Premio Racconti nella Rete 2017 “Una sciarpa, una fede” di Lorenzo Mundadori
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017 Scendo dall’autobus, mi dirigo verso il pub. Speriamo che questa volta sia quello giusto visto che, negli ultimi tre diversi, solo scoppole. Non sono il solo tifoso a scendere in questa fermata; ce ne sono altri, tanti altri. Decine di tifosi di entrambe le fazioni, pronti a gremire quel pub; speriamo non ci saranno risse. D’altronde, come tutte le altre sere, non ho altre possibilità.
Tutti, ma proprio tutti, hanno una sciarpa al collo…a parte io, come al solito. Tutte le volte che sono determinato a comprarla capita un qualcosa che me la fa dimenticare e alla fine sono costretto a ripiegare sul mio amico Gianluca. Sono convinto che anche questa volta non mi deluderà.
Tavolo 45, a pochi metri dal bagno, leggo sul mio cellulare. Lo vedo, “Gianlu”, col suo bel sciarpone invernale posato sulla sedia. È primavera inoltrata e anche se questa sera è freschino ci vuole un bel coraggio ad andare in giro con quel “boa” al collo. Mentre mi avvicino al nostro tavolo scruto gli altri tifosi. All’apparenza, nella luce offuscata del pub, le loro sciarpe sembrano tutte dello stesso colore: bianconero. Ma guardando meglio ne noto parecchie, forse in maggioranza, di biancoblù. In fondo siamo tutti, o quasi, bolognesi, capitati lì per vedere il più famoso derby del basket italiano: Fortitudo-Virtus.
– Ehi, sono qui! – mi urla il mio compagno di tavolo intanto che si sbraccia.
– Ti ho visto, ti ho visto. – gli rispondo. Vedo lui, ma non riesco a scorgere qualcos’altro. Di solito ce l’ha sempre accanto.
– Sempre all’ultimo, mi raccomando; non puoi capire la fatica che ho fatto per tenerti il posto!
– Senti chi parla – ribatto, poi cambio subito discorso – piuttosto, dove l’hai nascosta?
– Intendi la sciarpa di scorta? Nella fretta me la sono dimenticata.
– L’hai veramente…scordata?! Proprio oggi che c’è il derby mi fai stare senza i miei colori addosso?
– Ti faccio stare? È ora che te la compri, bello! Non puoi sempre fare affidamento sugli altri.
Mi siedo senza rispondere, so perfettamente che ha ragione lui. Anzi forse ha fatto addirittura bene a non portarla; questo mi spronerà a prenderne una.
– Ciao ragazzi, cosa volete? – sento una voce femminile provenire dalla mia sinistra. Mi giro e vedo una donna sulla trentina con un foglietto in mano. Oggi strappo alla regola: voglio il mio drink preferito, dolcissimo e di un rosso fuoco. – Un caipiroska alla fragola, grazie – rispondo, magari mi aiuterà a rilassarmi.
– Una birra grande – gli replica invece Gianluca.
Tempo due minuti e la rivediamo sbucare da una porta con i nostri drink in mano.
– Bel culetto – mi riferisce il mio amico quando la vede allontanarsi.
Sorrido, guardo meglio incuriosito da quelle parole, e noto che ha ragione.
– Ma questa non è la birra che ho chiesto! – brontola il mio compagno di tavolo, e lo vedo andare verso la cameriera. Forse è solo una scusa.
Gira l’angolo, non lo vedo più, non mi rimane che concentrarmi sul mio caipiroska. Non è proprio il rosso acceso che speravo, è un po’ più sbiadito. Assomiglia quasi al colore della vespa con cui, tanti anni fa, andavamo al palazzetto. Io, mio fratello e mio zio che la guidava; in tre su quel piccolo veicolo. Sempre in tre ci dividevamo l’unica sciarpa che aveva mio zio. Noi eravamo troppo piccoli per comprarcela, e finì che ce la regalò. Penso a dove sta quella sciarpa, e mentre lo faccio, per qualche secondo provo quel senso di amarezza che ormai conosco fin troppo bene. Perché so benissimo, purtroppo, dov’è in questo momento. Mi si inumidiscono gli occhi, e subito dopo vedo Gianluca in lontananza tornare con un’altra birra. Non posso mostrare questi occhi, non fa per me. Per cercare di distrarmi penso alla sfida di questa sera: gara1 della finale play-off per tornare nella massima serie cestistica italiana, la Serie A1. Siamo leggermente favoriti sui nostri “cugini”, ma la storia insegna che in partite piene di rivalità il talento e la tecnica non sono fattori decisivi. La memoria mi riporta inevitabilmente alle sfide del passato. Seppur quella di oggi è una finale importante, non è neppure paragonabile a quelle di fine anni novanta. Le mie prime partite dal vivo; quelle, appunto, della mia infanzia. In quei tempi le finali erano per lo scudetto, per non parlare dei match in Eurolega. Quell’insana rivalità sotto le Due Torri aveva dato vita a derby di altissimo livello, in cui le due squadre bolognesi non solo dominavano in Italia, ma anche in Europa. Tempi d’oro per l’intero basket italiano. Tempi che, forse, non torneranno più.
Pensavo che quel caipiroska poteva in qualche modo aiutarmi, e invece ha liberato in un colpo solo tutta la nostalgia per quegli anni. Sento delle urla, la partita comincia.
– Non puoi perdere anche questa palla, porca miseria!!! – grida stizzito il mio amico. In fondo, dopo la terza birra, non è poi così difficile arrabbiarsi mentre vedi la tua squadra giocare sul filo di lana. È da poco iniziato il secondo tempo o meglio “terzo quarto” e siamo sotto di tre punti. Ormai, penso, non è più un anomalia penare così tanto durante un derby; anzi, per dirla tutta sono state veramente poche le volte in cui ho visto la mia squadra vincere nettamente. Ma in fondo deriva proprio da qui il fascino che emana questa partita: non ci sono favoriti. E anche oggi, a quanto pare, sarebbe stato un finale al cardiopalma, come tanti altri.
Mancano dieci secondi e il mio petto batte all’impazzata! Siamo sopra di 1 punto ma il possesso palla è del nostro avversario; difficile mantenere la calma in situazioni come queste, sia per le squadre che per i tifosi. Infatti, non a caso, tutte le persone dentro al pub si sono alzate e c’è una confusione incredibile. Da seduto è impossibile vedere la partita; mi alzo ma l’esito non cambia: ho due “armadi” che mi impediscono la visuale alla tv. I secondi passano, sento un esultanza, poi un’altra; non capisco cosa sta accadendo, mi sento corroso dalla voglia di saperlo. C’è il time-out, si apre uno spiraglio, riesco finalmente a capirci qualcosa: mancano due secondi e siamo sotto di due punti. Quei bastardi ci hanno fatto una tripla allo scadere e ora se la ridono. Ricomincia la partita, ora la posso vedere. Palla nostra, tentiamo un disperato tiro fuori dall’arco! La sfera non arriva nemmeno al ferro…
È passata più di un’ora dalla fine della partita, il mio amico non ha potuto fare a meno di prendersi un altro paio di birre. – Meglio berci su – mi dice pochi minuti dopo il finale. Io ho tentato di stargli dietro, ma solo con un altro drink; tanto dopo non guidiamo. Usciamo dal pub, ormai è notte fonda, non c’è praticamente nessuno in giro e noi siamo tra gli ultimi a lasciare il locale. Ci salutiamo, ognuno prende la propria strada. Mi incammino, solitario, verso la mia fermata dell’autobus.
– Ehi, ricordati di comprarla – mi sento dire da dietro. È Gianluca, so già a cosa si riferisce.
– Certo, vedrai che già dalla prossima partita avrò un bel sciarpone al collo – gli rispondo ammiccando.
Ha fretta, si volta e se ne va. Stavolta non posso scordarmi di acquistarla, visto che lui, dopo oggi, non mi da più il massimo dell’affidabilità. Continuo per la mia strada e poco dopo scorgo qualcosa sul marciapiede. Mi avvicino, ora vedo quell’oggetto chiaramente.
Una vera fortuna! Non solo ho trovato una sciarpa, ho trovato quella “giusta”. La guardo meglio. Troppi grandi trionfi mi sono perso nel passato di questa squadra, penso mentre la prendo in mano. Si vede che è nuova, il bianco e il nero sono accesi e la stella dentro la vu cerchiata è di un giallo intenso. La terrò, finalmente ho una mia sciarpa. Mi dispiace per il compagno che l’ha persa, e nel frattempo faccio una promessa: la indosserò tutte le volte che vedrò una partita.
Derby vinti o persi, trionfi o delusioni; in mezzo a questa tempesta una cosa è certa: la Virtus non uscirà mai dal mio cuore…
Lorenzo,
il basket è uno sport che seguo ed ammiro tantissimo, forse perché vivo in una città che se ne ciba da anni.
Il rispetto per l’avversario, l’agonismo che non eccede mai in antisportività, la passione sfrenata: tutti connotati che lo rendono un modo di essere, ancor prima di una disciplina sportiva.
E poi, beh, le “curve” del basket sono tra le più corrette ed appassionate che io abbia mai avuto modo di vedere, un vero spettacolo.
Il tuo racconto vibra del calore dell’ambiente “cestistico”, rapisce il lettore nella sua meraviglia.
Tra l’altro anche io tifavo l’indimenticata Virtus anni ’90 :-).
Complimenti.
Lorenzo, grazie per il commento 🙂
Mi sembrava bello ricordare quei fantastici anni (dal punto di vista cestistico).
Ciao e grazie ancora!