Premio Racconti nella Rete 2017 “Nella mia vita sono rimasta orfana per ben tre volte” di Paola Dalla Valle
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Nella mia vita sono rimasta orfana per ben tre volte, e tutte e tre sempre di madre.
Della mia infanzia non ho ricordi; qualche scatto in bianco e nero mi aiuta ad immaginare quello che la mia memoria consapevole non sa visualizzare.
Sfoglio l’album dalla copertina di cuoio lavorato, un oggetto prezioso che protegge dalla dissolvenza tante vite. Ascolto il suono dei fogli protettivi di carta velina che si stropicciano sotto le dita, mentre le pagine rigide, quelle dove si incollavano le fotografie, fanno resistenza e sembra non vogliano essere toccate. Dalle immagini sbiadite mi sorridono volti antichi di adulti e bambini che vivevano lo scatto fotografico con l’eccitazione di chi si sente protagonista di qualcosa di memorabile, che passerà alla storia, alla sua piccola storia.
Signore con le scarpe della festa e la borsetta stretta tra le mani, giovani donne a braccetto pronte a conquistare il mondo con il loro cappottino dallo striminzito collo di lapin; giovani uomini sorridenti a cavallo della loro Isomoto 125 e ragazzini imbacuccati che, con le mani nascoste dalle manopole, salutano felici a cavalcioni della slitta di legno in mezzo alla neve.
L’odore della pelle invecchiata si mescola a quello dell’aria pulita di quei tempi lontani che ricostruiscono anche la mia di storia.
Ricordi olfattivi.
Arrivo alle immagini un po’ più recenti e mi riconosco. Una bimba di quattro anni, composta e compita che sta leggendo un Topolino, quando ancora c’erano gli Album che la Disney stampava su carta ruvida e grossolana.
Ricordi tattili.
Mi guardo mentre poso, smorfiosetta e sorridente, con la gonnellina sollevata come le bimbette disegnate nei libri di lettura per i più piccini.
Ricordi impalpabili. Come i tessuti che la mammadallemanidifata trasformava negli abitini visti su Rakam o Burda. Ero la sua bambolina, credo.
La mia memoria si interrompe un giorno dei miei -forse- cinque anni. L’ultimo ricordo consapevole che ho è quello di una domanda: “Che cosa faresti se io morissi?”
Ed è stato allora che mi sono sentita orfana per la prima volta.
E’ stato come spostare lo stordimento del dolore nell’evanescenza del ricordo. Salvifica operazione di una mente bambina da allora priva anche della Buona memoria liquidata dai sensi di colpa.
Talvolta, di notte, mi svegliavo urlando e mi nascondevo sotto le coperte per non vedere le sagome indistinte generate dalle lame di luce artificiale che scavavano il legno degli scuri. Se io non vedevo loro, loro non avrebbero visto me e sarei stata al sicuro, protetta dal buio più fitto che disperde le ombre.
Poi è nato mio fratello ed è cresciuto fragile come lo stelo di un fiore.
La fotografia in bianco e nero dà consistenza alle immagini, le carica della violenta intensità del chiaroscuro, dei contrasti.
Mio fratello amava fotografare. Ed era bravo. Amava anche disegnare ed era bravo anche in quello. Eppure si credeva un inetto. E ha deciso di sublimare la sua presunta inettitudine nella droga.
Erano gli anni della strage alla stazione di Bologna e dell’attentato al Papa, di Reagan e della Thatcher, di Chernobyl e della Perestrojka. Erano gli anni in cui moriva John Lennon e si scioglievano gli Eagles, i Led Zeppelin, gli Who che avevano accompagnato i nostri stordimenti collettivi nelle cantine fumose della mia adolescenza. Erano gli anni che stavano dissipando l’eredità più pesante lasciata dalla rivoluzione sessantottina: un gruppo di giovanissimi spaesati e sperduti in un mondo che non avevano contribuito a costruire.
La discesa agli Inferi era iniziata per tutti.
Il giorno era una notte lunga ventiquattro ore, fatta di paure attese e litigi. Un attimo lui urlava contro il mondo, quello successivo piangeva per l’infelicità che sparpagliava attorno a sé. Avrebbe smesso, perché si smette quando si vuole. E no, la Comunità non serviva; l’aveva detto anche il dottore.
Invece non ha smesso ed è arrivato l’AIDS.
Sindrome da Immunodeficienza Acquisita: a quei tempi, una condanna a morte certa.
E di nuovo io sono rimasta orfana.
Un’orfana priva di memoria con la necessità di salvarsi da una deriva annunciata. Nonostante i sensi di colpa, nonostante l’amore grande per il mio fratellino.
Quanto più lui diventava debole, tanto più io mi facevo coriacea, spinosa. Un cactus nel deserto, che si difende adattandosi all’ambiente ostile.
E’ morto una sera di luglio, tra le braccia della sua madre dolorosa. Era lo spettro di se stesso, una larva fragile come il cristallo più trasparente. Pochi giorni prima, per distrarmi dal pensarlo, avevo dipinto per lui una maglia. Un volo di fenicotteri lo avrebbe accompagnato durante la cerimonia funebre e oltre, se un oltre fosse esistito. Lui, dopo settimane di un silenzio ostinato, aveva bisbigliato qualcosa quando gliel’avevo mostrata, ma gli occhi erano già lontani. Poi niente più. Qualche debole stretta di mano in rari attimi di vita, qualche lacrima tardiva che scendeva sulle guance scarnificate.
Mentre l’Italia vinceva contro la Spagna ai Mondiali del 1994, il mio fratellino se ne andava in silenzio, per la troppa paura di vivere.
Ho aspettato con lui che tornasse cenere, in piedi, nel Crematorio, e ho pianto tutte le lacrime che avevo accumulato dentro. Ma non è servito a farmi stare meglio.
Poi ho guardato mio figlio e mi sono fatta forza, ma forse anche lui era già un po’ orfano di madre.
Non so se sia peggiore la morte o la paura della perdita. Quella paura che ti accompagna minuto dopo minuto, la stessa che non se ne vuole andare dall’annus horribilis che ha partorito i mostri successivi.
La madre di mio fratello si è consumata per il dolore. Sempre presa dai ricordi e dal bisogno di combattere un nemico potente e subdolo. Troppo distratta dalla morte per poter ancora guardare con stupore la vita.
Sola, con il suo drappello di madri-coraggio, ha iniziato a lottare, rabbiosa contro le Istituzioni, pietosa verso i più deboli, diventati tutti suoi figli ora che di figli non ne aveva più. Io ero altro, me n’ero andata scegliendo la vita, sorda alla sua sofferenza che rimestava stancamente nel catino arrugginito delle responsabilità.
Eppure, entrambe eravamo chiuse nel nostro personale dolore nutrito dal rancore e dalla solitudine.
E mentre io lavoravo instancabilmente e cercavo goffamente di crescere mio figlio, lei spostava montagne con la rabbia della disperazione.
Ogni tanto le succedeva di sentirsi felice, come dopo essere riuscita a rendere dignitosa la sepoltura dei nuovi lebbrosi. Spogliati di tutto, dovevano essere avvolti in un lenzuolo imbevuto di candeggina, almeno fino a quando, nel 1994, lei, piccola madre granitica di tutti gli infelici, non è riuscita a far modificare il regolamento di polizia mortuaria.
Un decoro che la morte restituiva alla vita.
La sua agonia è durata trentatré anni. Poi la stanchezza ha vinto e si è lasciata andare, dopo un ultimo guizzo di ribellione mentre, smarrita, assecondava il ritmo del suo cuore sfiancato.
Ventitré giorni di rianimazione e, per la terza volta, sono rimasta orfana. La volta definitiva.
La telefonata è arrivata alle 4.40 e io l’aspettavo perché quella sera il suo sguardo era opaco, mentre si sgravava delle lacrime. Le stesse lacrime silenziose che avevo conosciuto tanti anni prima.
Però questa volta non ero lì.
Non ero lì a tenerle la mano, a ricordarle che suo figlio la stava aspettando, a dirle che anche se era la mamma di mio fratello era stata anche la mia.
La mia memoria si sta pian piano ricomponendo, combatte contro l’inquietudine della necessità.
I ricordi sono recalcitranti e si imbizzarriscono quando voglio imbrigliarli. Vorrei poter raccontare, ma le storie sono sfuocate, incerte nei contorni. Eppure io so che nella mia vita lei c’era, perché l’ho odiata e amata, l’ho allontanata e cercata, l’ho condannata e perdonata. Come succede a tutte le madri.
Un cuscino di rose bianche l’ha accompagnata, quelle che lei stessa mi aveva chiesto prima di andarsene. La chiesa era gremita al suo funerale e la tenue fragranza dei fiori candidi addolciva il commiato reso concreto dal profumo pungente dell’incenso
E io, che non ho mai saputo parlare di sentimenti, allora ho scritto per catturare il ricordo, per non farlo sbiadire, per ricordare anche la sofferenza assieme al suo volto.
Il cuore squassato dal dolore che preme,
la madre riconosce il figlio là
dove l’aria si tinge di cielo.
E l’anima, libera, si placa.
Sono poche righe, ma hanno l’efetto di un romanzo da trecento pagine.
Uno di quelli che in principio ti stuzzicano, poi ti travolgono e infine ti lasciano con il cuore pieno e la mente che indugia già a quel vuoto creato dal non poter leggerne qualche riga in più.
L’assenza, il senso di colpa per tutte le parole non dette, per il dolore che non si è saputo o potuto condividere; il rimpianto, anche, per un tempo che si è lasciato passare e che ora non si è in grado di riafferrare; sono queste, e tante altre, le emozioni che questo breve racconto ha suscitato in me. Una scrittura intensa, che restituisce i toni di giovinezze difficili, di contrasti generazionali che oggi, se ci sono, hanno assunto colori più sbiaditi. Una scrittura così levigata da sembrare semplice e spontanea, e che riesce a commuovere senza enfasi.
Gli anni di cui parli li conosco, ma sono stato fortunato: ho evitato il peggio, anche se molte ferite le porto ancora dentro. Le tue sono terribili. E’ vero che la scrittura aiuta, almeno in certi casi; alcuni ricordi, anche se sono dolorosi, sono troppo preziosi per lasciarli svanire nel flusso del tempo. Anche il tuo racconto è prezioso, una piccola gemma incastrata nel cuore: ferisce, ma risplende.
Ciao Paola, il tuo racconto è bellissimo, struggente, tutto interiore. Mi ha molto colpito la maniera in cui descrivi il tuo dolore, forse troppo a lungo tenuto inespresso, e poi i ricordi che diventano immagini sensoriali e la voglia di non dimenticare certi avvenimenti che hanno segnato la tua vita, nonostante facciano ancora tanto male. Complimenti!
Grazie Marzia, credo di non avere ancora risposto al tuo commento e, se l’ho già fatto, pazienza. Se rimani senza ricordi perdi te stessa; il problema è riuscire a conviverci accettando ciò che è stato. Il tempo aiuta e scriverne anche.
Paola,
le prime cose che mi hanno colpito sono state l’idea di base e la tua capacità di sintesi: hai adoperato lo strumento dell’album fotografico per il duplice scopo di esternare la sofferenza accumulata in una vita e ricollegarti a diversi avvenimenti politici, sociali, addirittura musicali che hanno segnato a loro modo la sorte del mondo che conosciamo.
Tantissime emozioni espresse con uno stile superbo, che esplodono all’unisono grazie alle poche righe, così dense e vere, della poesia conclusiva.
Bello veramente.
Un racconto pregno di dolore, di lotta, di speranza e di quel senso di sconfitta che prima o poi avvolge tutti. Dove i ricordi si mescolano ai rimorsi e quel che è stato si impone su quello che poteva essere se. Leggendolo mi sono sentito coinvolto e turbato e ho provato un grande senso di partecipazione. Quella partecipazione del lettore alla narrazione che è il fine primo di un racconto. Le faccio i miei complimenti.
Grazie Oscar, commento molto sentito e gradito.
E io, che non ho mai saputo parlare di sentimenti… però questa storia ne parla e lo fa con un’intensità prodigiosa. Molto, molto coinvolgente!
Grazie del commento; coglie uno dei nuclei della narrazione e ne sottolinea quella che comunque rimane faticosa: la necessità mista al bisogno.
Ciao Paola, parole che trasmettono emozioni fortissime, forse per la mia vicinanza le sento ancora di più, nostalgia e tenerezza pensando a quella bambina non ancora orfana, e poi angoscia e disperazione per quella figlia senza madre. Hai dovuto rinascere più volte, le prove che hai dovuto affrontare lo dimostrano, non stancarti mai di combattere…
Ho spesso pensato che le nostre storie personali, le divagazioni in libertà, i percorsi più o meno accidentati, siano troppo simili ad altri o poco interessanti perché valga la pena di scriverli affinché altri li possano leggere. Ho altre volte immaginato, timidamente sperato, che i nostri pensieri, i goffi voli alla ricerca di qualcosa, le gioie, gli accidenti, possano risultare utili, suscitare ricordi, emozioni, generare nuovi pensieri, simili e diversi. Il tuo racconto mi fa decidere che valga quasi sempre la pena di aprirsi, di condividere, di volare più in là. È bello e mi commuove. Non potrebbe essere altrimenti
Un racconto breve ma struggente che racchiude la fatica, ma anche tutta la forza necessaria per andare avanti. É palpabile la consapevolezza di non poter continuare a vivere senza ripensare spesso, anche involontariamente, ad un passato doloroso ma parte di te. La scrittura lucida ed essenziale fanno di questo racconto una storia da leggere tutto d’un fiato, che ti avvolge con la sua realtá e lascia alla fine senza parole.
Ora ho capito perché ti sei riconosciuta Paola, è accaduto pure a me, leggendo il tuo racconto. Molto bella la tua ricostruzione retrospettiva sociale, musicale, sentimentale. Hai tracciato una mappa nella quali le coordinate sono date dall’abbandono e dal dolore. Ho ammirato il tuo stile veramente.
Un racconto di una potenza icredibile. Nella sua semplicità descrive una situazione complessa, fatta di emozioni forti, di ricordi struggenti. Colpisce non solo il racconto in sé, ma anche la consapevolezza, in chi legge, che si tratta di un vissuto reale. Per questo ringrazio Paola per aver voluto condividere questo suo scorcio di profonda intimità.
Un libro che acquisterei subito per l’intensità che dimostra!
Che dire ;sono rimasta stupita piacevolmente di come Paola ha raccontato se stessa attraverso la storia della sua vita ,in particolare il passato che poi a dire il vero passato del tutto non lo è mai. Noi siamo ciò che abbiamo vissuto e solo chi possiede una forte capacità introspettiva raggiunge la consapevolezza del proprio io interiore, lo vede e ne parla,
come hai dimostrato tu…
Considero questo tuo scritto un messaggio davvero importante da divulgare ;sei una donna coraggiosa e combattente e ti ringrazio perchè mi hai dato coraggio nell’affrontare le problematiche che la vita mi porrà davanti facendo tesoro di quelle passate .
Credo che parlare delle proprie sofferenze ,sentimenti ed emozioni e trasmettere messaggi, sia l’elevazione dell’anima ad uno stato superiore…l’amore esiste.
Mi è piaciuto complimenti ancora Paola Dalla Valle.
Grazie Paola, ho letto e riletto e non riesco a libertarmi da un viscido senso di colpa che sale fino in gola, non mi capacito di questa resa e condanna dell’umanità intera. Cosa resta della nostra baldanzosa gioia di vivere? Ma quanto Amore in quel cuscino di rose bianche! La forma stringata che hai usato lascia ampio spazio alle emozionii di chi legge e al suo vissuto e così ognuno sembra scrivere con te: un racconto a infinte mani!
Paola, molto è già stato scritto, e condivido le riflessioni e i complimenti così ben espressi. Aggiungo che l’assenza del patetico è uno degli aspetti che più ho apprezzato. Scrivere di sé, dolorosamente, non è affatto semplice ma tu ci sei riuscita molto bene. Grazie per averci regalato i tuoi ricordi che si sono intrecciati con le mie emozioni.
Un abbraccio
Grazie Marcella, confesso che riuscire a scrivere di certe cose è catartico ma molto difficile all’inizio; poi capisci che la scrittura è una terapia e provi ad intraprenderla senza piangerti addosso. Solo allora puoi far leggere ad altri, almeno credo.
Questa lettura è stata emozionante. Mi è parso di sentirti parlare e raccontare. In bocca al lupo, ti auguro una vittoria.
Grazie Lidia, viva la lupo! È già importante per me aver reso pubblico quello che scrivo. Non è stata una scelta facile comunque.
Grazie Paola per aver aperto il tuo cuore e la tua anima in un racconto lucido e emotivo insieme dove i sensi tutti trovano spazio.
Il tuo stile è essenziale, chiaro, e affilato, descrizioni perfette e così efficaci da arriva al cuore come spilli, dolorosi , ma senza spargimenti inutili di sangue/parole.
magnifico l’intersecarsi della storia personale con le fotografie di un epoca.
Mi hai veramente colpito!
E’ molto bello, intenso impregnato di una fiera tristezza che mai suscita compassione. Complimenti paola
Bellissimo, emozionante e intenso. Brava! E una fortuna avere incrociato le nostre penne nella rete.
Ricordi …madre, assenza, morte.Morte, rinascita, padre, morte, assenza, rinascita. Destino umano…un attimo di calma nel vento..e un’altra donna mi partorirà.(K.Gibran.Il,profeta).Non voglio usare altre parole:Bellissimo.
Grazie a tutti, soprattutto perché capisco che possa essere una lettura difficile.
Ciao Paola, molto intenso il tuo raccontare il passato. Perdita, dolore, vita che va avanti nonostante tutto. Il tempo può essere un alleato per venire a patti con la vita, ma riuscire a dare corpo alle emozioni attraverso la scrittura è una terapia…
Vero Ester, hai proprio ragione. E grazie.
Un racconto commovente, un dolore composto. Mi hai emozionata
“La mamma di mio fratello”… quanto dolore c’è, nel cuore di una donna che perde un figlio; tanto da dimenticare quasi gli altri figli. Trovo davvero commovente l’espressione che hai scelto per parlare di lei.
Grazie Riccardo, ho come la sensazione che tu abbia una bella sensibilità.
Cara Paola, un racconto decisamente toccante e profondo. Uno stile molto bello che permette di immergersi in ogni parola. Ho adorato la frase finale “E l’anima, libera, si placa.”, non potevi concludere in maniera migliore. Complimenti
Grazie Aurora per le belle parole.
Complimenti Paola.. davvero bellissimo! Pennellate di emozioni e consapevolezze, la voce di una bambina che si fa donna e impara a crescere nonostante tutto. Mi sono commossa…sembra di aver fatto un lungo viaggio attraverso la storia collettiva che ci appartiene e così anche la storia individuale diventa nostra. Davvero grazie per questa perla preziosa! Paola
Grazie Paola, il tuo commento è una sintesi perfetta di quello che volevo ottenere. Purtroppo, o per fortuna, si cresce, nonostante la Storia e le storie personali che, talvolta, ci porterebbero a perderci.
Bellissimo. Un colpo basso al cuore, essendo anch’ io un fratello sopravvissuto…
Grazie, Luca. Immagino l’effetto. Se hai voglia, ce ne sono altri due molto differenti.
Quanta emozione Paola,quanti sentimenti si agitano nel tuo cuore ed in quello di chi ti legge, quanta tenerezza per quella madre dolorosa ai piedi della croce del figlio.
Coraggiosa e brava!
Elisa, grazie per il tuo bel commento. Ogni tanto mi chiedo se ho fatto bene a pubblicarlo.
Hai fatto benissimo!
Bugs Bunny direbbe: “Che succede, amica?”
Paoletta, e certo che hai fatto bene!
Anche solo per vincere il premio per il titolo più lungo, dieci parole tutto d’un fiato. Ti pare poco?
Marcella, grazie per l’incoraggiamento e per il premio che mi hai attribuito! non mi ero accorta del primato 🙂
Bellissimo il racconto della tua vita, Paola. Sei stata capace di raccontare i sentimenti più tristi ed intimi senza essere retorica o eccessiva. Eppure si capisce benissimo la sofferenza patita e il coraggio di farne parte agli altri, che si possono riconoscere nei tuoi sentimenti. Quante emozioni mi ha procurato leggerti!
Grazie Annalisa, per la terza volta grazie!
Paola, ho iniziato a leggere i tuoi racconti seduto alla mia scrivania, in modo da assaporarli e mangiarli in piena coscienza; quello che non sapevo e che lì a poco, avrei confuso i miei, ai tuoi profumi.
Il flusso delle tue parole, il ritmo della scrittura e la capacità di descrivere situazioni e personaggi mi hanno così coinvolto da accelerare il ritmo della lettura e ho divorato a grossi bocconi il tutto. Volevo assecondare al più presto il godimento dell’ultimo morso, il più prezioso.
Al tempo stesso sono state le tue emozioni a divorare tutte le mie sensazioni e farmi partecipe delle tue storie.
Nel rileggere i tre racconti con pacatezza, mi sono ritrovato a sorridere e a commuovermi, ma anche ferito nell’impossibilità di porre freno o, peggio, rimedio agli eventi. Sono questi che ci modellano, indipendentemente, dalle strade che crediamo di prendere in tutta libertà.
Sto divagando.
Volevo solo complimentarmi con te per la capacità narrativa che ti ritrovi e che, credimi, è distante anni luce dalle tante storie letti in questo sito (ovviamente sei anche in altra e ottima compagnia).
Il tuo modo di descrivere non è solo capacità del mezzo ma anche il guardare “le cose del mondo” con occhi differenti e questo fa di te un abile affabulatrice.
Grazie per le emozioni che mi hai suscitato.
In bocca al lupo (senza che questo crepi, però).
Crescenzo, mi hai lasciata senza parole. Il tuo commento è… esagerato, ma mi lusinga non poco. Mi fa piacere che i miei racconti ti abbiano emozionato e fatto provare sensazioni differenti. Quello che vorrei comunque sottolineare è il fatto che, in questo virtuale luogo di incontro e confronto, ho trovato persone non solo capaci di scrivere e di trasmettere contenuti, ma anche desiderose di condividere quella che appare chiaramente come una passione. È la mia prima volta e, mi ripeto, ho scoperto un mondo! Vada come vada, vita lunga al lupo!
Non amo i fiori.Accompagnano l’uomo durante tutte le fasi della vita.Nascita, battesimo, comunione, matrimonio, Morte.il fiore, per me , è legato alla morte.Non voglio fiori alla mia morte.Ne sopporterei alcuni., crisantemi, calle , peonie.Queste le amo perché sono ‘stupefatte’ , sconclusionate, afflitte e ribelli, meravigliosamente scompigliate e distaccate dagli altri…Io son per l’assoluto, dolore, magia…quindi amavo i tuoi due racconti..ma ti faccio Pubblicamente tanti tanti complimenti per la tua ‘classe! ‘Le cose perdute , a volte, tornano sotto altre forme .(cit…Luna di Harry Potter!)
Grazie Laura, grazie e basta perché sai…