella per il commento. A volte in sogno ci parlano voci che da svegli non riusciamo ad ascoltare. Dai sogni, belli o brutti, non si sfugge, subiamo con impotenza ciò che il subconscio ci propone. Di lì, come è stato notato, il parallelismo col senso di impotenza che spesso colpisce i genitori 🙂
Ciao Silvia
volevo farti i miei complimenti, hai riportato in maniera originale un tema importante che la maggior parte delle donne si trova ad affrontare: sarò una brava madre? Saprò prendermi cura di un’altra persona? Sono disposta a mettere i bisogni di un altro prima dei miei? Davvero complimenti, ho apprezzato molto il tuo racconto, anche per il punto di vista di una “figlia mai nata” che fa capire a quella che sarebbe potuta essere la propria madre che forse quella non è la vita adatta a lei.
Grazie anche a te Nicole. Da mamma mi pongo tantissime domande di continuo… Da figlia ricordo alcune discussioni fatte proprio con mia madre, in età adolescenziale, a cui ripenso a volte con “tenerezza” (a quell’età tutto viene vissuto amplificato), a volte con dispiacere… rendendomi conto che a quell’età si riesce ad essere molto graffianti.
Io sono fermamente convinta che i figli ci scelgano.Una volta deciso, scendono in noi.Hai voglia a dire , a fare, a piangere a credere di scegliere..niente, tutto si e’ già compiuto ..la’. Avremo quel che ci serve, avranno quel che serve a loro.Karma.Il tuo, è un racconto sull’ignara finzione che ci accompagna da sempre, l’illusione di poter scegliere, magari buttando via una scatolina di pilloline.Niente.Loro, lassù , se la ridono.Verranno…meno male, dico io, almeno potremo scrivere, scrivere, scrivere, commentare:brava!
Grazie Laura per aver dedicato del tempo al mio racconto e avergli dedicato anche un commento. La vita, infatti, per fortuna, si programma solo fino a un certo punto… e a volte chi programma tutto non sempre raggiunge la serenità/stabilità sperata. Magari Adele arriverà comunque e Anna, anziché spaventata, si scoprirà in realtà felice… 🙂
Ciao Silvia, sono colpita dalla lucidità con cui affronti un tema che è “viscerale” nella natura di ogni donna. Bella l’idea di rappresentare i dubbi della madre attraverso la voce onirica della figlia stessa. Complimenti!
Grazie Giada! Mi fa piacere che tu ci abbia letto della “lucidità”, lo ritengo un bel complimento! Sicuramente la maternità è un tema complesso da sviscerare. Con la “figlia-coscienza” volevo evidenziare la duplice importanza di ascoltare… sia i figli che noi stessi… Cosa non così facile 🙂
Leggere il tuo racconto è stato come parlare allo specchio…per una donna (ora che la donna può scegliere) la questione maternità porta con sè milioni di dubbi e di incertezze. Non è obbligatorio diventare madre, ma se poi lo si diventa bisogna fare i conti col perdere lo status di figlia. Impopolare il tuo finale ma io l’ho trovato semplicemente un’altra faccia della medaglia.
Grazie Lidia di aver dedicato del tempo al mio scritto, la tua riflessione aderisce in pieno con quanto volevo comunicare.
Un ragionamento acuto e universale sulla maternità, sulle scelte della vita. Riusciamo a vivere la vita veramente adatta a noi? Che bella l’idea del sogno! Molto interessante.
Grazie mille Dominique!
Complimenti Silvia, hai affrontato un tema su cui si potrebbe discutere per secoli: in che misura siamo quello che abbiamo ricevuto o non ricevuto nel bene e nel male dai genitori? Aiuto! Lo lascio agli psicanalisti, visto che è essenzialmente su questo che campano! Ma il racconto è bello, si legge tutto di un fiato. E la tua scrittura contiene tutti i registri giusti per questo confronto fra la aggressiva ed emozionata impetuosità dell’adolescente e la sorpresa della madre che davanti al torrente in piena delle parole e delle ragioni della figlia abbassa la guardia e riesce solo a riflettere, senza trovare risposte. il finale inatteso è un doppio knockout in un incontro in cui non vince nessuno e si cancellano tutti e due i ruoli. Brava!
Che bello il tuo commento Marco! Il “doppio knockout” rende molto l’idea! Di fatto, lungi da me fare della psicanalisi spicciola, o creare una sfida “madre vs non-madre”! Il tema è complesso… 🙂
Silvia, argomento delicato, difficile, scomodo. La maternità però è un rito di passaggio che si ripete uguale nel tempo: i figli si scaglieranno contro i genitori perché questo fa parte di un processo di crescita dolorosa e i genitori si pentiranno migliaia di volte di averli concepiti, sentendosi poi mortificati da quello stesso pensiero. E’ una ruota che gira, è la vita che continua; che la scelta sia o meno consapevole, figli e genitori sono imperfetti perché devono imparare ad essere tali. Quello che è certo, è che sei perfettamente riuscita a trasmettere la paura dell’essere genitore e la difficoltà di capire se esista un momento giusto. Brava!
Mi fa molto piacere ricevere un tuo complimento Paola, ti ringrazio di cuore. I tuoi racconti mi hanno lasciato senza parole, in particolare quello delle peonie, per la bellezza e la delicatezza delle immagini trasmesse.
Silvia,
visto che mi preme particolarmente che tu lo legga, mi permetto di riportare anche qui il commento che ho appena lasciato in risposta a quello che tu hai fatto al mio racconto.
Ti ringrazio tantissimo per l’immensa considerazione che hai di me.
Permettimi, però, un piccolo appunto amichevole: tu non “vinci” per commenti come il mio, ma semplicemente perché il tuo racconto è OBIETTIVAMENTE MAGISTRALE.
Continua a scrivere come un ossesso e deliziaci con altri tuoi lavori nella prossima edizione. In caso contrario, come ho promesso anche a Marcella, farò causa pure a te :-).
Davvero grazie. In bocca al lupo!
Mi rileggerete di sicuro nella prossima edizione… anche perché voglio evitare di dover pagare l’avvocato :)!
E perché scrivere è la mia piccola grande passione.
Grazie di nuovo!
Che bello, Silvia!
Ti ripeto anch’io che sei bravissima e ho voglia di rileggerti presto.
Anche perché… meglio incontrarsi qui che in tribunale!
D’accordissimo Marcella! Mooolto meglio qui 🙂 . Già in tribunale mi tocca andarci ogni tanto per lavoro… Meglio questo piccolo angolo di paradiso, dove i nostri sogni prendono forma e ci spariamo un po’ dalla realtà, o, comunque, la plasmiamo un po’! Grazie mille e a presto anche con te!
*separiamo!
Mi piacciono molto i personaggi e i dialoghi diretti e onesti:
un’altra verità su un tema particolarmente importante. Brava Silvia!