Premio Racconti nella Rete 2017 “Quando fioriscono le peonie” di Paola Dalla Valle
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017“Hai mai osservato la fioritura delle peonie? Fino al giorno prima sembrano grandi pigne sgraziate poi, in una notte, la metamorfosi e diventano un trionfo di petali setosi, grandi come palmi di mani grandi solcate da linee gialle oro, le linee della vita del fiore, quelle che attirano gli insetti buoni.” Fece una pausa e si guardò attorno: ”Quando fioriscono le peonie significa che sta iniziando la primavera. E’ bella la primavera, fa pensare alla vita.”
“Ma tu ti ricordi come si fa a vivere? Io non so neppure se ho mai imparato a farlo”, le rispondeva intanto lui, guardandola con l’espressione incerta di chi faticava a capire quel linguaggio che trasformava le parole in oggetti.
Era una donna strana; pareva assente e distratta, ma osservava e registrava tutto in continuazione, con un’attenzione puntigliosa che però, a un occhio frettoloso, poteva apparire imbambolata.
“Molti dei miei ricordi sono avvizziti, però non credo funzioni così. Chi cerca di ricordarsi di vivere si distrae dalla vita stessa. Succede come a chi prova a scrivere e si sforza di farlo, ma l’idea non arriva e il poveretto rimane lì, a fissare la pagina bianca, e pensa di non esserne capace, anche se la scrittura gli è stata compagna fedele sin dall’età della ragione. Però a scrivere si può imparare. A vivere, invece, non so. Sarà che la vita è un ciclo naturale, ma noi la carichiamo di responsabilità. Le attribuiamo una volontà che non le compete e le imputiamo cose di cui non ha colpa”, gli rispondeva lei, con una serie di frasi che svolazzavano nell’aria tersa di quel giorno per andarsi poi ad appoggiare sul terreno spaccato da un’assenza di pioggia che stava assetando le risorgive.
Erano seduti su quell’unica panchina, all’ombra di un albero spelacchiato che stava assomigliando sempre più a legna da ardere. Il cerchio si stava chiudendo, ma la pianta non sembrava preoccuparsene; sarebbe diventata calore e avrebbe magari contribuito alla cottura di una buona pizza o a riscaldare l’acqua di una scrostata cucina economica come quella bianca laccata che c’era nella vecchia sala da pranzo di sua nonna.
Prima che lei nascesse, attorno a quella stufa sua madre aveva ballato la giga, mentre il padre la accompagnava con la fisarmonica. Non ricordava chi, ma qualcuno gliel’aveva raccontato. Sorrideva all’immagine che si vedeva davanti.
Lui si era accorto di quella piccola piega sulle labbra di lei, ma non gliene chiese il motivo: si era abituato a vederla divagare nel suo personale mondo dei chissadove e chissaquando e sorrideva anche lui, per infusione.
Lei guardava per aria, come se aspettasse che qualcosa le cadesse sulla testa o come se sentisse il bisogno di distogliere l’attenzione da quanto accadeva ad altezza umana. Da un bel po’ di tempo era distratta, svagata, persa in pensieri alti – si raccontava.
In realtà stava meditando su come dirglielo.
Non era da molto che si erano ritrovati e se passavano del tempo assieme non era per ripercorrere quelle lontane storie che li avevano visti adolescenti, ma per conoscersi per quello che erano diventati da adulti.
Tra i due, secoli prima, c’era stata una simpatia, poi le loro strade si erano divise e ognuno aveva fatto le proprie esperienze, sbagliando in piena autonomia.
In quel lontano periodo, lui era l’idolo del quartiere e tutte facevano a gara pur di ricevere anche solo un suo cenno di saluto, sempre generosamente distribuito senza economizzare. A lei, di lui, era rimasta una cicatrice sul polpaccio, dove si riconosceva il marchio del tubo di scappamento della Laverda 125 davanti alla quale, come fanno i bambini con le giostrine, le ragazze smaniavano per un giretto. Quasi un sigillo stampato a fuoco, a testimoniare un destino già scritto.
Quando l’aveva rivisto, era riandata con la mente a quegli anni e, forse per nostalgia o per curiosità, aveva pensato che magari quella simpatia si poteva coltivare.
L’avevano coltivata tanto bene che ora c’era quella cosa piantata talmente a fondo da non poter più essere sradicata.
Lui aveva ripreso a grattarsi le mani; un’allergia da contatto che si accentuava quando era nervoso per qualcosa. Ad un tratto, anche se non si era mai intromesso nelle decisioni e nelle vite degli amici, se ne uscì con queste parole: “Sai che Pino e Lucia si sono lasciati? L’avresti mai detto! Sembrava una coppia nata per stare assieme per sempre. Avevano scelto di fare un figlio per tentare di salvare il salvabile. A me è sempre sembrata una decisione quantomeno discutibile”.
Se solo avesse saputo! Rimuginava tra sé e sé lei, mentre con le dita leggere si sistemava la maglia che le faceva delle strane pieghe sull’addome appena un po’ più teso del giorno prima: “Sai che le persone fanno cose strane. Pensano di risolvere con semplicità problemi che semplici non sono. E spesso confondono la semplicità con la superficialità. La maternità è naturale, tanto quanto la vita; forse è per questo che la si crede semplice. Ti capita in sorte e diventa tua: è tutto quello che ti serve per pensarla normale”.
“Sì, ma un figlio è un terrificante miracolo, che uno ci creda o no. Non è una toppa sul muro per coprire il buco di un chiodo piantato storto.“
Mentre lui le rispondeva con quelle parole, lei cercava di guardare oltre quel muro. Terrificante aveva detto, ma anche miracolo e di fronte ai miracoli tutti si sentono atterriti, impotenti, annichiliti, ma anche affascinati.
“Vedi quella nuvola?”, gli chiese, “ci guarda. Noi e il mondo, e in silenzio si modifica; vive di una vita illusoria, ma il cambiamento rende quasi concreta l’illusione.”
Lui guardò il cielo: “Vuoi dire che tutte le nostre vite sono illusioni?”
Lei scosse la testa, aggrottando le sopracciglia: “No. Può darsi. Non so bene che voglio dire. Forse che la consistenza la dai tu a tutto quello che vuoi, se lo vuoi, perché ci credi. Guarda le peonie. Sono pigne e le vedi pigne, però dentro sono quello che diventeranno: fiori petali colore profumo semi musica vita stupore attimi ricordi soffi di vento…”.
Lui la fissò con gli occhi un po’ socchiusi. Il sole li aveva fatti lacrimare e le lacrime avevano diluito il grigioverde che andava sfumando in una tonalità ottanio, un colore che a lei piaceva per la profondità; volgarmente si chiamava anche petrolio, ma con il petrolio aveva in comune soltanto l’essere nascosto nelle viscere, come i sentimenti: “Sarebbe bello illudersi delle cose certe. Si potrebbe vivere la vita con la leggerezza di una favola e costruire una stabilità che si chiamerebbe intreccio e lascerebbe crescere il cambiamento”. Sorrideva mentre, con cura, metteva insieme quelle parole; pensava che mescolavano quello che lui era stato, che era e soprattutto che sarebbe voluto diventare. Lei era abbastanza presente e svagata assieme da suscitargli la curiosità di provare a cambiare prospettiva. Una compagna sufficientemente squilibrata da permettere a lui di essere un perno, ma al bisogno pragmatica al punto giusto per farlo sentire perdonabile rispetto alle sue debolezze.
Forse era arrivato il momento di dire parole non dette. Da quando lui era andato a suonarle il campanello di casa non avevano mai parlato di loro, perché non esisteva un loro due. Avevano goduto della compagnia dell’altro, ma adesso quella compagnia stava diventando vicinanza ed era pure piacevole.
Lei distolse lo sguardo dalla lucertola verde smeraldo che si insinuava tra le foglie tenere dell’edera arrampicata sul palo della luce. “Siamo diventati grandi”, gli disse, “ci pensi? Solo qualche anno fa eravamo in questi posti a parlare di sogni e ora siamo qui a parlare di vita, quella vita che ti segna e scava giù giù fino a trovare il cuore, ma che naviga ancora su profondità differenti: talvolta capita perfino che si vedano i fondali pacifici del mare”.
“Mi piace il tuo cuore”, le disse lui, mentre le porgeva un quadrifoglio raccolto da un cuscinetto di erba cresciuto sotto la panchina, “è pieno di spazi da riempire”.
Poi, prendendole le mani, le chiese che cosa gli volesse dire quando gli aveva chiesto di vederlo proprio lì, nel parchetto dove, da piccoli, con gli amici si erano scambiati pensieri grandi.
Lei era in pace, stava realizzando il suo bisogno di lasciare una traccia. Non aveva più paura di sentire solo il proprio respiro e nemmeno di soffocare schiacciata dal mondo. Poteva dirglielo; lui si sarebbe stupito con compostezza e avrebbe gioito con terrore, ma non l’avrebbe abbandonata.
Alzò gli occhi, ma li fermò all’altezza di quelli di lui e glielo disse: “Ho una piccola pigna nella pancia. Diventerà una peonia, se lo vorremo.”
Ciao Paola, lascio un mio commento a questo tuo racconto perché vedo che ancora non ne ha ricevuti. In realtà avevo già letto l’altro tuo racconto e non l’avevo commentato perché non avrei aggiunto niente di nuovo a chi mi ha preceduto. Posso solo aggiungere che condivido in pieno, che ha un’intensità emotiva fuori dal comune. Mi è piaciuto però anche questo racconto anche se molto diverso dall’altro. Colpisce per la sua delicatezza nel trattare il tema della maternità. Entrambi hanno in comune la bellezza del linguaggio, bellissime le immagini del colore petrolio e della cicatrice sul polpaccio che marchia a fuoco il ricordo della giovinezza. Complimenti davvero!
Grazie Ivana, sí sono due racconti molto differenti che narrano momenti altrettanto differenti. L’espressione del dolore colpisce sempre e chi legge forse si riconosce. Ti ringrazio per l’apprezzamento sul linguaggio: per me la parola è uno strumento e deve avere tutta la potenza che le serve per superare la fragilità che la contraddistingue. Non so se hai capito ciò che voglio dire, ogni tanto ‘svolto’ ????
Scusa Ivana, ma alle 4.48 di mattina è facile scrivere ‘svolto’ anziché ‘svolo’ e punti interrogativi al posto di punti esclamativi… ????
Paola,
sui tuoi racconti è veramente facile prendere posizione: sono tutti bellissimi.
Della tua scrittura apprezzo il punto di vista mai banale e la prosa musicale, colta ma non ridondante, che mangia letteralmente gli occhi al lettore.
E po, mutuando un tuo passaggio, utilizzi “linguaggio che trasforma le parole in oggetti” che adoro.
Bravissima.
Caro Lorenzo, io sono lusingata dai tuoi commenti, soprattutto perché mostri sempre (anche in quelli rivolti ai racconti non miei) una notevole capacità di lettura, come dire?, profonda. È la prima volta che partecipo ad un concorso, per diffidenza e ritrosia congenite, ma devo dire che mi sta piacendo non tanto per i complimenti, quanto perché sto scoprendo un’umanita che ha ancora un’anima bella da mostrare al mondo. Grazie grazie!
Paola, ma che bello anche questo racconto!
Sfrutto la scia di Lorenzo, visto che dopo i suoi commenti è difficilissimo farne, e mi accodo e sottoscrivo… bravissima!
Bel linguaggio curato ma lieve, che accompagna vivide immagini e riflessioni di spessore.
La vita nuova che si prepara a sbocciare… il miracolo più grande di cui è capace l’uomo. Complimenti Paola.
Grazie Marcella, spero di conoscerti personalmente prima o poi. Mi piacciono la versatilità e l’entusiasmo.
Paola, che cara sei, grazie a te.
Farebbe piacere anche a me incontrarti. Ho il sospetto che oltre alla professione abbiamo altre affinità.
Al di là del racconto in sè, che coinvolge ed emoziona, mi ha colpito la descrizione dell’albero spelacchiato. E’ una bella metafora di come potrebbe doventare semplice la vita se ci abbandonassimo ad una sorta di pacato fatalismo, illuminato da una visione gioiosa del tempo che ci aspetta, poco o tanto che sia . Mi piace il tuo senso dell’humor e anche l’innato ottimismo che trapela dai tuoi racconti: i nostri figli e la vita che diventerà “..fiori petali colore profumo semi musica vita stupore attimi ricordi soffi di vento…” é un’immagine piena di armonia e di fiducia in questo respiro cosmico che é l’Universo. Complimenti anche da parte mia.
Grandissimo racconto Paola, anime normali e meravigliose in una trama di sguardi, pensieri ricordi illusioni e speranze.
e questi straordinari personaggi minori, la peonia, l’albero moribondo, proporrei per loro il premio per “attori” non protagonisti.
stile splendido, misurato ed scorrevole, studiato tanto da sembrare naturale.
Bravissima.
Grazie Gianluca, sì il linguaggio è studiato ma neanche più di tanto; mi viene naturale il rispetto della parola e rispettarla significa, secondo me, cercarla. E finché la cerchi, capisci veramente ciò che vuoi dire. Le immagini invece arrivano e ti si fissano nella testa e lì rimangono. Comunque i vostri commenti sono indubbiamente stimolanti. Grazie ancora.
Rivedo nel racconto l’attività odierna del “ri-conoscersi da adulti”, tipica di noi vecchietti dei social. Quei social che hanno dato voce ai timidi che una volta voce non avevano. Scrivere per parlare e parlare con la scrittura. Ti viena proprio bene. Ti abbraccio.
a distanza di tempo le nostre storie, liberate dallo sconquasso delle emozioni e dall’ansia di non riuscire a gestirle, diventano altro pur rimanendo se stesse. Ci si può allora sedere a scriverle o a leggerle come se non fossimo noi quei personaggi, teneri e un po’ goffi, lucidi e confusi nello stesso tempo. Delle nostre storie si può allora sorridere o tentare analisi mai osate prima. Ti leggo, mi leggo, ti riconosco, mi riconosco, mi emoziono, oggi per oggi e per allora.
Finalmente ho letto anche questo tuo racconto, che rivela in modo molto intenso anche il lato lieve e romantico della tua anima, così diverso (per fortuna) da quello sofferente rivelato dall’altro tuo racconto. Anche questo è molto bello e molto ben scritto (ma su questo, conoscendoti, non avevo dubbi). Ora è il momento di rimanere attaccata con tutte le forze proprio a questo lato di te, per non perdere mai la coscienza della bellezza della vita (nonostante le sfighe) e ricordarti della tua forza d’animo. Le peonie sbocciano di nuovo ad ogni primavera e lo farai anche tu.
Grazie… ????
Non capisco perché la punteggiatura si prende delle libertà che non le spettano… quei tre punti interrogativi dovevano essere una faccina triste… si fa quello che si può Bruno. Le peonie rosa sono sfiorite sotto la pioggia battente; ora si stanno aprendo quelle bianche…speriamo che il sole resista…
…i nostri racconti non sono poi così distanti. Anche se il nostro “stile” è molto diverso ,i nostri racconti per qualche verso,si somigliano.
A quanto pare ,nella mente delle donne ,la maternità è davvero simboleggiata da un fiore che sboccia.
Complimenti per il suo racconto,è molto bello.
Guarda le peonie. Sono pigne e le vedi pigne, però dentro sono quello che diventeranno: fiori petali colore profumo semi musica vita stupore attimi ricordi soffi di vento…”…….
Alzò gli occhi, ma li fermò all’altezza di quelli di lui e glielo disse: “Ho una piccola pigna nella pancia. Diventerà una peonia, se lo vorremo.”
Che dire…SEMPLICEMENTE POESIA….
Bravissima Paola e bellissima la metafora delle Peonie ,sono pienamente d’accordo ..Ognuno di noi contiene qualcosa di meraviglioso;sta a noi farlo uscire o lasciarlo “dentro”chiuso al mondo ed anche a noi stessi ! IO HO DECISO :VOGLIO ESSERE UNA PEONIA CHE SI APRE ALLA VITA!
Grazie Paola Dalla Valle ,di vero cuore..
Ciao paola. Per me non é facile scrivere un commento, anzi a dire il vero non è proprio facile scrivere. Non saprei da dove partire: il ricercato modo di scrivere, l’intensitá delle emozioni descritte e che riesci a suscitare, la capacità di sviscerare e condividere attimi di vita, tutto veramente molto bello. E poi bellissimo è stato condividere il miracolo del concepimento del mio piccolo nipotino.
Cara Paola, sono rimasta davvero colpita dalla profondità, raffinatezza e poesia del tuo racconto, che mi ha ricordato un po’ Murakami, un po’ Kazuo Ishiguro.
Un vero punto di riferimento, anche per chi (come me) è ancora lontana da certe esperienze sia di vita sia di scrittura. Grazie davvero.
Giada, grazie del commento molto bello. Confesso di non aver letto gli autori che citi, ma cercherò di provvedere al più presto. Comunque tu sei sulla buona strada!
Molto raffinato e intimo. Complimenti.
Complimenti, riesci a trasformare in poesia ed in emozioni le tue profonde riflessioni sulla vita.
Poetico e profondo questo tuo racconto, Paola, nell’affrontare un tema caro come quello della maternità. Quanto alla fioritura delle peonie, non l’ho mai osservata, ma lo farò! Complimenti
Grazie Lucia, però non tutte le peonie hanno gli stessi boccioli; quella del racconto fa parte delle arbustive ed è bella quanto fragile: basta una pioggia per far cadere tutti i petali, e in questo non assomiglia alla maternità!
Costantino e Francesca, grazie per le parole che avete scelto nei vostri commenti.
Bellissimo… Non oso, o forse non so aggiungere altro.
Grazie Silvia, del tuo commento mi colpiscono i puntini di sospensione. Mi lusinga che tu mi dica di averti lasciata senza parole, ma non esageri un po’? Sono contenta che ti siano piaciuti e il tuo l’ho commentato perché lo meritava.
Un figlio: un terrificante miracolo! Bellissimo! Apprezzo molto la sintesi e la ricchezza di significato raggiunti da questa tua espressione.
Delicatezza e profondità mi suscita questa lettura, delicatezza del tema della vita che sboccia nel fiore come nel grembo materno e la profondità dei sentimenti che provi e che sai rendere vivi e concreti come oggetti alla sensibilità di chi ti legge.il tema della vita a due che si apre a una nuova vita mi ha fatto rivivere piacevoli emozioni e dolci ricordi.grazie ancora Paola!
Paola, vorrei essere capace di esprimere un giudizio articolato come hanno fatto gli altri, ma riesco solo a dirti che quello che hai scritto, secondo me, è pura poesia, nelle immagini, nella scelta delle parole, nella riflessione sulla vita. Bravissima
Cara Annalisa, questo è, dei tuoi tre commenti, quello che ho letto con più piacere. L’idea era di creare un’atmosfera rarefatta, lieve, attraverso una parola che fosse evocativa. Mi pare di esserci riuscita e ne sono felice. Grazie!
Grazie Paola. Ho finalmente letto anche questo tuo racconto che mi piace tanto, fin dal titolo. I tuoi due personaggi fanno molta simpatia e, a me personalmente, molta invidia.
Hai costruito un racconto ben scritto, con personaggi e, mi trovo d’accordo con Giuseppe Tescari, ambientazione molto ben tratteggiati. Non mi meraviglierei che ci fosse una nuova fioritura per i primi di luglio ;-))
Simona, grazie grazie grazie per il tuo commento. Mi hai fatto ridere perché ho pensato ad una fioritura del tipo di quella raccontata (impossibile!), poi però ho capito… sono un po’ tarda ????
Arrivo un po’ tardi a commentare…ammetto di aver letto e di essermene rimasta in disparte finora.
Un po’ come ai tempi della scuola; sembrerò anche cambiata fuori, ma in fondo qualcosa di vecchio ancora è rimasto!
In realtà anche io non so bene cosa potrei dire oltre a ciò che è già stato detto.
Una cosa però posso dirla con tutta sicurezza, per una volta… ed è che sono profondamente contenta di aver conosciuto, dopo la professoressa, anche Paola Dalla Valle scrittrice.
Grazie per avermi dato la possibilità di vedere anche quella parte di lei che noi, come studenti, potevamo solo immaginare.
Le sono grata per questo e per il grande esempio di donna che è stata – e continua ad essere – per me.
Cara Alice, mi hai fatta piangere. Non posso che ringraziarti per le tue parole; aggiungo soltanto che sono fiera delle tue scelte e di avere, almeno in parte, contribuito ad indicarti la strada.