Premio Racconti nella Rete 2017 “O2” di Costantino Lupato
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Vedo il professor Quinzi, in giacca di velluto marrone e jeans invecchiati, mentre dà le spalle agli studenti e scrive sulla lavagna dell’aula D del dipartimento di fisica. Traccia sicuro linee continue o tratteggiate. Fatico a tenere il ritmo e ho la sensazione che mi manchi il respiro nel prendere appunti.
«L’otto è un numero magico», proclama ad alta voce, «poiché i nuclei degli atomi formati da una quantità di protoni o neutroni pari a otto sono stabili».
Sapeva rendere interessante la materia e far ottenere buoni risultati. Ricordo il trenta all’esame e il viso stupefatto di mio padre quando gli mostrai il libretto. Fino ad allora, riteneva i soldi spesi per l’istruzione il prezzo da pagare per il quieto vivere con mia madre, che non avrebbe mai accettato un abbandono prima della laurea.
Eccolo, il professore, sulla bicicletta nera coi freni a bacchetta; la borsa di cuoio fissata sul portapacchi; il sigaro acceso tra l’indice e il medio della mano destra, oppure stretto tra i denti; le scarpe Derby, di cui una slacciata, in presa precaria sui pedali; il viso paonazzo per lo sforzo nel superare l’ultima rampa tra il parcheggio e la strada.
Fumava durante le lezioni, nelle giornate calde in cui poteva tenere le finestre aperte, a dispetto dei divieti e del tecnico dell’impianto antincendio, spesso impegnato a spegnere l’allarme.
Si accendeva il sigaro nel suo ufficio e gli studenti si lamentavano di come puzzassero i loro vestiti dopo essere andati a fargli visita.
Si sedeva in cortile, all’ora di pranzo, a piluccare un veloce pasto e alternava i morsi al cibo ad avide boccate di fumo.
Ebbi modo di vederlo posare il toscano su di un davanzale, dietro una tenda dell’aula magna, prima di avvicinarsi al rettore e salutare tutti, il giorno della pensione.
Ripresi a frequentarlo alcuni anni dopo e lo rinvenni avvolto nello smog, nel suo appartamento di via Nazionale. Era inverno, faceva freddo e le finestre erano chiuse.
È ancora davanti a me.
Seduto in equilibrio sulle gambe posteriori della seggiola, tiene le braccia conserte e ha il respiro rumoroso, spezzato da lievi colpi di tosse. Si dondola e ascolta la replica alla sua domanda.
«Sono numeri magici anche il due, il venti, il ventotto, il cinquanta, l’ottantadue e il centoventisei», affermo in sicurezza. Lo guardo negli occhi, noto un fugace bagliore di approvazione e capisco di aver dato la risposta corretta.
Oggi insegno matematica al liceo.
Lo faccio perché all’università ho incontrato il professore e ciò mi ha cambiato la vita.
Fu il primo a pretendere da me l’impegno e la dedizione necessari a far nascere una sincera passione. Capì quale fosse la strada e mi condusse per mano finché non fui in grado di percorrerla da solo.
La matita gira. Volteggia tra le dita agili di Quinzi, come una bacchetta tra le mani del batterista di un gruppo rock e si abbatte sul quaderno al ritmo della canzone trasmessa alla radio.
L’ufficio è piccolo e disadorno, l’unico oggetto degno di nota è un posacenere triangolare di alabastro, ai cui vertici ci sono figure di leoni seduti a bocca spalancata: un pezzo di buon artigianato etnico, anche se non saprei attribuirgli un’origine.
«Adoro il suo modo di ragionare», dice, «denota una capacità di analisi superiore alla media. Ha mai pensato di specializzarsi in fisica?».
«In tutta sincerità, preferisco la matematica: è una scienza più esatta», ribatto. Sorrido e osservo il suo sguardo, attraverso le spesse lenti degli occhiali che porta sul naso. Sembra sul punto di esplodere di rabbia, al contrario la deflagrazione è quella di una sonora risata.
Ha passato tutta la vita senza una moglie o qualcuno ad accoglierlo la sera. Riempiva le giornate con gli studi, i libri di Agatha Christie e i suoi allievi, trattati come figli: con amore, rispetto e, a volte, severità.
È il motivo per cui non è mai stato solo. Andavo a trovarlo quasi ogni giorno e incrociavo spesso un viso conosciuto in discesa dal suo piano, o lo sorprendevo impegnato in una partita a carte. A volte, nell’uscire dal suo portoncino, m’imbattevo in qualche altro visitatore. Io ero comunque il più assiduo, quello che si tratteneva di più e, talvolta, si fermava a cena.
L’infermiera entra nella stanza e accende la luce. Mi sveglio.
Il collo intorpidito duole e impiego del tempo per trovare una posizione comoda sulla poltrona.
«È vigile?», mi chiede, indicando il letto.
«Non l’ho mai sentito lamentarsi, credo abbia sempre dormito», rispondo con voce impastata.
Lo guardo: ha gli occhi chiusi e la bocca semiaperta sotto la mascherina del respiratore. Ogni volta in cui il suo petto si alza e si abbassa, sento un rumore simile a quello di un mantice.
Ricordo una sua lezione: “Quando sia i protoni che i neutroni presenti in un nucleo sono pari a uno dei numeri magici della fisica, esso è definito doppiamente magico ed è particolarmente stabile”.
L’ossigeno ha un nucleo doppiamente magico: è composto da otto protoni e otto neutroni.
È un’amara ironia della sorte che sia proprio una di quelle particelle, studiate e inseguite dal professore per tutta la sua carriera, a mancargli in questo frangente.
Il monitor segnala una saturazione del sangue insufficiente, il cuore ha spesso sobbalzi, in occasione degli sporadici, profondi sospiri dell’anziano. Ormai non si sveglia da due giorni.
Alcuni mesi fa mi convocò a casa sua per affidarmi un incarico importante. Sapeva di essere malato e di non poter resistere a lungo. Firmai delle carte per diventare l’esecutore del suo testamento biologico.
«Lo chiedo a te», disse, «perché ti voglio bene come a un figlio».
Avrei fatto qualunque cosa per lui. Certo, non credevo di finire qui, in una clinica oltre confine, a dormire su una scomoda poltrona in attesa di dare esecuzione alle sue ultime volontà.
Il medico arriva, saluta e controlla la situazione. Scuote la testa, respira a fondo, verifica ancora i dati e infine sentenzia: «È ora», dice, «è entrato in coma e non c’è speranza di risveglio».
Rabbrividisco, mi alzo in piedi e cammino nervoso su e giù per la stanza, mentre il dottore e l’infermiera si parlano e cominciano a spostare i macchinari e togliere di mezzo le flebo.
«Siamo pronti», dice lei.
Non sono sicuro di esserne capace.
I pensieri e i ricordi si accavallano nella mente, rivedo le immagini sognate poco fa e inizio a piangere. Non è un pianto disperato: le lacrime escono dagli occhi senza fatica, rigano le guance e affogano nella barba.
Il medico rimane fermo in attesa, non vuole mettere fretta e si limita a osservare. «Egli stesso ha deciso così», sussurra per rassicurarmi.
Annuisco, faccio due passi e mi avvicino al letto. Il dottore si fa da una parte, mentre l’infermiera fa un’iniezione al professore.
«Quando vuole, basta premere qui». Indica un tasto su di un complesso apparecchio.
Appoggio la mano al pulsante, chino il capo e piango di nuovo, stavolta in modo rumoroso. Al termine dello sfogo apro gli occhi e, attraverso i rivoli che li riempiono, guardo Quinzi. il suo viso è disteso, sembra in pace con l’universo.
«Addio professore».
Ciao Costantino, mi fa piacere avere la possibilità di leggere un tuo nuovo racconto! :D. Ricordavo di te sopratrutto una grande abilita’ descrittiva, minuziosa, chiara, continua eppure mai stancante. Capacità che trova conferma sul tuo ” O2 “. Ma devo dire ( e con piacere ) che ti trovo ” cresciuto “. La storia che racconti è, idubbiamente, una bella storia dal punto di vista umano. Ma c’è di più: è come se ti fossi lasciato andare ( finalmente 😉 )…ma non troppo..conferendo così al tuo bel racconto e ai personaggi la dignità che meritano. Piacevoli e ben scritti, poi, gli accenni matematici, apparentemente cervellotici ma generosamente decodificati per poterli proporre a tutti ( anche agli asini come me!! :).Bravo e complimenti !
Costantino!!!!!
Non sai quanto sia piacevole per me rileggerti!
Per di più quest’anno condividiamo anche lo stesso argomento!
Beh, che vuoi che ti dica?
Che scrivi bene lo sappiamo tutti, quindi evito noiosi sproloqui sulla tecnica ed il linguaggio.
Hai trattato un argomento scomodo – ci sono passato io stesso – e lo hai fatto con sobrietà e sapienza, senza sconfinare nello scontato.
Bravissimo, come al solito.
Grazie a Gloria e Lorenzo per i loro commenti.
Descrizione minuziosa. Racconto di come una persona scopre la propria passione grazie a un’altra che gliel’ha saputa trasmettere. Rapporto che si evolve in relazione padre figlio molto commovente. Fino alla fine. Senza passione, come possiamo svolgere bene il nostro lavoro, la nostra missione? Senza l’amicizia vera, il rispetto vero, quanta intensità della vita perdiamo!
É uno di quei racconti che ti prende e non ti molla più, fino all’ultima frase.
Ho ammirato la conoscenza matematica e medica; il rapporto tra il vecchio professore e l’allievo è struggente: mi ha commossa.
Complimenti, davvero bravo!
Che intenso rigore in questa storia che sa di vita vissuta!
Molto coinvolgente!
Ringrazio Dominique, Mariangela e Ugo per i commenti.
In maniera rapida, efficace e commovente hai affrontato un argomento di così grande attualità. Bravo complimenti!
Bello questo rapporto tra insegnante e allievo e dolce il finale nella sua tristezza, mi è piaciuto molto e mi ha ricordato l’affinità che si crea tra alcune persone “sconosciute”, quasi magica e più forte di quella famigliare. Coraggiosa la scelta del tema.
Racconto commovente, delicato, intriso di sobrietà e leggerezza, nonostante il tema trattato…
Bravissimo, complimenti!
Caro Costantino è un piacere rileggerti. La storia è bella, molto ben scritta, il ritmo è tale che non ti consente di staccare gli occhi dal racconto, quindi è proprio quello giusto. I dotti passaggi matematici,fisici e medici che fanno da supporto alla storia, come dice Gloria, sei riuscito a decodificarli e a renderli comprensibili a tutti. Ho letto i tuoi racconti dello scorso anno e sono ancora una volta d’accordo con Gloria. È come se la tua scrittura fosse maturata, diventata più consapevole. Complimenti,bravo davvero
Ringrazio Lucia e Lidia per i commenti.
Grazie anche a Gianpaolo e Ottavio.
Costantino Lupato, per me sei una conferma. Tema difficile, di grande attualità, trattato con delicatezza e in maniera assolutamente non banale. Trama costruita con intelligenza, riferimenti colti, finale amaro che stimola più di una riflessione e, lasciami aggiungere, scelta indovinatissima per il titolo che spero aiuti ad accendere i riflettori sul tuo racconto e
ad attrarre tutti i lettori che merita.
Non ho mai amato la matematica e, di conseguenza, ho sempre nutrito una certa diffidenza nei confronti dei matematici, ma tu hai fatto un piccolo miracolo, e in una volta, sola me
hai presentati 02 a cui è impossibile non volere bene.
Complimenti.
Grazie Luigi. Sei un vero amico e il tuo commento, di te che sei stato premiato la scorsa edizione, mi gratifica immensamente.
Grazie, Costantino, per questo straordinario racconto. Dai commenti mi sembra di capire che sei stato già partecipante e vincitore in edizioni passate: e si vede!
Ma anche senza scendere nell’attribuzione di punteggi (più appropriati a un compito di fisica che a un racconto!), lasciati ripetere che hai una penna felicissima. Hai ripercorso in poche righe l’essenziale del passato del narratore, intrecciandolo alla parabola del professore, alternando con abilità flashback e tempo presente.
Assai riuscito il bilanciamento fra i riferimenti “tecnici” e sostanza umana, emotiva. Ognuna delle tue frasi prosegue nell’immaginazione del lettore e ne stimola l’intelletto e i sentimenti.
Il rapporto fra insegnante e studente, poi, è un tema che trovo molto affascinante e che ho trattato anch’io in qualche “esperimento” (non ancora maturo, però!)
Complimenti ancora!
Complimenti Costantino, il tuo racconto mi è piaciuto tantissimo. Una volta iniziata la lettura del racconto è impossibile non portarla a termine. Il professor Quinzi è un personaggio affascinante e ho adorato la frase “È un’amara ironia della sorte che sia proprio una di quelle particelle, studiate e inseguite dal professore per tutta la sua carriera, a mancargli in questo frangente”.
Costantino, a parte la delicatezza indiscutibile del racconto, mi hai fatto ritrovare un po’ di me in quel vecchio insegnante tanto dedito al suo lavoro. Ho immaginato i miei studenti di trent’anni fa che ancora mi vengono a trovare e si preoccupano di come sto, ma anche quelli di adesso che mi scrivono su WhatsApp. C’è poi una mestizia dignitosa che arricchisce la narrazione e che mi piace molto.
Per Giada: sì, ho partecipato l’anno scorso ma no, non sono stato premiato. Grazie per il tuo commento minuzioso.
Grazie a Serena per i complimenti. Sono onorato di aver suscitato in te interesse ed emozione.
A Paola non so che dire. Che un lettore si riveda in un mio personaggio non può che farmi piacere. Anzi, è un grande premio.
I bei racconti sono quelli che ti emozionano, quelli che riescono a dilatare ” lo spazio” del lettore. La storia dei due protagonisti ci insegna lo stupore e la forza del verbo “mantenere” in una società che invece trova molto più semplice “rottamare”. Complimenti spero di trovare il tuo nome fra i 25.
Ti ringrazio Anna Rosa. Il tuo è un commento molto lusinghiero.