Premio Racconti nella Rete 2017 “La “scimmia” della libertà” di Gaia Gualla
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017« Mani in alto! Questa è una rapina! » disse la voce maschile dietro le sue spalle.
Come ogni mattina, Osvaldo Oronte si era incamminato in direzione del museo dove lavorava come custode, ma prima di iniziare il turno si era diretto nella stanza degli oggetti smarriti e mai reclamati. Era la sua routine del venerdì: entrava, rovistava e se ne andava. Gli unici oggetti a cui era davvero interessato erano gli orecchini delle signore, una collezione che aveva iniziato a fare sin da piccolo quando, furtivo come una gazza ladra, rubava quelli di sua madre.
Mai nessuno lo seguiva, quel giorno però qualcuno doveva averlo fatto.
Non si fece prendere dal panico. Si guardò intorno e vide, a pochi centimetri da lui, un manico di scopa. Di scatto lo afferrò e con un balzo si voltò verso il suo aggressore.
« Come osi minacciarmi marrano! Combatti dunque se hai coraggio! » aveva identificato la voce.
Alberto Chiedilacqua era suo collega ormai da nove anni, sarebbe stato impossibile non riconoscere il suo stridulo e nasale, e perciò distintivo, timbro vocale.
« Hai trovato qualcosa oggi? » chiese Alberto, sciogliendo le dita aggrovigliate nell’infantile gioco di simulare una pistola.
« No nulla. Posso offrirti un caffè prima di iniziare? » domandò a sua volta Osvaldo.
Alberto annuì e insieme lasciarono la stanza degli oggetti smarriti per raggiungere il punto ristoro del museo, dove ordinarono due caffè.
« Allora come vanno i preparativi per il grande evento? »
« Una tragedia, non ho dormito tutta notte. »
Alberto lo fissò con sguardo interrogativo, ma Osvaldo non proseguì. Trangugiò il suo caffè e afferrando il collega per il braccio lo trascinò lontano dal punto ristoro, sino a giungere alla loro postazione.
Alberto, che aveva capito la gravità della situazione lo seguì senza protestare e insieme si trincerarono dietro la scrivania. Osvaldo, con l’occhio destro, quello non pigro, si scrutò attorno e solo dopo aver appurato che fossero soli proseguì.
« Mia suocera è un demonio! Mi ha detto che lavorando come custode in un museo di carrozze sarebbe stato apprezzabile noleggiare un mezzo simile per portare sua figlia all’altare. » sibilò nervosamente.
« Non dirai sul serio! Quella donna sa bene qual è il tuo punto debole » disse Alberto con un beffardo sorriso.
Non sapeva dire NO, ecco qual era il tallone di Achille di Osvaldo e l’intero Universo sembrava esserne consapevole, chiunque ormai sfruttava questa sua debolezza a proprio vantaggio.
« A quella domanda però non potevo certo rispondere Sì. Voleva solo stuzzicarmi. In definitiva non ho detto né sì né no, sono stato zitto e basta », disse Osvaldo abbandonandosi allo schienale della sedia girevole.
« Certo che non puoi rispondere a tutti sempre sì. Devi imparare ad essere meno pauroso e indeciso santo Dio, tra sei mesi ti sposi. Cosa dirai ai tuoi figli “chiedete alla mamma?” oppure sempre e solo sì? Non hai idea di come questo potrebbe rovinarti la vita in futuro. »
Tra i due calò il silenzio.
Osvaldo afferrò un pezzetto di carta abbandonato sulla scrivania e prese a fare un piccolo origami, era il suo passatempo preferito e, fortunatamente, quel giorno al museo sembrava non volerci mettere piede anima viva.
Alberto, invece, tamburellava con le dita sulla scatola che avrebbe dovuto contenere i biglietti d’ingresso una volta strappati. Lo faceva spesso e Osvaldo apprezzava quel rumore ritmico e cupo, gli dava modo di concentrarsi, ma, al contrario, odiava quando Alberto sgranocchiava patatine in prossimità del suo orecchio, lo innervosiva a tal punto che, per evitare di ascoltarlo, o cantava la musica classica che sentiva nelle pubblicità o, più semplicemente, gli raccontava tutte le ricette che per passione leggeva sui libri di cucina di sua madre.
« E cosa ne pensano il Dardo e la Giuse? » chiese Alberto.
« Sai come sono, non fanno altro che darmi contro. Poi l’altro giorno sono passato a salutarli e il Dardo era al telefono, appena mi ha visto ha riattaccato. Chissà cosa sta combinando. Ho persino pensato si sia fatto l’amante. Poi la Giuse mi ha tranquillizzato: ha detto che tra quelle due gambe tozze è tutto morto come nel deserto, solo ogni tanto il barlume di un’oasi. Non volevo credere che me lo stesse dicendo davvero. »
Alberto estrasse dal taschino della giacca una fialetta e gliela porse.
« Dovresti prendere qualche goccia di queste. Sono omeopatiche, le uso qualche volta per calmare l’odio che provo verso la mia perversa e delinquenziale prole. »
Osvaldo studiò la fialetta e non poté fare a meno di sorridere al ricordo di sua nonna, quando aveva scoperto la medicina omeopatica e ne aveva abusato per mesi, tanto da sembrare una ragazzina sotto costante effetto di cannabis.
Chissà se davvero quella roba funzionava, ma, soprattutto, chissà se sua nonna sarebbe vissuta abbastanza da vederlo finalmente sull’altare.
« E se nevica? Ci pensi? Una carrozza come queste pattina sul ghiaccio anche meglio della Kostner. Mi paralizza solo l’idea di guidare in quelle condizioni, ma sai cos’è ancora peggio? Sempre mia suocera ha scelto il luogo per il rinfresco: una vecchia fattoria piena di mucche! Sai anche tu quanto mi terrorizzano quelle bestie ficcanaso. »
Solo allora Alberto prese a ridere divertito.
« Sai la Lucianona, quella del terzo piano », chiese senza aspettarsi una risposta.
« La custode del museo zoologico », confermò Osvaldo.
« Ha una scimmia in esposizione che somiglia proprio a tua suocera: la stessa bocca e le stesse orecchie. In realtà anche il naso e gli occhi se guardi hanno qualcosa in comune.» disse Alberto continuando a ridere per quella sua inaspettata associazione.
« Sapevi che ogni tanto obbligano la Lucianona a cambiare gli animali esposti. Quando sono troppo vecchi e in deperimento li sostituiscono, senza troppe cerimonie. » disse Osvaldo mentre immaginava fugacemente la suocera in bacheca al posto dell’animale.
« Potresti chiedere alla Lucianona se devono cambiare la bertuccia, e magari qualche altra bestia, così ci fai uno zoo nella cucina della cara signora » scherzò Alberto.
« E poi cosa me ne faccio della scimmia? La sposo? » rise poco convinto Osvaldo.
« Ma no, la fai trovare sul tavolo della cucina a tua suocera e le dici che se vuole si è liberato un posto. Vecchia megera. » Alberto si era alzato dalla sedia: gambe salde e mani strette ai fianchi, un sorriso che poteva benissimo somigliare a quello della suddetta scimmia. « Tanto so che non sai dire NO, prova a contraddirmi adesso! »
La discussione dovette terminare in quel preciso istante poiché i primi turisti della giornata stavano varcando la soglia d’ingresso proprio al piano delle antiche carrozze.
Anche volendo, non riusciva proprio a dirlo NO. Al massimo si sarebbe potuto sbilanciare su un indeciso e tremolante “non mi sembra il caso”, ma in fin dei conti l’idea della scimmia aveva incrinato qualcosa nella mente indecisa del custode.
Pensando e ripensando al fatidico momento dell’ecclesiastico “sì” qualcosa aveva attanagliato il suo cuore: un precoce sentimento di nostalgia e solitudine.
Fu allora che Osvaldo Oronte prese la più grande e rivoluzionaria decisione della sua vita.
Da quel giorno la dolce sposa Angelina, tutti gli invitati al grande evento, il collega Alberto, né tantomeno la suocera o la signora Lucianona del terzo piano, videro più il custode del museo.
Una bertuccia era stata sottratta dalla bacheca del museo zoologico e il crimine era rimasto impunito poiché nessuna prova conduceva ad un possibile indiziato.
Solo Alberto Chiedilacqua, quando il pensiero correva a quel suo stravagante collega, sorrideva divertito: se li immaginava insieme, Osvaldo e la scimmia, su una bianca spiaggia, occhiali da sole in testa, mentre sorseggiavano da una noce di cocco la più squisita pina colada del mondo.
Non poteva essere diversamente…o forse sì?