Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Etichette di lavaggio” di Consuelo Consoli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

L’armadio di chi non c’è più va svuotato altrimenti blocca chi rimane con il suo carico ingombrante di cappotti completi sciarpe, in agguato con i loro sentori di profumi svaporati. Attenzione agli armadi degli assenti, possono tramortire: basta far scorrere un’anta per inciampare nei ricordi. Una sensazione che non è astratta, ma tattile olfattiva visiva, in grado di penetrare profondamente e saturare fino ad annientare la volontà.

Marco non si decide a liberare il suo armadio, rimanda sempre, come se posticipando, potessi ripensarci e cambiare idea. Ma io non sopporto più l’idea dei suoi abiti vuoti, attaccati ai ganci come carcasse di animali macellati. Lo svuoterò io, in apnea, a occhi chiusi, paludata in guanti spessi. Userò ogni precauzione per salvarmi dagli attacchi di rimpianto.

Inspirare ed espirare è stato facile. Ho finto di prepararmi a un’immersione prolungata, fino a quando non ho sentito gli alveoli saturi di ossigeno e quella leggera ebbrezza che ne segue l’accumulo.

A occhi chiusi brancolo verso il fermo che chiude la sua cabina armadio. Non ho indossato i guanti, mi tolgono sensibilità e inoltre quelli adatti, un paio in camoscio e pelliccia, mi ricordano lui e la settimana trascorsa insieme a Courmayer. Me li regalò per proteggermi dai geloni, al solo vederli ho sentito sulle falangi il calore del suo fiato che ne intiepidiva l’interno prima di aiutarmi a metterli.

Sono ancora in apnea mentre lascio scorrere l’anta in pesante massello di noce che si arresta sui cardini con un cigolio di rimbalzo.

Gli odori non possono contaminarmi, ma non sono preparata alla carezza del cashimire dei suoi maglioni, la prima cosa che le mie mani sprovvedute incontrano impilati sui ripiani.

Barcollo e non solo per effetto dell’apnea, è l’assedio dei ricordi a sottrarmi equilibrio e stabilità. I ricordi non si lasciano ingannare da manovre difensive: sono eserciti schierati. Hanno fanti, cavalieri, tiratori scelti addestrati ad espugnare.

Riapro gli occhi e lo rivedo come in certe mattine lontane: l’asciugamano avvolto sui fianchi, le stille d’acqua che rigano ancora la sua schiena, dopo la doccia.

Ripeteva sempre lo stesso gioco: scuoteva gli abiti appesi per decidere quale indossare. La scelta sarebbe caduta su quello che avrebbe smesso per primo di oscillare. Trovavo divertente quel suo modo di affidarsi al caso. Ai tempi non masticavo ancora l’amarezza della doccia non condivisa, mi dicevo che prima o poi sarebbe successo. Solo ora, mentre osservo i suoi vestiti, mi rendo conto che di casuale non c’era nulla. Era lui a imprimere la spinta.

Bisognerebbe fare delle incursioni negli armadi delle persone che si vogliono conoscere. Rastrellare ogni scomparto, aprire tutti i cassetti, frugare nella loro biancheria intima e fra i calzini. Si può scoprire molto di più di loro osservando il modo in cui sono riposte le cinture o sistemati i foulards, che ascoltandone i discorsi. C’è chi ama appendere gli abiti lasciando uno spazio eccessivo tra l’uno e l’altro, in un isolamento quasi glaciale che ne impedisce il contatto. Sono le persone troppo piene di sé per permettere agli altri di accorciare le distanze di sicurezza. Si sentirebbero contaminati dalla mescolanza di colori. Prediligono stare un gradino più in alto, su un pulpito virtuale dal quale somministrano pillole della loro arroganza, presentandole come panacea. Invadenti e persuasivi raccolgono consensi con la stessa voracità con la quale si allunga una mano verso un cesto di ciliegie. Mai sazi, mai soddisfatti.

Adesso che osservo i vestiti di Marco, capisco le affinità che lo legano a mia madre. I suoi vestiti sono rigorosamente separati, così come faceva lei.

Da piccola trascorrevo ore infilata nell’armadio di mia madre, mi aiutava a sentire meno la sua mancanza. Accarezzavo i suoi abiti, rigidi e infilzati nelle grucce come mummie.

Lei non c’era, poteva trovarsi a Roma, Milano, Firenze, a presentare la sua ultima creatura – così definiva i suoi libri – , a dispensare le sue pillole di presunzione.

Sola, nella casa che neppure la presenza costante di Anna riusciva a scaldare, mi ritrovavo tra i suoi abiti, scostavo un lembo delle fodere protettive che li ricoprivano come sudari, li annusavo. Il loro profumo a volte placava il vuoto della sua assenza, ma tante altre mi esasperava, facendomi scoppiare in pianti nervosi e incomprensibili.

Poi un giorno quel rito inutile, quella solitudine abitativa e dell’anima esplose in uno scatto imprevedibile: mi arrampicai su una sedia e presi a scuoterli quegli abiti, tentando di risvegliarli dalla loro letargia, di annullare quella distanza che mi respingeva. Li addossai l’uno all’altro, ne feci un unico involucro e mi ci appesi. Crollarono sulla base dell’armadio formando un cumulo. Mi ci addormentai sopra rannicchiata sopra: un gomitolo, incurante delle coperture rigide che incidevano la mia pelle tenera di bambina.

Fu lei a ritrovarmi in quella posizione il mattino dopo. Era appena rientrata da uno dei suoi ennesimi viaggi.

Il trolley rosso laccato si arrestò dietro la porta spalancata con un sussulto. Anche lei sussultò nel vedermi sormontare quella montagna di stoffe come una virgola fuori posto. Aprii gli occhi preoccupata che mi rimproverasse invece fece cenno ad Anna, che dietro di lei trascinava un secondo trolley, ancora più voluminoso dell’altro, di fermarsi. In silenzio si accovacciò accanto a me, adagiò la mia testa sul suo petto e rimase immobile a sorvegliare il mio respiro.

Quando mi risvegliai dormiva e io avevo fatto overdose del suo profumo.

Non sono state molte le volte in cui mia madre è riuscita a stupirmi e spiazzarmi, ma quando è successo lo ha fatto in modo assoluto. Marco invece è sempre rimasto coerente alla sua volontà di separare ed escludere. Non avrebbe risposto che non aveva nulla da dirmi la sera nella quale scoprii il suo tradimento.

Con un unico movimento agguanto i suoi vestiti, lasciandoli scivolare sul letto, poi è la volta dei cappotti e delle giacche. Insieme compongono un unico groviglio monocromatico di stoffe, degradante dal blu intenso all’azzurro chiaro. Il suo colore, diceva, forse perché smorza il rosso selvaggio dei suoi capelli che per lui è sempre stato causa di imbarazzo.

Dopo ancora tiro fuori i pullover, le camicie con i pretenziosi monogrammi ricamati sui polsini, le sciarpe, i foulards, le scarpe, i completi sportivi: tennis, golf, equitazione… passioni che ha coltivato per periodi più o meno lunghi e che gli sono serviti a guadagnarsi le simpatie e favori di persone influenti per il suo lavoro come l’aiuto più anziano o il suo primario.

Bisogna competere con garbo, mi confidò una volta , lasciando all’avversario la possibilità di vittoria.

Una dichiarazione che allora accolsi con indifferenza, ma che adesso, nel corso di questo inventario accidentale, mi stordisce con i suoi risvolti impliciti.

Le sue, dunque, sono state solo strategie? Se non fossi stata la figlia di Giovanni De Luca si sarebbe interessato lo stesso a me, o sono stata funzionale ai suoi piani?

La camera da letto adesso è un campo di sterminio dopo la battaglia. I dubbi scalzano i ricordi, avanzano con la spavalderia delle truppe di rinforzo.

Annaspo tra le stoffe, sforzandomi di concentrarmi su qualcosa che mi distolga. Rivolto un maglione, ne leggo l’etichetta: lavare separatamente, non esporre alla luce diretta del sole, non stirare.

È questo dunque l’amore, un’etichetta che invita a rispettare le istruzioni di lavaggio? Non sgualcire, non usare acqua, non esporre… più gli amori sono fragili e precari, più sono costellati di divieti.

Sono stata io con le mie aspettative, la mia intransigenza, le mie pose da ragazzina in carenza cronica di affetto a lasciare striminzire e infeltrire il nostro amore e fare in modo che lui trasgredisse le avvertenze?

E se Laura Simonelli con i suoi abiti attillatissimi e smaglianti non fosse apparsa, oggi saremmo ancora insieme?

Domande stupide a cui nessuno risponderà.

Sigillo tutto nelle valigie e le trascino fino alla porta d’ingresso. Se entro stasera Marco non si farà vivo, lo chiamerò io.

 

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16 commenti »

  1. Consuelo,

    la prima cosa che mi ha colpito è stata l’originalità della struttura che hai scelto: il racconto prende le mosse dalla piccola anta dell’armadio di Marco, per poi coprire l’intero mondo della protagonista, le sue paure, i suoi ricordi, i suoi sogni infranti.

    Inoltre, la tua capacità di parlare per metafore è impressionante: stupenda quella sull'”etichetta dell’amore”.

    Davvero bello e ben riuscito.

  2. Sì, ci sono molti alfabeti intorno a una persona, e il guardaroba è uno dei più efficaci. Efficace come questo racconto, struggente e spietato allo stesso tempo. Molto bello 🙂

  3. Grazie Lorenzo e Ugo per avermi dedicato del tempo. Dai vostri commenti capisco che siete entrati nello spirito di quello che volevo esprimere. La scrittura per me non dev’essere semplice cronaca ma regalare suggestioni, occhi nuovi per vedere e percepire. Il fatto che abbiate colto questa mia ricerca mi conforta e stimola a proseguire in questa direzione.

  4. Che bel racconto, Consuelo. Mi è piaciuto moltissimo, sia ciò che racconti che il modo in cui lo fai con il linguaggio ricco e suggestivo ma diretto. Anch’io credo che gli oggetti abbiano una vita, soprattutto gli abiti, che si impregnano di noi. Bella anche la metafora dell’armadio come specchio del carattere (chissà csa ti direbbe il mio, con i maglioni impilati e i vestiti pressati l’uno sull’altro, un giorno metto a posto dico sempre, ma anche se lo faccio il disordine regna sovrano!…).
    Complimenti!

  5. Bello, bellissimo questo tuo racconto che accenna alla delusione, al senno di poi, che ci parla di nostalgia. E come rende bene la parola ” apnea “. E che brava sei stata a mettere insieme tutte le altre, quasi fossero i vagoni di un treno che portano il lettore davanti ai propri cassetti e armadi da svuotare. Sarà che hai colto un mio punto debole, Consuelo, sarà che scrivi bene, ma questo racconto mi piace.Complimenti.

  6. Grazie Gloria e Ivana, felice che il mio racconto vi sia piaciuto.

  7. Bravissima! Prospettiva originale è geniale di spiegare l’animo umano.
    Stile fiero, solido e al contempo leggero.
    Racconto di spessore emotivo attraverso il magico filtro delle sensazioni tattili olfattive che scatenano l’emozione.
    Complimenti!

  8. Un racconto che si insinua nella mente del lettore con una forza che cresce a mano a mano che si procede nella lettura. Sveli l’anima dei tuoi personaggi proiettando l’immagine nitidissima dei loro armadi. Ad un certo punto ci si sente davvero tra grucce, giacche, maglioni e pantaloni. Solo alla fine se ne emerge. Hai usato delle metafore incredibilmente forti e sorprendenti. Complimenti!

  9. Una metafora originale per la personalità e il modo di porsi, alla fine tutto ci rispecchia e siamo forse più veri quando non sappiamo di essere osservati…una bella riflessione e una buona lettura!

  10. Ciao Consuelo, ho letto il tuo racconto e mi è piaciuto. Svuotare un armadio degli abiti, dei ricordi di una persona che hai amato è come tagliarla fuori dalla tua vita, ma a volte deve essere fatto.

  11. Complimenti per questo intenso racconto che ho letto con curiosità poiché l’armadio e i vestiti in esso contenuti sono stati solo un pretesto per esprimere bene sentimenti contrastanti… inoltre anch’io ho pensato ai miei vestiti pressati nell’armadio! E non solo…

  12. Ciao Consuelo, bello il tuo racconto. Ci vuole coraggio a separarsi dal passato. Svuotare l’armadio, fare pulizia costa un passaggio obbligatorio nell’inferno dei ricordi, delle sensazioni, dell’assenza che fa male. Ma solo così potrà entrare il nuovo… anche nella vita.

  13. Spiazzata compiaciuta disturbata; poi mi sono riconosciuta. Buono il ritmo narrativo ed efficace il messaggio che arriva liberandosi dai meandri di ciò che si conserva nascosto per pudore, per paura e talvolta anche per pietà.

  14. Molto brava Consuelo. La storia è di un addio con molte domande ma una sola importante certezza: andare avanti. Si fa spazio al nuovo quando non ci si aggrappa al vecchio che in questo caso è un guardaroba, idea grandiosa. Bella la digressione sul rapporto con la mamma che è il primo e più importante nella vita. Argomenti importanti raccontati in modo godibilissimo.

  15. Ciao Consuelo. Concordo con diversi dei commenti precedenti: mi pare notevole la tua capacità di usare metafore e similitudini. Ho apprezzato molto, ad esempio, l’immagine della camera da letto come un campo di battaglia: quegli abiti sparpagliati, che sembrano quasi corpi abbandonati dalla vita.

  16. “Attenzione agli armadi degli assenti, possono tramortire: basta far scorrere un’anta per inciampare nei ricordi. ”
    Questa è solo una delle frasi che mi hanno colpita in questo racconto. Il fatto è che la tua capacità di parlare per similitudini dà al tutto un senso più universale. La mia sensazione è che parlare di tradimenti e di abbandoni possa spesso far calcare un po’ troppo la mano, scivolando nel patetico o nella retorica: invece questo tuo modo di scrivere non solo evita questo pericolo, ma eleva questo racconto da una storia “per singoli individui” a un racconto “universale”.

    Questa caratteristica del tuo stile mi ha davvero impressionata! Brava, davvero 🙂

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