Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Come vivono le piante senza radici?” di Edoardo Intravaia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Ho sonno ma non riesco a dormire.

Nella stanza c’è poca luce, perché non è ancora giorno.

Gertrude è nel dormitorio di fronte. Sicuramente dorme ancora. Tra un po’ ci sveglieranno… È una bella bimba: occhi verdi, capelli biondi, pelle chiara. Qui nessuno oltre lei gioca con me, è la mia unica amica, tutti gli altri vogliono stare soli e in silenzio.

Ogni tanto si arrabbia, fino a non parlarmi più per giorni e una volta mi ha dato un pugno così forte alla pancia che mi ha fatto venire da vomitare… non credo sia cattiva, è solo che si arrabbia troppo.

Questa brutta abitudine di svegliarmi sempre prima di tutti: non ho paura del buio, ma sono triste.

È tutto strano qui. Non mi piacciono gli odori di questo posto, la nostra stanza fa puzza di quel liquido che si usa per pulire i bagni. È tutto brutto qui.

Scendo dal letto a piedi nudi e mi avvicino alle sbarre della finestra, sta salendo il sole.

È da quando sono arrivato qui che ho paura. Ho paura degli schiaffi, dei pugni, degli altri bambini e delle suore. Sono cattive e mi puniscono sempre.

 

Sta spuntando il sole.

Ci svegliano. Ci mettiamo tutti buoni in fila e andiamo a lavarci.

 

Mentre andiamo in bagno mi avvicino alla suora e le chiedo <<Mi scusi sorella, dov’è mia mamma?>>, mi guarda e poi dice <<Tornerà a prenderti>>. <<Vero?>>, <<Sì, me lo ha detto di persona>>. Glielo chiedo tutti i giorni, qui nessuno lo fa e quando chiedo agli altri bambini perché non lo fanno mi dicono <<Quando arriva, arriva>>. Ma è stupido… si deve sapere se magari ha cambiato idea o arriva in ritardo o che ne so… la precisione serve in queste cose importanti.

 

Siamo puliti adesso, vedo Gertrude che se ne va con altri bambini senza parlare con nessuno.

 

È arrivata la primavera. Ho imparato le stagioni: primavera, estate, autunno, inverno, è stato difficilissimo memorizzarle in ordine.

Sento sempre freddo alle spalle, non so perché, in primavera non fa tanto freddo.

 

Qui quasi nessuno vuole giocare.

<<Gertrude!>>, <<Ciao>>. <<Giochiamo?>>, <<Con cosa?>>. Ha ragione, qui non ci danno spesso i giocattoli. Allora pazienza, giochiamo a carta-forbici-pietra. Se Gertrude perde troppe volte vuole smettere di giocare, allora io qualche volta faccio apposta a perdere tirando la mano qualche secondo dopo.

Tre a uno per lei. Mentre agito la mano però mi distraggo e vedo che in fondo al corridoio c’è una porta aperta. <<Ehi aspetta… guarda!>>, <<Cosa?>>, <<Il dormitorio dei neonati…>>. Senza farmi vedere dalle suore, prendo Gertrude per mano e ci fiondiamo al dormitorio, <<Che c’è?!>>, <<Non vedi nulla di strano?>>, <<Che cosa?>>, <<Guarda! Hanno i biberon attaccati ai letti e nessuno gli dà il latte…>>, <<E allora?>>, <<Dovrebbe darglielo la mamma>>. <<Cretino! Qui non ci sono le mamme!>>, <<E allora dovrebbero darglielo le suore… un bebè è troppo piccolo per bere il latte da solo>>, <<…>>, <<Che c’è Gertrude?>>, <<Niente, che fai!>>, <<Aiuto questi bambini a bere il latte>>. <<No! no! Se ti vedono saranno guai per tutti e due>>, <<Ssshh, è solo uno a volere il latte>>, <<No no no! Lascia stare! Se lo sentono piangere saranno guai!>>, <<Ma non piange… fatto. Andiamo, presto>>. Corriamo lungo tutto il corridoio, stiamo quasi per cadere.

 

<<È ora di cena, andiamo>> dice Gertrude guardandomi arrabbiata. Ci sediamo accanto. <<Che c’è?>>, <<Sei un cretino>> mi dice, <<Perché?>>, <<Hai rischiato di farti punire per quel neonato>>. <<Ma i più piccoli si devono aiutare>>, <<Sei proprio un cretino! a te ti hanno mai aiutato?!>>, <<Forse, non me lo ricordo>>, <<Io non aiuto qualcuno se devo mettermi nei guai>>, <<Come? Nemmeno me?>>, <<No.>>.

 

Sento di nuovo freddo alle spalle. Perché mi tratta così? Sono triste, perché mia mamma mi ha lasciato qui? La scorsa settimana per arrivare di corsa alla cena sono caduto, mi sono fatto male e nessuno mi ha aiutato, poi una suora mi ha dato uno schiaffo e mi ha detto che non si corre per i corridoi… ma è assurdo! dovevo arrivare in orario!

Sicuramente avrò fatto qualcosa di brutto per essere qui, me lo sono dimenticato, ma chissà cosa ho fatto per essere stato portato qui da mia mamma. Ora però sono un bimbo buono, aiuto pure i più piccoli, perché continuo a essere trattato male? Perché la mamma non mi viene a prendere se sono diventato bravo?

Il freddo alle spalle non se ne va.

Forse devo essere ancora più buono… sì deve essere colpa mia se sono qui, ma se faccio il buono me ne andrò.

 

Sveglio. Oggi è un giorno come tutti gli altri.

<<Ciao Gertrude>>, <<Ciao>> lei risponde. Ho fatto pace con lei due settimane fa… diciamo che non abbiamo più parlato e siamo ritornati amici, io però tengo sempre d’occhio la camera dei neonati, non si sa mai… Se farò il bravo Dio mi premierà, così ci insegnano a scuola.

Oggi a colazione la suora più vecchia ci dice che dobbiamo farci una foto. Dopo che tutti finiscono di mangiare e se ne vanno, io mi avvicino e le chiedo a che serve. Lei fa una faccia seria con le mani attaccate alla gonna e mi dice <<Serve>> e se ne va tutta dritta e arrabbiata. Forse serve perché la devono mandare a mia mamma… Sì dai! Le suore che se ne fanno? Sì è così, ma meglio non dirlo a Gertrude, perché se poi non è vero se la prende con me.

Finiamo il pranzo e scendiamo tutti nel cortile. <<Ehi Gertrude, ti piacciono le foto?>>, <<E che ne so, non me ne sono mai fatta una>>. << A me sì>>. <<E come fai a saperlo?>>, <<Non lo so, ma so che mi piacerà>>, <<Ma te ne sei mai fatta una?>>, <<Boh, non penso>>, << E allora come fai a dirlo?>>, <<Non lo so, ma mi piacerà>>.

Siamo arrivati al cortile, già tanti bambini si stanno facendo la foto. Gli hanno dato in mano dei giochi.

Prima di me tocca a Gertrude, le danno in mano una bambolina e le scattano la foto. Poi una suora gliela richiede e lei gliela ridà subito. Tocca a me.

 

Mi danno un pallone, che bello! Che bella questa palla.

Le do due colpi con la mano sinistra e la faccio rimbalzare. È gigantesca, più grande di me. È bellissima!

Sopra c’è scritto qualcosa: S…I…L…V…I…O, un nome.

Mi chiedono di tenere il pallone davanti con le mani. Io lo faccio e sorrido…nelle foto si sorride, se ricordo bene.

Foto scattata. Ora mi richiedono il pallone e anche io glielo ridò senza protestare.

 

Chiamo Gertrude, ma non mi risponde. Perché?

Che le è successo?

 

Sveglio. Devo capire perché Gertrude ieri non mi ha risposto.

Ci laviamo e scendiamo le scale per la colazione.

È lì. <<Ciao, Gertrude>>, non mi risponde e continua a mangiare una brioche <<Gertrude?>>, <<…>>, <<Perché non mi parli, ce l’hai con me?>>.

Se ne va e mi lascia solo. Non ho più fame.

Salgo le scale per andare a studiare.

 

Finito di studiare. Scendiamo giù nel cortile… cerco qualcuno con cui giocare ma nessuno parla con nessuno… Gertrude… ci vado, <<Ciao>>, nessuna risposta, <<Ehi, ti ho detto ciao…>>, niente. Piango. Se ne va e si mette seduta in un angolo tutta sola.

Tutti sono soli e ora… pure io. Ma che ho fatto!

Pranziamo, studiamo, ceniamo e torniamo al letto.

Ma perché tutti fanno così?

Mi fa venire il freddo alle spalle.

Che cosa ho fatto di male per stare qui? Dove sono? E perché mia mamma ancora non viene? Perché Gertrude da ieri, dopo la foto, ha incominciato a mettersi da sola come tutti gli altri? Che c’entro io? Non le ho fatto niente… eppure ce l’ha con me. Io non le ho fatto niente!

Stamattina mi sono lavato e ho pure mangiato da solo. Ora pranzo pure da solo.

Gertrude è qualche tavolo dopo di me, ma non rischio ad andarci, mi fa diventare triste.

Basta, non ci parlo più, può fare quello che vuole.

Sono troppo triste per andare nella stanza dei bebè.

Voglio stare da solo finché mia mamma non torna.

 

Sono più di dieci giorni che non ho problemi e non ricevo punizioni dalle suore… o pugni…

Da solo ci sono meno rischi… ma era più bello giocare in compagnia. Mi seggo per terra e scarabocchio disegni con il dito. Ieri ho disegnato una farfalla, oggi voglio disegnare un cavallo.

Oggi non ho visto Gertrude in cortile.

È ora di cena. Mangio e prima di andare a letto faccio una visita ai bebè. Non piange nessuno, tutto a posto.

 

C’è molto più silenzio da quando non sono più amico di Gertrude.

 

Sono ormai più di venti giorni che non la vedo, forse sta male? Ma che mi frega…

No dai, non è giusto, i buoni non fanno questi pensieri.

È l’ora di andare in cortile. Prima di mettermi a scarabocchiare chiedo alla suora dove è Gertrude. <<Mi scusi sorella, ma Gertrude non la vedo da giorni, dov’è? Sta male?>>, mi guarda e dice <<No. Sua mamma è venuta a prenderla due settimane fa.>>, <<Ah… ok, grazie.>>, <<Prego.>>

Se ne è andata e non mi ha detto niente…mi viene da piangere… ma perché! Perché non mi ha nemmeno salutato? Anche se non ero più suo amico le volevo bene… e lei mi ha trattato così. Mi ha lasciato solo e se ne è andata senza dirmi niente… a stare da solo “così” non ci ero abituato… Dio, ti prego aiutami, non sono ancora abbastanza buono per andarmene da qui?

La suora più vecchia ieri ci ha detto che gli uomini cattivi hanno fatto cadere due torri molto grandi. Spero che mia mamma e mio papà non abitassero lì.

 

Questa mattina mi sveglio e mentre esco dal dormitorio per andare a lavarmi una suora mi dice <<Lavati bene e vestiti ordinato perché sono arrivati tua mamma e tuo papà>>. Oddio! Mia mamma… grazie Dio, grazie, sapevo che mi avresti ascoltato. <<Vado e arrivo subito.>>.

Sì, finalmente sì. Sono sicuro che sono arrivate le notizie che ho fatto il buono.

Ecco fatto, super-pulito. Corro. Ehi ma aspetta… c’è un problema… è passato tanto di quel tempo che non mi ricordo più bene la faccia di mia mamma… ricordo solo che aveva i capelli biondi e poi basta… no aspetta li aveva anche molto corti, tipo i miei. Ok, nessun problema, almeno questo lo ricordo non posso sbagliare; capelli biondi. Mio padre invece? aveva… i capelli neri e corti.

Prendo per mano la suora e mi porta giù. Eccoli sono lì.

Aspetta. Mia mamma è bionda sì, ma ha i capelli lunghissimi e mio padre invece è pelato. Che strano. Voglio guardarli meglio in faccia: mia mamma è bellissima, ha gli occhi marrone chiaro e un volto dolcissimo che mi sta facendo un sorriso bellissimo, mio padre ha le sopracciglia nere, quindi si sarà rasato tutto, è un bel signore muscoloso e sembra molto forte, anche lui mi sorride tanto. Che strano però… non li ricordavo proprio così… eppure devono essere loro. <<Mamma… ciao…>>, <<Ciao Paolo>>. Mi prende e mi abbraccia fortissimo e mi bacia tutta la faccia <<Piccolo, la mamma è qui ora torniamo a casa>>, poi mi mette in braccio a mio padre che mi carezza la testa e mi dice <<Guarda quanto è forte il mio Paolo>> e mi bacia la testa. <<Papà, ma tu non hai più i capelli, perché?>>, <<Ehm…>> sorride, <<Niente sentivo sempre caldo e li ho tolti>> ok, ora sono sicuro, sono veramente loro.

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7 commenti »

  1. Edoardo,

    a parte che il titolo è MERAVIGLIOSO, il tuo racconto mi ha fatto riflettere ed emozionare.

    Il candore, l’illusione, la speranza e l’autocritica del volersi addossare colpe non proprie con cui Paolo affronta i grigi giorni dell’orfanotrofio sono esposti con grazia e semplicità, senza calcare troppo la mano, dote incommensurabile quando si tratta della psiche di un bambino che cerca (e fortunatamente infine trova) solamente uno stralcio di serenità.

    Bravo.

  2. La voce che narra, fa domande e, a tratti, si dispera è quella di un bambino..e sembra di sentirla.Bello, commovente e credo, purtroppo, vicino a tante realtà. Grazie Edoardo per questo dolce racconto. E grazie per averci regalato un lieto fine.

  3. Bravo Edoardo, una narrazione che esprime con estremo garbo la complessità psicologica dei bambini con sindrome di abbandono, e che solo un autore di grande sensibilità poteva rappresentare con tanta naturalezza..,

  4. Ti ringrazio. Tristezza, angoscia, solitudine, bontà e generosità nel cuore del bambino nonostante l’entourage avverso, sollievo e gioia alla fine. Ho provato tutte queste emozioni.

  5. Scrivere con la mente di un bambino penso, almeno per me, che sia difficilissimo. Sei riuscito a farlo senza mai cadere nel patetico e anche questo è molto difficile. Il racconto è intriso di solitudine a tal punto, che in alcuni passaggi (il freddo alle spalle, la foto con l’immediata scomparsa dell’amica che mi riportava alla mente le foto post mortem del 1800) ho creduto si trattasse di una povera anima in pena. Molto bello

  6. Edoardo, quanti sentimenti si alternano in un bambino tanto bisognoso di amore! sei riuscito a trasmetterli con grande partecipazione emotiva.

  7. Delizioso pur nella sua tristezza. Mi é piaciuto il tuo racconto narrato col candore del protagonista, un bambino in cerca di amore. Ci auguriamo con tutto il cuore che tutti i Paolo del mondo trovinp mamma e papà! Complimenti

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