Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Scarpette” di Carola Maselli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

È sola sul palco, sola dentro gli occhi del suo pubblico. Mentre cammina verso il centro, sotto le piante dei piedi sente i gemiti delle assi di legno, e quelli le entrano dentro, salgono lungo le sue gambe, le fanno stridere il respiro. Chissà se gli altri li sentono, il cigolio e il suo fiato. Cammina seguendo il loro ritmo. Tanto sono uguali. Quando si ferma, cade il silenzio. Dura un secondo, il tempo di battere le ciglia, il tempo di pensare che con quel suo tutù e quelle sue scarpette è un’eresia in quel posto, una blasfemia. Il pianoforte inizia a suonare subito dopo.

Sotto la gonna di tulle, sente le gambe nude, sente la pelle a diretto contatto con l’aria, quella che la accarezza ad ogni movimento. O forse è lei che si lascia toccare, si lascia sedurre, non si scosta più, non scaccia gli sguardi né le mani che si protendono verso di lei, non ha più paura di farsi vedere. Si lascia mangiare dai clienti del “Minuit”, che si accorgono subito che non indossa i collant.

Le note seguono un ritmo sinuoso, la melodia striscia dal pianoforte, le vibrazioni si insinuano dappertutto, raggiungono le punte delle sue scarpette. Devono muoversi, il piede destro deve scivolare in avanti, in diagonale, e subito dopo lo stesso deve fare il sinistro. Eseguono con un secondo di ritardo, il massimo che Emilie può concedere loro. E ora il braccio deve sollevarsi lentamente, avendo cura che la mano sfiori il corpetto, dall’ombelico fino al collo, lentamente, per poi ruotare, cercare l’aria, catturarla, afferrare la sua carezza che si unisce alla propria.

 

-Hai il fisico giusto per fare la ballerina.

-Lo ero. Non ho i soldi per pagare le lezioni.

-Allora lavora per me, entra a far parte del corpo di ballo del “Minuit”. Gratis. In cambio delle lezioni.

-Ma no, in fondo non amo così tanto la danza.

-Se una cosa ti manca, vuol dire che almeno un po’ la ami.

Certo che amava la danza, la amava così tanto che la faceva diventare gelosa. Aveva capito che amare è difficile, perchè significa ricevere, ma soprattutto dare. Emilie non aveva intenzione di dare nulla di sé. Aveva volteggiato sulle punte solo per se stessa, guardando se stessa, rimanendo chiusa in se stessa, indifferente a sguardi, a palpiti e ad applausi. Con gli oggetti, però, era diverso. Con le scarpette era diverso. Bastava metterle via perché non poteva più andare a lezione, chiuderle in una scatola, dimenticarle per un paio di giorni, poi andare a trovarle, come si farebbe con un’amica. Aprire la scatola, estrarle, spolverarle, saggiarle un attimo, solo un secondo, o forse più. Ma sì, un minuto, solo un minuto. E tornare a metterle via, ricominciare a dimenticarle, ricordarsi di averne nostalgia, far durare quel groppo in gola solo un minuto. Ma sì, due minuti, solo due minuti.

Non sapeva nulla del “Minuit”, né del suo corpo di ballo e non aveva mai sentito parlare di Mme Therese, che insegnava una danza per la quale le scarpette non servivano affatto. Servivano i tacchi. I passi che le venivano mostrati tutti i giorni davanti ad uno specchio graffiato, su un pavimento con mucchietti di polvere negli angoli, sotto un soffitto annerito dalla muffa, erano diversi da quelli che le erano stati insegnati quando era piccola. Quella danza, con le sue gonne più corte avanti, con le sue piume, con i suoi sorrisi smaglianti e con le sue gambe sempre alte, diceva allo spettatore di guardare, di godere della bellezza che veniva esposta sotto i suoi occhi, perchè i bordi delle gonne si sollevavano per lui, gli sguardi maliziosi lo cercavano per renderlo partecipe della follia del palco, i tacchi scandivano sulle assi di legno il ritmo di una musica che gli doveva entrare nelle vene. Con quella danza Emilie doveva consegnare nel modo più spontaneo, generoso e anche spudorato possibile, la sua bellezza, quella della quale era tanto gelosa.

 

Ora deve girare su se stessa e con la punta del piede steso deve disegnare un cerchio intorno al suo corpo, una circonferenza perfetta, senza sbavature, ma non troppo chiusa. Le dita delle mani si agitano, sfarfallano nell’aria, si rivolgono ai clienti del “Minuit”, li invitano a solcare quella linea tonda, accogliente e seducente. Per questo gli occhi di Emilie devono fermarsi sui tavolini, devono arpionare i volti che fluttuano sulle fiammelle arancioni, devono andare a caccia di luci. Perché gli occhi si accendono, lei lo sa, lei che è la miccia. Deve catturare quegli occhi, prima di sputare dentro le loro iridi la verità.

 

-I pesci grossi mangiano i pesci piccoli perché le loro carni sono tenere. Per questo ci sono uomini così, per questo Gerard Fillon mi ha chiesto di farti ballare un assolo. Ha deciso lui cosa farai e come ti vestirai. Vuole che tu sia la protagonista della serata e averti tutta per sé. Capisci cosa intendo? È il nostro cliente più affezionato, si deve fare tutto quello che vuole.

C’è tanto legno al “Minuit”, scuro, pesante, opprimente, occupa le pareti, forma il bancone all’ingresso, si arrotonda sui tavolini, diventa un palco basso in fondo alla sala. La prima volta che Emilie vi entrò, si sentì in trappola, col respiro mozzo, e non era per il corpetto stretto, ne’ per l’agitazione prima dello spettacolo, e nemmeno per l’imbarazzo che le provocava quella gonna che svelava le sue cosce ad ogni passo. Era l’improvvisa verità che le si rivelava sotto gli occhi, a mano a mano che i clienti arrivavano, mentre attendevano voraci l’apertura del sipario.

Emilie tentò la fuga, sussurrò quasi per sbaglio che non si sentiva bene. In risposta Mme Therese le strinse un gomito, le rimase accanto, con una mano dietro la schiena fino a che non salì sul palco con le altre.

Era brutto ballare al “Minuit”. Poteva trattenere la gonna, poteva alzare meno la gamba, evitare di sorridere, ma gli occhi degli avventori di quel locale notturno avevano mani che toccavano da lontano e respiri che si incollavano addosso. L’unica fuga poteva essere mentale, poteva avvenire vicino al tavolino più isolato, nell’angolo più buio, inchiodata alla parete di legno. Emilie guardava verso quel punto vuoto e immaginava che al suo posto sul palco ci fosse la stessa cosa: nero e marrone nulla.

Distinse solo diverse sere dopo uno sguardo oscillante rintanato nel suo rifugio, uno sguardo che la incastrò, la avvinse a sé, stringendola mentre ballava. Le diceva che gli occhi possono accendersi, disgustoso e sorprendente al tempo stesso, cambiano forma e la trasformano in iride e obiettivo. Fissarsi in Gerard Fillon significava un po’ dimenticarsi. Era annullarsi nei sogni perversi di quell’uomo, ma al tempo stesso stare al chiuso là dentro, in quell’angolo dimenticato da tutti, buio e isolato. Diventando pesce piccolo in agonia sulla lingua del pesce grande.

Ama le piccole cose Gerard, i piccoli bicchieri, i piccoli sigari, i piccoli baffi, le foglie dell’insalata tagliate piccole. E le ballerine piccole. Ama la loro ingenuità che si corrompe sotto il suo sguardo, la loro infanzia che marcisce sotto i tacchi, le loro movenze che hanno ancora qualcosa delle bambine che sono state, quelle che provavano i primi passetti nelle punte e nei tutù, ordinate nei loro chignon, precise accanto alla sbarra. Ha sempre voluto questo da Emilie. Lei lo ha percepito fin dal primo sguardo, quello dal quale non è mai più riuscita a liberarsi.

 

Deve sorridere, deve stendere le labbra, le guance devono sollevarsi, gli occhi devono ammiccare. Il suo corpo deve ondeggiare, deve insinuarsi tra i tavoli rimanendo in bilico sul palco, deve affiancare ognuno di quegli uomini imbambolati, privi di dignità, pieni di perversioni. Ma non ci riesce. Continua a sentire il cigolio delle assi di legno, ne sente le vibrazioni sotto la suola rasoterra, e non lo può accettare. Non può accettare tutti quegli sguardi addosso, avvinghiati alla sua pelle nuda mentre le sfilano via tutti i suoi 14 anni e le rubano la bellezza del suo tutù, quello che Gerard ha voluto che indossasse. Sente che lo strappano via a brandelli e smussano le punte delle sue amate scarpette, quelle che le hanno rivelato il suo amore. Non può realizzare i sogni di Gerard, disegnarli nei  passi di quella commistione di ingenuità e seduzione, di movimento e fissità, di ballo e prostituzione. Sacro e profano.

L’espressione del volto d’un tratto si irrigidisce. Il suo corpo prosegue in automatico, continua ad eseguire quella coreografia che le è stata montata addosso, cucita sopra il corpetto e il tulle, ma il viso dice qualcosa di diverso da quello che cerca di esprimere con braccia e gambe. È una censura fisica. Perché quando incrocia lo sguardo di Gerard si vede e non si riconosce. Si vede proiettata dalla luce dei suoi occhi e per la prima volta ha schifo dell’immagine di sé nelle sue scarpette. È solo così che la verità può essere svelata.

Con le lacrime che le bagnano la faccia, con la mascella irrigidita, con le labbra che fanno vedere i denti digrignati, Emilie, danzando, ora riesce a dare qualcosa, l’odio per quel che hanno fatto di lei, della sua passione, del suo linguaggio, della sua arte, del suo amore. Coglie degli sguardi sconvolti, coglie quello di Gerard Fillon, soprattutto, che appare destabilizzato, strabico quasi, instupidito ma al tempo stesso ferito. Perché sulla faccia di Emilie l’accusa è scritta per tutti, anche per l’ombra di Mme Therese, vicina al bancone, immobile con un bicchiere tra le dita.

È colpa vostra quello che sono diventata.

Finisce col fiatone e con l’impressione di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo dell’esibizione. È andata in apnea. Ora riemerge, si accorge della luce addosso, del sudore che le cola lungo la fronte e sul collo, facendo risaltare le clavicole. Sente i capelli schiacciati sulla fronte, percepisce un dolore al fianco destro e uno forte al centro del torace, la fatica che fanno i polmoni a caccia di aria. Però fa un passo avanti, si drizza comunque sulla schiena, preparandosi per l’inchino. Non vuole sistemarsi la frangetta, non tira su le spalle del corpetto, scivolate durante l’esibizione, non si asciuga il sudore dal volto. Col petto che a stento trattiene il cuore che potrebbe esploderle, si prepara a tagliare l’aria, a dividerla in due, come a spezzare il silenzio surreale che si consuma sui volti attoniti e rosseggianti nelle lampade ad olio che fanno da centrotavola. Eccolo, il suo pubblico. Ora che è tutto finito, Emilie può guardarlo davvero, può osservarlo, ispezionarne i volti ad uno ad uno, tenendo la testa alta, il mento appuntito e sollevato come la prua di una nave. Ha solcato tutti i loro lineamenti sconvolti, li ha cercati nella semioscurità del “Minuit” e ha ritrovato se stessa in quel pazzo naufragio, assieme alla speranza di sopravvivere alle onde.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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27 commenti »

  1. Il montaggio serrato porta fino alla conclusione senza un sbavatura e dentro stacchi su primissimi piani che enfatizzano sensualità e ribellione e presa di coscienza.
    Femminilità e intensità a mille. Da leggere.

  2. Carola,

    il tuo racconto è una vera e propria esperienza sensoriale: ho sentito il sudore, visto la polvere levarsi dall’assito del palco, condiviso con Emilie il fiato corto per la fatica.

    In sintesi, un vivido quadro di ciò che l’essere umano sconta nell’infinita ricerca di quella perfezione che comunemente viene definita arte.

    Il tutto esposto con uno stile di un’eleganza e ricchezza davvero sopra le righe.

    Bellissimo.

  3. Lorenzo e Ugo, vi STRARINGRAZIO!
    Lorenzo, leggere quel “esperienza sensoriale” mi ha fatto venire i brividi. Era uno dei miei intenti quello di far vivere al lettore ciò che prova la mia protagonista, e sono contenta che ti sia arrivato. Grazie anche per aver colto e messo in evidenza uno dei temi della mia storia: la dolorosa corruzione di una passione e di un modo d’essere. E grazie anche per i complimenti sullo stile 🙂

    Ugo, “sensualità”, “ribellione” e “presa di coscienza”. In poche righe hai racchiuso l’essenza della mia storia. Grazie mille per le tue parole e il tuo apprezzamento!!! 🙂

  4. Bellissimo. Mi ha ricordato De André: la capacità di raccontare storie torbide in modo poetico.

  5. Bello il tuo racconto Carola, carico di passione, delusione, in un gorgo di sentimenti nobili e abbietti.
    Scritto con una prosa ricca e fluente, in un alternarsi di sensazioni fisiche e introspettive.
    Davvero molto molto brava.

  6. Meraviglioso questo racconto in cui le parole sgorgano a passo di danza, ritmate dallo stato d’ animo della protagonista. Stupenda questa danza di ribellione, così passionale e così ” sudata ” che non perde mai eleganza. Bello il finale, che lascia al lettore l’ immagine di un corpo eretto come simbolo di forza e dignità. Nonostante tutto. Bravissima Carola

  7. Grazie mille a Costantino, Gianluca e Gloria. I vostri commenti sono meravigliosi. Sono contenta che il mio racconto vi sia arrivato così tanto. Grazie, grazie, grazie!
    p.s. Costantino, è un onore averti ricordato De Andrè. Non mi ritengo all’altezza di un simile paragone, ma è bello che ti sia venuto in mente.

  8. Caracarola, (tutto attaccato , ahah , a me piace giocare con le parole!), leggendo le tue ‘scarpette ‘ , ho pensato 1) a Christian Andersen:infatti prima di leggerlo pensavo trattasse di femminicidio o roba simile(Scarpette rosse).2) subito dopo, Toulouse Lautrec! Can, can bistrò, La Gaule, ecc. 3) poi mi è sembrato vedere Marilyn in ‘Fermata d’autobus’…infine leggendolo, ne ho percepito tutta la carnale disperazione e lo squallore umano (maschile) che tu tanto bene hai descritto, (brava!)rendendo partecipe il lettore del ‘fiato schifoso’ di certi individui. Comunque la libertà è una condizione interiore, mi puoi ammazzare fuori, ma non mi uccidi dentro.Questo penso sia il messaggio della tua protagonista. Non è così? Mi sono sbagliata? Ciao, caracarola.Laura

  9. Carola anch’io come la protagonista del tuo racconto amo la danza e tutto ciò che é in qualche modo manifestazione di essa ed é per questo che mi sono appassionata al tuo racconto. Mi sono immedesimata nella protagonista provando i suoi stessi sentimenti ed é tutto merito tuo! Complimenti

  10. Grazie, cara Laura! 🙂 Non hai sbagliato niente! La mia Emilie prova un amore viscerale per la danza, una passione che nella ma immaginazione è nata dal fascino suscitatole proprio dalle scarpette (per questo sono così importanti nel mio racconto), quindi chissà, magari inconsciamente Andersen può esserci entrato nella mia storia. Hai colto benissimo l’ambientazione se ti è venuto in mente Lautrec, perchè è proprio pensando al can-can e alla sua danza provocante che mi sono ispirata per il corpo d ballo del “Minuit”. E poi sì, hai colto subito la tematica principale, “lo squallore” che non può intaccarti fino in fondo se tu teni tanto a quello che sei e alla tua passione. Non posso che ringraziarti per la tua precisa lettura e per lo splendido commento (e anche per il gioco di parole!!!!)

  11. Lucia, ti ringrazio. Sono immensamente contenta di essere riuscita a trasmetterti tanto. Adoro il linguaggio della danza, ammiro la capacità di trasmettere qualcosa, un messaggio profondo, emozioni e sentimenti attraverso precisi movimenti del corpo. Sapere che Emilie è riuscita a condividere con te quello che provava con la sua danza disperata, mi riempie di gioia! Grazie mille!

  12. Un racconto “forte” in cui i battiti del cuore della protagonista sono resi dalla tua brillante scrittura.
    Un climax sinuoso che sale prima lentamente poi sempre più velocmente per poi schiaffeggiare con disprezzo quelli che “le hanno fatto questo”.
    Un grido silenzioso che esce con la grinta e la rabbia di una danza.
    Brava.

  13. Grazie infinite, Martina, per le tue belle parole. Te ne sono molto grata!

  14. Un racconto molto elegante, denso di emozioni. Hai usato le parole come strumenti d’arte e hai creato un’atmosfera che mi ha avvolta e portata tra il pubblico di Emilie e dentro la stessa Emilie. Forse mi sarebbe piaciuta qualche “sbavatura” a contrasto, ma è stata una bellissima lettura. Brava!

  15. Grazie Lidia, le tue parole sono magnifiche. Grazie soprattutto per il tuo suggerimento: il perfezionismo, ahimè, è un mio difetto!

  16. Bel racconto che definirei di formazione per i cambiamenti che Emilie sa operare in se stessa. Lo stile limpido e incalzante conduce all’epilogo senza tentennamenti. Mi è piaciuto molto leggerlo.

  17. Grazie mille Consuelo per il tuo commento! 🙂

  18. Ciao Carola, questo tuo racconto coniuga il ritmo della danza con quello della scrittura. Inizia lento, come lento è il danzare della protagonista, e diviene via via più veloce man mano che Emilie prende coscienza di sé. E’ come un vortice che ti trascina. Mi è piaciuto molto!

  19. Grazie Marzia! Non posso che essere felice di essere riuscita a trasmetterti il ritmo della danza (interiore ed esteriore) che ho immaginato. Ti ringrazio per il tuo commento!

  20. Ciao Carola, danza di sogni spezzati, imbrattati, insudiciati… Poi gli ultimi passi, la coscienza di non riconoscere il proprio sé e di volerlo ritrovare. Brava!

  21. Ciao Ester! Ti ringrazio per il tuo commento. Hai centrato e racchiuso in poche parole tutto quello che il mio racconto contiene. Grazie mille!

  22. Carola, bellissimo racconto di ricatto e di riscatto; riuscita descrizione di un personaggio che cambia e che combatte usando le armi che possiede. Si sentono l’odore del luogo e il sapore amaro dell’umiliazione prima di Emilie, poi del pubblico.

  23. Grazie mille Paola per aver letto il mio racconto e per il tuo gratificante commento. Lieta di essere riuscita a trasmetterti così tanto. Grazie di cuore.

  24. Carola, Emilie avrà il “physique du role” per fare la ballerina ma tu hai l’ “attitude” della narratrice che ci cattura con tutti e cinque i sensi, senza tralasciare il risveglio del sesto.
    A volte le ali stanno dietro la schiena mentre qui spuntano a piedi che calzano scarpette rosse. Fantastique!

  25. Merci beaucoup, Marcella! Sei troppo gentile e ti sono molto grata delle tue bellissime parole!

  26. Arrivo tardi a leggere questo racconto, e vedo che i commenti scritti finora rispecchiano al 100% la mia opinione. Hai grande capacità di coinvolgere, accompagnando il lettore (in punta di scarpette?) dentro un “quadro” di calligrafica raffinatezza, ma anche di notevole carica emozionale. Bravissima Carola!

  27. Ti ringrazio, Giada, per il tuo bellissimo commento!

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