Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Shulug, il vento caldo” di Elena Solito

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Faceva caldo, un caldo insopportabile.

Una leggera pioggia contribuiva a far alzare il livello di umidità ormai intollerabile. La maglia di cotone leggera era appiccicata alla pelle sudaticcia. I capelli disordinati incorniciavano quel volto magro. Intorno il silenzio delle strade nel pomeriggio dell’estate.

Era impossibile uscire. E allora sarebbe rimasta in quella stanza d’albergo aspettando che si avvicinasse la sera per andare a curiosare fuori.

Indisturbata, schivando coloro che l’avrebbero fermata, riconoscendola come una straniera, alla quale proporsi come guida della città con mezzi improbabili per pochi soldi.

Avrebbero fatto questo.

Qualche goccia, sul vetro di quella finestra socchiusa, scivolava lentamente rimbalzando ad intervalli regolari, interrotta solo dal suo sguardo su quell’orologio fermo sulle 14.00. Le lancette si erano bloccate e nessuno si era preoccupato di farlo ripartire. Non era indispensabile avere un orologio.

Il tempo di quel pomeriggio torrido era scandito da quella goccia, che scivolava dalla finestra rimbalzando per terra. Una stanza spoglia, priva di cose, priva di arredi degni di nota, solo un orologio con le lancette bloccate.  Una stanza pagata pochi soldi in un angolo di quella città, che non aveva ancora visto per via di quella calura.

Avrebbe dovuto attendere ancora avvolta nella maglia di cotone leggera madida di sudore, con i capelli disordinati che incorniciavano quel volto magro.

E lentamente, quell’attesa si allontanava lasciando alle spalle il caldo del pomeriggio, l’umidità e quella pioggia sottile. Ecco, si avvicinava la sera.

Prima della cena.

Si era seduta in fondo su un muretto aspettando di poter fermare una scena, uno sguardo, una figura. Aveva visto un brulicare di gente dai vestiti colorati e dalle teste coperte da bizzarri copricapo, che chiacchieravano e camminavano veloci.  Quella fretta apparente stonava con il silenzio del pomeriggio. Aveva notato questo. La fretta e i copricapo bizzarri. Ne avrebbe comprato uno simile anche lei, di lì a poco. Per ripararsi dal sole e dagli sprazzi di pioggia improvvisa di quella stagione. Durava poco. Durava pochi minuti, giusto il tempo di bagnare gli abiti e i piedi nudi infilati in quelle ciabatte colorate. Poi tornava il sereno. I vestiti erano sempre bagnati nel pomeriggio per via del caldo e quando pioveva per via della pioggia.

Prima della cena.

Sarebbe uscita a quell’ora. Camminava lentamente schivando guide improvvisate per pochi soldi, che con mezzi improbabili, le promettevano una visita indimenticabile della città. Ma avrebbe proseguito a piedi con la cartina in mano.

Si era fermata ad un incrocio non sapendo quale direzione prendere.

Accade spesso. Accade di dover scegliere da che parte andare. A volte si segue un programma, a volte si segue semplicemente l’istinto. E allora bisogna scegliere se seguire una strada che unisce o che separa.  Labirinti nei quali perdersi…o talvolta ritrovarsi.  Per un momento, in quel tardo pomeriggio, un po’ più lontani dal torrido caldo e un po’ più vicini alla frescura della sera, i pensieri si erano accavallati, confusi, mescolati gli uni agli altri, non lasciando spazio al riconoscimento alcuno.

Il copricapo era troppo grande e le cadeva sul volto coprendole, a tratti, gli occhi. Lo aveva pagato pochi soldi, comprato in uno di quei mercatini colorati, pagato più del suo valore effettivo. Ma cosa importava. Quel fatto era nulla, rappresentava un fatto, ecco. Come camminare in una strada sconosciuta e non sapere dove andare, o quale direzione prendere.

Lo aveva visto qualche giorno prima. Lo aveva notato il giorno del suo arrivo, ma aveva distolto l’attenzione. Era troppo presa a cercare se stessa in quelle strade polverose. Lo aveva guardato quella sera. Aveva visto i suoi occhi. Occhi blu. Occhi bellissimi che cambiavano colore a seconda del tempo. E questo lo sapeva perché da quella sera avrebbe iniziato a guardarlo. Avrebbe iniziato ad osservarlo camminare tra i corridoi del piccolo albergo, nella sala da pranzo al mattino e nel giardino dove servivano la cena alla sera.

Era solo. Sembrava fosse lì anche lui per la stessa ragione. Ma quale fosse, lo avrebbero scoperto solo più tardi.  Sorrideva a tutti. Sembrava gentile. Un giorno gli aveva sorriso e lei aveva risposto arrossendo un pò. Perché era arrossita? Non era stato per via del sole del pomeriggio. No, il motivo da ricercare altrove.

Lo aveva capito quel giorno, per caso.

Lui l’aveva salutata e aveva scambiato poche parole. Aveva iniziato a parlare e aveva scoperto che quell’uomo così silenzioso e solitario in realtà era un fiume in piena. Era un libro aperto attraverso il quale leggere pagina dopo pagina scoprendo che la storia che scorreva era appassionante.

Aveva guardato i suoi occhi, poi si era spostata i capelli dal viso, e mentre quel semplice gesto avveniva, riempiendo quello spazio di tempo, ecco che lui le aveva detto che certe volte le persone sono davanti a te ma non le vedi. Guardi altrove, semplicemente. Non riconosci che quello che hai sempre cercato è davanti a te, basta solo che lo guardi, che permetti a quella forma di definirsi. Ecco, come adesso.

E allora aveva guardato quella donna e aveva riconosciuto la donna che aveva sempre cercato. Alcuni erano molto fortunati da incontrarla e riconoscerla. Altri potevano essere abbastanza fortunati da incontrarla.. ma non vederla. Di altri si può dire che non la incontreranno mai.

Avevano lasciato che il loro destino si delineasse, prendesse il sopravvento sulle ragioni e le elucubrazioni della mente, e potesse toccare il cuore…e a volte questo può bastare. Sarebbe bastato, sarebbe stato sufficiente per lasciare che quell’incontro potesse assumere la forma di una storia, di un amore.

Ecco semplicemente questo.

Una leggera luce attraversava la finestra socchiusa, mentre il buio della notte oscurava la città. Le pagine di quel libro lasciato distrattamente sul comodino si muovevano lentamente generando un fruscio leggero.

Era shulug, il vento caldo.

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2 commenti »

  1. Grazie per avermi portata lontano.

  2. Crei una bella atmosfera e il racconto si legge con piacere. La parte finale forse è un pò frettolosa, l’incontro con lo sconosciuto avrebbe meritato più spazio. Ciao. Tiziana

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