Premio Racconti nella Rete 2017 “Mors Muliebris” di Piero Poleggi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017MORS MULIEBRIS
(NOTE ESPLICATIVE
Il racconto è ambientato a Civita Castellana, la città dell’autore, e contiene elementi di fantasia ed elementi storici. Questi ultimi sono:
– Negli anni indicati Mons. Francesco Maria Tenderini era effettivamente il Vescovo della Diocesi di Civita Castellana;
– La toponomastica è quella dell’epoca. Oggi molti nomi sono cambiati;
– Gli anni indicati sono effettivamente coincisi con lavori di ristrutturazione della Cattedrale di Civita Castellana.
– A 6 km da Civita Castellana, esiste effettivamente una città romana, Falerii Novi, che venne progressivamente abbandonata dal IX secolo in poi ed utilizzata come luogo di approvvigionamento di materiali edilizi per la risorgente Civita Castellana.
– Ancora oggi esiste, nel transetto della Cattedrale, un altare dedicato alla Madonna della Luce, un ritratto della Vergine con Bambino, risalente al 1400, ed appunto rinvenuto durante i lavori di ristrutturazione settecenteschi.)
Alla Illustrissima Eccellenza
Monsignor Francesco Maria Tenderini
Vescovo di Civita, Orte e Gallese
Presso Sede Vescovile
In Civita Castellana, addì 18 di Luglio 1738
Eccellenza Reverendissima,
sono quanto mai contrito di doverLa di nuovo distogliere dalle incombenze pastorali che gravano sulle Sue spalle, ma col presente dispaccio sono a farLe presente un avvenimento, purtroppo infausto, verificatosi nel cantiere della cattedrale, cui Ella mi ha incaricato di sovraintendere.
Come la S.V.Ill.ma sa, sia de visu che per mio tramite, dopo la miracolosa invenzione che tanto ci rallegrò, di una porzione di affresco raffigurante Maria Santissima con il Sacro Infante, sortito l’8 Luglio dallo scavo del pilone orientale, in corso di escavazione nella Fabbrica della Cattedrale, si è venuto a formare un alto cumulo di detriti da scavo, che gli operai hanno ammassato nella prima navatella di sinistra.
Secondo l’incarico che Ella mi ha conferito, di concerto con il Mastro Architetto, stamane dopo Lodi, ho aperto come ogni giorno gli ingressi alla cattedrale, ormai trasformata in un unico cantiere. Apprestandomi poi ad aprire gli ingressi posteriori dell’abside la mia attenzione è stata richiamata da un garzone che gridando mi indicava il cumulo di detriti. Avvicinatomi, i miei occhi hanno riconosciuto una calzatura da donna che spuntava da sotto una pila di spezzoni di mattoni. Ho quindi fatto far largo agli operai tra quell’ammasso di mattoni e, pian piano, è apparso il corpo di una donna, coperta di sangue mista a calce. Dopo aver recitato il Pater vita et spes nostra, in suffragio di quella povera anima, ho spedito il garzone a supplicare il Podestà che mandasse urgentemente un Auditore, per segnalargli il fatto e per fargli visionare la povera salma. Nella stessa mattina, si è presentato l’Auditore Jacopo Moroni, con due birri di scorta, il quale dopo aver guatato a lungo il corpo e le ferite che presentava, ha dato incarico ai birri di portare via il cadavere, avvolto in un sudario che avevano portato seco. Lo stesso Moroni mi disse che il corpo sarebbe stato provvisoriamente deposto presso l’Hospitale de’ Pellegrini, subito fuori della Porta del Carmine, sulla strada che conduce al fondo della Valle del fiume Treja, per il riconoscimento e in attesa della sepoltura.
Tanto, per ora Le dovevo, in ragguaglio di quanto avvenuto e, raccomandandomi alle Sue preghiere, mi professo
Suo dev.mo servo
Frate Benigno da Carrara ofm
Al Rev.mo Padre Benigno da Carrara
presso il Convento dei Frati Minori
di San Clemente in Civita Castellana
Civita Castellana, addì 18 di Luglio 1738
Buon Padre Benigno,
la sua solerzia e la sua puntuale osservanza ci confermano nella scelta che operammo nel nominarla a sovrintendere i lavori di restauro e di novello ornamento della nostra amata chiesa cattedrale. Ciò che lei col suo dispaccio ci comunica ci rattrista enormemente ed abbiamo già provveduto alla celebrazione di una Missa Pro Defunctis in suffragio di quella povera anima il cui corpo inveniste nel cantiere. La preghiamo ora di interessarsi presso il Podestà per sapere chi ella fosse, se lascia famiglia o figli e cosa possa averla ridotta in tal miserando modo. Non vorremmo far mancare preghiere e sostentamento ai suoi cari. Nell’attesa, di cuore le impartiamo feconde benedizioni.
Franciscus M. Tenderini +
All’Illustrissimo Signore
Giovanni Pacini
Podestá di Civita Castellana
Palazzo del Popolo
Civita Castellana, addì 19 di Luglio 1738
Illustrissimo Signore,
mi rivolgo a Lei su incarico del Nostro Monsignor Vescovo, riguardo l’increscioso invenimento del corpo di una donna, ferita a morte e sepolta all’interno del cantiere della nostra Cattedrale. L’illustre presule chiede per mio tramite se la poveretta abbia un nome, una famiglia o se lasci qualcuno vedovo o orfano, cui la carità cristiana ci impone di provvedere. Nell’attesa di sue nuove, che potrà inviarmi presso il Convento dei Frati Minori di San Clemente, Le porgo i miei più fraterni saluti in Cristo.
P. Benigno da Carrara ofm
Al Rev.mo P. Benigno da Carrara
appresso il Sacro Convento dei Frati Minori
Piazza San Clemente
Civita Castellana addì 20 di Luglio 1738
Reverendo Padre,
mi scuserà se ho fatto passare un giorno dal ricevimento della Sua domanda di informazioni sulla donna trovata morta nel cantiere della Cattedrale, ma ho dovuto aspettare che, oltre alla mia, anche il medico dell’Hospitale terminasse la ricognizione dello straziato corpo. Non vorrei proprio, per il rispetto che si deve ai defunti, riportarle quanto è emerso, in quanto è materia per stomaci forti, pur tuttavia esaudirò le Sue richieste e quelle dell’Illustrissimo Signor Vescovo. Va detto anzitutto che la donna appare essere stata uccisa da ripetuti colpi di un arnese in ferro, forse una mazza, che le hanno sfondato il cranio e la faccia oltre che il petto e la schiena. Insieme al sangue fuoriuscito da tali ferite, abbiamo rinvenuto sul suo cuoio capelluto frammenti di comune vetro da bottiglia. Oltre alla singolare presenza di calce spenta sugli indumenti, la donna presentava gli effetti di un altro singolare atto di violenza: i lobi delle sue orecchie apparivano aperti, come strappati da qualcuno che le avesse ghermito degli orecchini. C’è poco altro da aggiungere. Per ora la donna non ha ancora un nome, ma a giudicare dallo stato delle sue ginocchia e delle sue mani, non credo di allontanarmi dal vero se ipotizzo che esercitasse il mestiere di lavandaia. Queste le tristi nuove. Porgo a Lei e al nostro Signor Vescovo i miei più ferventi ossequi e mi firmo, Suo
Giovanni Pacini, Podestà di Civita Castellana
Alla Illustrissima Eccellenza
Monsignor Francesco Maria Tenderini
Vescovo di Civita, Orte e Gallese
Presso Sede Vescovile
Civita Castellana, addì 20 di Luglio 1738
Eccellenza Illustrissima,
come da Lei comandato ho assunto quante più informazioni si potesse sulla donna trovata cadavere nella Cattedrale, sia tramite il Podestà che, attraverso lui, l’Hospitale de’ Pellegrini, sulla via che porta alla Valle. Non ho cuore a ripetervi i particolari fornitimi dal Sig. Podestà, per la loro crudezza ed efferatezza. Brividi d’angoscia e di pietà mi attanagliarono alla lettura di quanto mi veniva riferito e francamente mi manca il coraggio a copiarne il contenuto, sia pure la Illustrissima Eccellenza Vostra. Le allego pertanto l’autografo originale inviatomi dal Podestà con la descrizione delle sevizie subite dalla poveretta, per la quale non smetto di pregare. Se avrò altre notizie sarà mia prima premura metterne la S.V. Ill.ma a conoscenza.
Mi segno Suo devoto servo
P. Benigno da Carrara ofm
Alla Illustrissima Eccellenza
Monsignor Francesco Maria Tenderini
Vescovo di Civita, Orte e Gallese
Presso Sede Vescovile
Civita Castellana, addì 24 di Luglio 1738
Eccellenza Illustrissima,
come promesso nella mia ultima missiva le riporto alcuni accadimenti che hanno gettato un po’ di luce, sia pur sinistra, sulle tristi vicende dei giorni scorsi, accadimenti che mi hanno visto parte in causa unitamente all’Illustre Signor Podestà. Come ricorderà, nella Sua cristallina devozione a Maria Santissima, Ella ha disposto che il frammento di affresco raffigurante la Vergine, invenuto giorni orsono, venisse esposto alla pubblica devozione su un provvisorio altare coperto di legno, che ogni giorno esponiamo sotto il portico della cattedrale. Intenso e devoto è il numero di fedeli che quotidianamente Le rendono omaggio, con fiori, ceri, preghiere, novene e doni. Non è cosa rara che tra questi doni alla vergine si contino gioielli ed altri tipi di preziosi, che noi raccogliamo nel Fundus Sanctae Mariae Virginis, in attesa che Ella ne decida l’utilizzo e lo scopo. Or dunque ieri intorno a mezzogiorno, mentre attendevo alla sorveglianza dei lavori all’interno della chiesa ho udito grida strazianti provenire dall’esterno. Precipitatomi fuori ho visto un capannello di donne attorno a una giovane, quasi in deliquio dal gran pianto e dalle alte grida che le sgorgavano dal petto. Tale giovane donna stringeva in mano due piccoli oggetti e li baciava e vi versava profluvi di lagrime. Dopo essere riuscito a fatica a calmarla un poco, la poveretta mi mostrò i due oggetti che stringeva in pugno. Trattavasi di due piccoli orecchini d’oro, semplici, composti da una sola sottile verga di metallo, interrotta in un punto per poterli indossare. I monili apparivano però incrostati di rosso scuro, quasi del color del sangue rappreso. Continuando a singhiozzare la donna disse di chiamarsi Mariana e mi spiegò che gli orecchini erano un regalo, tratto dalla sua dote, che aveva fatto non più di una settimana prima alla sorella, tale Assunta Pacifici, lavandaia pubblica, sposata con uno spaccapietre che lavora nella antica città diruta di Faleri a procurar materiali da costruzione e calce dal marmo, per tutti i cantieri edilizi che operano in Civita Castellana, compreso quello della Cattedrale. La sventurata mi disse di averli visti deposti in dono sull’altare della Vergine e di averli riconosciuti subito e, poiché i pettegolezzi sui funesti accadimenti dei giorni scorsi hanno attecchito come fuoco nelle stoppie tra il popolino, ha concluso che la donna morta potesse essere sua sorella che ella, madre di 4 figli, non riesce a vedere spesso. Essendomi anch’io insospettito col concomitare di tanti particolari, ho fatto chiamare il Signor Podestà che, magnanimamente, è intervenuto poco dopo sul posto e si è fatto ripetere tutto dalla donna. Nel frattempo gli operai della Cattedrale mi hanno confermato che lo spaccapietre, tale Maso di Tonio, più volte alla settimana riforniva di blocchi da costruzione e di calce il nostro cantiere ma che era appunto diversi giorni che non si faceva vedere. Me lo hanno inoltre descritto come uomo rude, violento all’occorrenza, beone, rancoroso e taciturno. In sovrappiù, Mariana, la presunta sorella della vittima mi andava narrando della vita grama, tra lavoro estenuante, percosse e accecata gelosia, che il marito destinava a sua sorella. Fattici dunque indicare la casa di Maso di Tonio, il Podestà con alcuni suoi birri, unitamente al Vostro servo che Vi scrive, ci si è recati nella Via Giulia ove trovasi la casa in questione. Non ottenendo alcuna risposta al poderoso bussare dei birri, il Signor Podestà dette l’ordine di abbattere l’uscio. Al centro della povera stanza che costituiva l’abitazione di Tonio e di sua moglie, penzolava, appeso per il collo, il corpo di un uomo, poi riconosciuto come il padrone di casa. Tutt’intorno regnava il caos: una mazza da pietra, visibilmente sporca di sangue, una pesante bottiglia rotta in frammenti, una balla di calce aperta e con tracce di sangue, ma sul pagliericcio che fungeva da letto, in bella mostra e ben sistemato, era deposto con cura un semplice abito bianco, immacolato, di quelli che le popolano sogliono indossare per le loro nozze, con la cuffia orlata da un merletto. Dalla folla che si era accalcata fuori della misera abitazione e che a stento i birri tenevano a bada, si fece venire la tremante Mariana, che si dovette sorreggere quando vide l’interno della casa della sorella, venendogli a mancare i sensi. Ripresasi poco dopo, anche grazie ad una buona dose di sidro di mele, fornito da un birro, ella riconobbe il cognato, impiccato con una panca ribaltata sotto i piedi e riconobbe l’abito da sposa di sua sorella, di cui lei aveva confezionato i merletti.
L’acume del Signor Podestà, unito ad un po’ di ragionamento fornito dal sottoscritto sembrano abbiano potuto ricostruire cosa possa essere accaduto. Con tutta verisimiglianza, qualche giorno prima Assunta era rincasata indossando gli orecchini donatigli dalla sorella. Tonio deve aver interpretato quel dono come un pegno di un amante o di uno spasimante e, in preda alla furia, aumentata dal vino in corpo, deve aver prima colpito la moglie con la grossa bottiglia i cui pezzi erano sparsi per tutta la stanza. Vista la moglie esanime e temendo di venir perseguito per averla uccisa, ha preso la mazza colla quale si guadagnava da vivere ed ha cercato di cancellarle i connotati accanendosi sulla sua povera testa. Nella sua ira cieca di marito tradito, non si è accorto di aver trascinato a colpi di mazza il corpo di sua moglie per tutta la stanza, rompendo anche una balla di calce, evidentemente pronta per la consegna. Poi, nottetempo, ha cercato di nascondere il corpo sotto al cumulo di terra più vicino e facilmente raggiungibile, quello della Cattedrale, appunto.
Ma poi, si sa, le sbornie, anche le più violente, passano e lasciano melanconia e pentimento. Tonio deve aver pianto sua moglie, maledetto il suo gesto, rievocati i tempi in cui erano teneri sposi, giungendo ad accarezzare persino il suo vestito da sposa e donando, infine, nascosto tra la folla, gli orecchini che nella sua furia le aveva strappato dalle orecchie, alla Madonna Immacolata, prima di tornare a casa e, vinto dal rimorso, uccidersi appendendosi ad una corda.
Un pover’uomo, un disgraziato, rovina di sé e di quella povera anima della moglie. E tutto ciò solo per un paio di orecchini e per la presunzione di “possedere” una donna, ancorchè moglie. Mi chiedo, e Le chiedo dunque Eccellenza, arriverà mai un tempo in cui i mariti non si sentiranno i padroni delle mogli ma, come comanda San Paolo, le ameranno come Cristo amò la Sua Chiesa, donando la vita per Essa? Non dispero. Il futuro sarà certamente migliore per le sorti dei matrimoni, così come vediamo progredire la civiltà in questo secolo che chiamano “dei lumi”.
Interrompo qui questa triste e forse troppo corposa narrazione, sperando che le Sue e le mie preghiere possano avere l’efficacia di favorire la fratellanza tra gli uomini e l’amore nelle coppie.
Mi segno, dunque, Suo dev.mo servo
Fra Benigno da Carrara ofm
La premonizione “il futuro sarà certamente migliore per le sorti dei matrimoni” assume quasi un aspetto sinistro alla luce dei sanguinosi fatti di cronaca di “mors muliebris”…
Interessante la forma epistolare e l’ambientazione storica.
La difficoltà di questo racconto era l’utilizzo di un registro linguistico appropriato:tu l’hai superata in maniera eccellente.
Complimenti davvero.
Era tanto che non leggevo un racconto epistolare, ed è stato un piacere farlo qui! Bella la lingua, che secondo me rievoca senza esagerazioni filologiche, giusto un sapore che aiuta a calarsi nello spirito.Il tema è di terribile attualità, la morale auspicabile e la certezza che Fra Benigno oggi resterebbe deluso mette una ciliegina amara sulla torta. Ma ci sta. Complimenti !
Molto bello,sono rimasto colpito.uno stile ricercato che si traduce in una narrazione fluida e piacevole,trasportando il lettore in un mondo antico.
Una ” cronaca” di un eleganza unica,nonostante il tema forte. Una struttura narrativa audace , un racconto affascinante. Tanti tanti Complimenti
Bellissimo! Adoro i romanzi epistolari. Stile molto elegante. E’ stato un vero piacere leggere il suo racconto. Complimenti.
Linguaggio dell’epoca ben riportato. Descrizioni accattivanti. Trasposizione nel passato del tema del femminicidio. Senza cercare un perchè. I perchè nel femminicidio e nell’omicidio in genere non esistono. Interessante la formula epistolare che, fatta tra autorità, non induce ad un’intimità maggiore ma che,comunque, sostiene la narrazione in modo adeguato.
Ciao Piero, racconto particolare. Una storia raccontata per corrispondenza. Bella idea.
Piero,
una ricerca lessicale, storica e toponomastica di spessore incredibile.
La trama, viva ed avvincente, si coniuga alla perfezione con il linguaggio arcaico e denso di ricami, facendo sì che la narrazione non venga appensantita dall’utilizzo di un idioma ormai desueto.
Stupenda la struttura epistolare e l’attenzione con cui ogni protagonista viene tratteggiato.
Bravissimo sul serio.
Colpita fin da subito dal titolo, è stato il primo racconto che ho voluto leggere, e non mi ero sbagliata. Lo trovo molto bello e ben reso. Prescindendo dall’argomento (che mi attrae e coinvolge), riunisce ciò che più mi piace delle letture: uno stile epistolare e un linguaggio antico.
Piero, storicamente e stilisticamente convincente. Bel lavoro!