Premio Racconti nella Rete 2017 “Una mano sola” di Ester Arena
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017“Non guardarmi così”
L’avevo implorato, Mirko, mentre tentavo di spiegargli che avremmo dovuto amputare quel pezzo di lui che non eravamo riusciti a salvare.
“Non guardarmi così”
L’avevo ripetuto ancora quell’appello inutile.
Inutile anche mentre gli dicevo che l’avrei aiutato a scegliere una nuova mano con cui avrebbe potuto fare molte cose, oltre al suo lavoro di operaio.
Mirko aveva appena trent’anni. Era bello come un dio greco. Corpo da atleta e spalle ampie che promettevano protezione.
Con i suoi occhi scuri mi aveva guardato: prima con incredulità, poi con sgomento e infine con la rabbia dell’impotenza.
“La mia mano, dottoressa, la mia mano. Come farò con una mano sola ad accarezzare veramente Maria? Non potrò mai essere come prima.”
Ogni giorno quella cantilena. Tutta lì, la sua disperazione. Come avrebbero fatto, lui e Maria, senza quella sua mano?
Maria era una ragazza minuta, col ventre abbondante di vita nuova e con i capelli lunghi come un manto dorato. Un sorriso dolce, appena accennato, e la paura negli occhi mentre guardava la mano di Mirko che tra poco non ci sarebbe stata più.
La mano di Mirko. Difficile definirla ancora tale. Era tonda e gonfia come una granseola rossoarancio con le sfumature nere e gialle. Le dita storte e ritorte sembravano pezzi tozzi di zampe strappate.
Avrebbe fatto impressione a chiunque. Eppure, Maria la baciava, la accarezzava, la stringeva delicatamente al seno come una cosa preziosa e la lavava con le sue lacrime silenziose. Mirko tentava di liberarsi da quella stretta senza riuscirci e allora girava la testa, strizzava gli occhi disegnando sul suo viso una smorfia di sofferenza ben diversa da quella del dolore fisico.
Nella sua mente solo quel pensiero confessato fino allo sfinimento. Cosa ne sarebbe stato di loro due senza quella sua mano? Parlava come se il loro amore fosse finito tutto lì, in quell’appendice deforme che stavo per portargli via.
Per me sarebbe dovuto essere un intervento né complicato né semplice, solo di routine. Dopo le prime amputazioni avevo smesso di farmi impressionare e di tenere il conto.
Invece, quella volta mi era rimasto addosso un senso di angoscia insolito. La preoccupazione di Mirko per la perdita della sua mano mi aveva disorientato per quel dolore e quella paura non solo egoistici.
Quando tornavo a casa, stesa sul divano, guardavo Alessio, le sue mani e il suo pianoforte che erano un tutt’uno. Le sue mani e il pianoforte. Li guardavo come li vedessi veramente solo allora.
Mentre suonava, Alessio aveva il capo leggermente chino, le palpebre abbassate, le labbra che accennavano un sorriso, le braccia lievemente flesse e le mani con le dita che sfioravano la tastiera. Io ero lì a osservarlo in silenzio, quasi senza respirare per non inquinare, col rumore del mio respiro, le note che riempivano la stanza.
Vedevo le sue mani che si muovevano piano-pianissimo e poi forte-fortissimo per seguire la dinamica della composizione. Sembrava facessero l’amore con la tastiera, svelandomi all’improvviso quella realtà che avevo nascosto a me stessa ogni giorno da tanto tempo.
Alessio e le sue mani. Due mani che, quando componevano e studiavano, non avevano altro tempo o voglia. Per me diventavano nessuna mano. Non mi toccavano, perché l’avorio dei tasti erano l’unica pelle che sapevano accarezzare.
Due mani che, per ogni stecca che prendevano, potevano poi diventare rabbiosamente cento. Io, allora, ero solo una tastiera senza anima su cui pigiare, e ancora pigiare, come se le sue dita dovessero memorizzare il movimento di un’armonia che nulla aveva a che vedere con me, che non ero il suo pianoforte.
Il ricovero di Mirko si era protratto e così il mio disagio in ospedale e poi a casa. Mi faceva stare male quella sua costante e assoluta paura di non poter più accarezzare Maria come prima. Quando lei arrivava, nascondeva il braccio monco sotto il lenzuolo per regalarle ancora l’illusione che non fosse successo nulla di così definitivo, come il non avere più la sua mano per lei.
Un gioco crudele, a cui fingevano entrambi di giocare e credere, mentre io li guardavo attirata da quell’illusione che raccontava un appartenersi che non conoscevo più.
Pensavo ad Alessio che aveva due mani ma che erano lontane, estranee. Pensavo a me che, nel mio risveglio improvviso, di lui me ne sarebbe bastata una sola ma diversa e che sapesse accarezzare.
Nei miei giri di guardia notturna controllavo che ogni respiro fosse regolare. Sfioravo con le mie mani le sagome di chi riposava. Sorridevo a chi aveva gli occhi ancora aperti. Poi passavo da Mirko.
Lo lasciavo per ultimo, perché avessi più tempo per lui. Se dormiva, rimanevo sulla soglia della porta per vederlo in quell’attimo di calma in cui mi sembrava finalmente libero dal suo incubo.
Se era ancora sveglio, ascoltavo paziente quella sua cantilena disperata.
“La mia mano, dottoressa, la mia mano. Come farò, con una mano sola, ad accarezzare veramente Maria?”
“Vedrai”, gli dicevo, “Vedrai, non sarà così, risolveremo.”
Per iniziare insieme quel nuovo cammino, avevo chiesto in prestito uno dei modelli più sofisticati del campionario del centro protesi. Una mano bionica. Avevo forzato il suo rifiuto iniziale ripetendogli come un disco incantato che quella mano gli avrebbe consentito di riprodurre molte funzioni naturali.
All’inizio Mirko l’aveva studiata guardandola da lontano, mentre leggeva la brochure. Poi un po’ più da vicino, finché poggiandola sul comodino o sul letto, aveva cominciato a toccarla, a girarla, poi a rigirarla. Con una sola mano, l’altra che gli era rimasta. E con quella mano la usava come fosse un peso da palestra, come dovesse allenarsi per poi riconoscere quella che sarebbe stata costruita apposta per lui.
Qualche giorno andava meglio. Altri no.
Allora ritornava preda della sua disperazione animale. Prendeva la protesi e, nel gesto di scagliarla contro la finestra, mi urlava contro. Come se la colpa fosse mia.
“Fanculo. Sei una bugiarda. Non sarà mai come l’altra. Io non sarò più uguale.”
Era difficile tenerlo a bada in quei momenti, io che c’entravo? Avrei dovuto fare come sempre, semplicemente cedere il passo. Il mio compito in fondo era finito. Non spettava a me insegnargli a mettere l’anima e il cuore in quel pezzo artificiale che sarebbe stato la parte nuova di lui.
Eppure indugiavo, come se risolvere Mirko fosse risolvere me stessa.
Mi sembrava di essere in debito anche con Maria che ogni giorno accarezzava e baciava la mano superstite di Mirko, poggiandola poi sul suo ventre che cresceva. Gli sussurrava “Ti prego, ascoltami, noi siamo questo e solo questo importa”, cercando di arrivare a toccare anche la mano che non c’era più.
Mirko, però, si ritraeva dalle carezze di Maria e, mentre nascondeva il suo moncherino infilandolo sotto il lenzuolo o nella tasca della tuta, girava verso di me il suo sguardo iniettato di rabbia e annacquato di sconforto. Muto, mi diceva: “Non sarò più uguale. Nulla sarà più uguale.”
Mi sentivo impotente. Ciò che avevo imparato sui libri e in anni di lavoro non serviva a placare quel dolore che andava oltre ogni tentativo di ragione. Così, non mi restava altro da fare che allontanarmi.
Volevo poter smettere di pensare alla sua amputazione, perché forse avrei smesso anche di pensare alle mani di Alessio e la vita avrebbe ripreso a scorrere nella sua anonima normalità.
Invece, la differenza tra la mano sola di Mirko e le due mani di Alessio era diventata un pensiero costante che prendeva sempre più spazio dentro di me, tanto da occupare anche il mio sonno.
Alessio suonava il pianoforte poggiato su di me, sul mio ventre di acqua e schiuma. Io ero il mare e lui suonava cullato dalle mie onde, che seguivano, silenziose e ignorate, il ritmo della sua musica. Per riaverlo per me, allora, mi facevo onda anomala e lo inghiottivo. Lo avvolgevo facendolo scomparire nell’acqua, dentro di me. Mentre si dibatteva per risalire a galla, le sue mani si muovevano nell’acqua piano-pianissimo, poi forte-fortissimo, ma disordinate, non come nella dinamica delle sue composizioni. L’acqua era la mia pelle e le sue due mani sembravano nessuna e poi cento. Nemmeno allora somigliavo alla tastiera del suo pianoforte.
Mi svegliavo agitata con la consapevolezza che Alessio ormai non avesse più mani per me.
La storia di Mirko mi aveva rivelato una verità che lui stesso doveva ancora capire: una mano può accarezzare come fossero due, mentre due mani sono nessuna, se ti negano le loro carezze. Oppure possono toccarti così da sembrarti che siano cento. Le senti tutte addosso, ma senti anche che non c’è tenerezza. Quella tenerezza che può darti invece una mano sola.
Avrei voluto spiegarlo a Mirko, ma quelle parole non sono mai riuscita a dirle, frenata dal pudore del suo dolore e dalla vergogna del mio. Lui, però, lo ha scoperto con l’aiuto di Maria.
Sono passati a trovarmi di recente. Mirko aveva in braccio il loro bimbo di pochi mesi e nella sua mano bionica teneva quella di Maria. Sorridevano felici come prima che succedesse quella che era sembrata la fine del loro mondo.
In questo tempo, anch’io ho capito tante cose.
Alessio è stato sempre occupato. Ha studiato molto e questa sera darà il suo concerto. Le sue mani faranno l’amore con la tastiera ancora una volta e come sempre.
Io, invece, non assisterò mai più a questo spettacolo.
Gliel’ho detto, mentre andavo via, ma non credo mi abbia dato ascolto. Con una mano ha continuato a contare il tempo solfeggiando, mentre con l’altra mi ha fatto cenno di non disturbarlo.
Ciao Ester,
ti faccio i miei complimenti per la tua bravura, per la tua capacità di tenere le fila di due storie (struggenti e potenti) che paiono procedere parallele, ma che convergono formandone una sola, molto piacevole da leggere. Il tuo è un racconto che pare perfino avere una sua melodia: riesci a far vedere le mani di Alessio che scorrono sulla tastiera, componendo quasi la colonna sonora di queste due storie. Mirko è un personaggio davvero bello, di una dolcezza che fa lacrimare gli occhi, mentre la protagonista invita ad entrare nel suo mondo, a rattristarsi con lei per il suo paziente e ad immalinconirsi per la fine della sua storia. Davvero brava!
Bel racconto Ester, complimenti!. Un’amputazione che diventa motivo di presa di coscienza e su tutto la speranza dell’amore che risana. Sono stata testimone di una storia simile, in ospedale, e lo farei leggere a chi ha vissuto o si prepara a vivere situazioni analoghe. Darebbe davvero molto conforto.
Ester,
una vicenda che lega a doppio nodo due storie d’amore dai risvolti totalmente opposti.
I sentimenti combattuti e contrastanti della dottoressa vengono affrontati con una padronanza e ricercatezza del linguaggio che conferisce al racconto un’incredibile forza narrativa.
Veramente bello e molto originale.
Brava Ester, la mancanza pur terribile aiuta a capire, grazie per la poesia con cui ci ricordi come anche dal dolore possa nascere qualcosa, per Mirko e Maria è una forza nuova e un amore più consapevole e profondo, per la nostra dottoressa, finalmente una rinascita.
Carola, Consuelo, Lorenzo, Claudia, vi ringrazio davvero. Nella confusa vita quotidiana, lasciamo spesso che i giorni trascorrano nella loro “anonima normalità”. Il tempo passa, ci interroghiamo poco, ci facciamo bastare quello che abbiamo senza combattere per miglioralo o cambiarlo. Invece, dopo eventi drammatici, in cui della vita precedente rimane ben poco, ho assistito a rinascite difficilmente immaginabili. Lo aveva detto Dante, no? L’Amore – quello per la vita, per il suo senso, per se stessi e per gli altri – “move il sole e l’altre stelle” …
Bellissimo Ester. trasmette tanto amore quella mano. Ogni donna vorrebbe sentirsi tenuta stretta nella mano bionica di Mirko. E invece spesso sei invisibile come quando trovi il coraggio di dire finalmente quella cosa, e una mano distratta e lontana ti fa cenno di non disturbare. Complimenti! Bravissima!
Grazie Silvia, è proprio così: una storia che capita spesso. L’essere invisibili, scontati, non presi sul serio nemmeno quando dici quella cosa lì… Ma, esistono anche tanti Mirko e Maria che aiutano a credere nel miracolo della vita!
Davvero brava Ester, complimenti. Il tuo racconto, col suo ritmo lento e l’ andatura rilassata, desta l’ attenzione del lettore sin da subito. E lo fa con garbo. Credo che a ognuno, prima o poi, capti di essere spettatore o spettatrice del disamore dell’ altro o altra e questa lentezza, nel finale della storia, ne è tipica e somiglia alla rassegnazione. E così come e’ ” palpabile ” l’ amore, cosi’, ci racconti tu, è palpabile il disamore, E non servono mani per sentirlo. Ancora una volta brava.
C’è una galassia di sentimenti ed emozioni nel tuo racconto, tracciati con la delicatezza e garbo di chi sa di confidare qualcosa di prezioso ed in ..buone mani!Complimenti Ester!
Gloria, Elisa! Vi ringrazio davvero tanto. Sono contenta di essere riuscita a trasferire emozioni, a far “sentire” ciò che vivevano i miei personaggi: il cambiamento e la rivoluzione personale senza troppo clamore esterno. Può succedere anche così.
Bellissimo racconto, ti entra dentro. Finto di leggere vibri dall’emozione, vibri come una corda di violino a ritmo e con la forza di ogni singola parola.
Grazie Giangiacomo, veramente grazie…
Ester sei bravissima! Racconto splendido, un intreccio di sentimenti attraverso un intreccio di storie e ovviamente di mani.
Stile elegante, soggetto originalissimo, risultato affascinante. Complimenti tanti tanti!
Ester, il tuo racconto è decisamente fra i miei preferiti di questo concorso! Notevole lo sviluppo della trama, l’intreccio delle due storie e la loro perfetta simmetria (un vero contrappunto, anzi!). Toccanti e incisive le riflessioni della protagonista. Asciutto ed efficace lo stile. Bravissima, un vero gioiello!
Ester, due storie che sono un’unica storia, quella dell’io narrante che va acquisendo consapevolezza dei propri bisogni e della propria solitudine. Difficile acquisizione, espressa da un linguaggio a tratti scabro e ispido, ma venato di una profonda malinconia.
molto piacevole la lettura….scivola via,ma resta qualcosa.
Grazie Ester per le tue parole, per la delicatezza con cui tratti l’argomento, direi con il tatto del cuore più che delle mani…
Bellissimo racconto!
Anna
Anna, Michela, Paola, Giada, Gianluca vi ringrazio davvero tanto della disposizione all’ascolto intimo di ciò che ho cercato di dire attraverso la mia narrazione e delle vostre considerazioni
Proprio bello Ester cara. Proprio bello. Delicato e intenso, con tanto spazio per le emozioni, che si trasmettono cortocircuitando occhi e cuore.
Grazie Max, grazie davvero anche a te, alla tua lettura, alle tue parole
Sentire il peso e aspettarsi il sollievo. E arriva il sollievo, arriva triste come può essere triste la consapevolezza di una mancanza. Potere della parola
Solo ora riesco a leggere questo racconto, molto bello. Chi ha due mani nega carezze, chi ha carezze da dare non ha… mano. E’ una profonda metafora di tante questioni che riguardano la vita e l’amore. Che dire: complimenti!
Ester, anche per me il tuo è uno dei racconti migliori.
La protagonista si trova costretta a operare una doppia amputazione, e forse è persino più doloroso dover recidere i fili di una storia con troppi nodi che, nonostante tentativi e speranze, non è riuscita a sciogliere.
Come tutti gli incontri nella vita, l’aver incrociato Mirko è determinante perché viene riconosciuto il messaggio che porta a questa straordinaria dottoressa che onora la sua professione, perché, se per altre si parla di missione, questa è una vocazione.
Grazie Ester. Bravissima.
Cara Ester, mi dispiace immensamente non vederti fra i vincitori. Il tuo racconto era fra i miei prediletti e ritengo tuttora che abbia una marcia in più. Ti ringrazio per averlo condiviso con tutti noi, e mi auguro di poterti rileggere presto perché sei davvero brava.
Letizia Baracchini, Silvia Schiavo, Marcella Cassisi, scusatemi, sono rimasta un po’ indietro con i ringraziamenti per le belle parole che avete avuto per il mio racconto. Ma non è troppo tardi, spero.
Giada Guassardo, un grazie bis un po’ speciale a te!
Certo, vincere sarebbe stato fantastico, sciocco negarlo, no? Ma partecipare lo è stato comunque. Essere riuscita a suscitare emozioni in chi non mi conosce e mi legge e commenta senza “l’occhio dell’affetto” è per me una vittoria!
Faccio i miei complimenti e un in bocca al lupo a tutti i vincitori.
Cinque sono miei amici e sono felice per loro, così felice che cercherò di esserci anch’io alla premiazione.
Così conoscerò anche gli altri, forse non tutti, ma molti!
Bravi ragazzi, sono fiera di aver concorso insieme a voi!