Premio Racconti nella Rete 2010 “Il tandem” di Graziano Zambarda
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010A svegliarmi è il massaggio rilassante di un sole già caldo che filtra indisturbato attraverso la finestra dimenticata aperta, o un cinguettio di uccelli: non so. Forse entrambe le cose. Di certo, non il russare da motore diesel di Marisa: mia moglie e luce della mia vita, più o meno. Per qualche istante non riesco a capire bene dove mi trovo. Non so neppure se sono del tutto sveglio o ancora appeso alla coda di un qualche sogno. Quello di cui sono certo è che sto bene, di un benessere pieno, gradevole, capace di rilassarmi ogni singolo muscolo del corpo. Mi stiracchio fino a farmi scrocchiare la spina dorsale, mugolando e allargando contemporaneamente le dita dei piedi e delle mani. Ho dormito come un sasso, come una persona in pace con se stessa, con la denuncia dei redditi e con il mondo intero. Ecco come dovrebbe essere il paradiso! Nulla più di questo!
La prima cosa che ricordo è il feroce mal di testa della sera precedente, simile a quelli post-sbronza che ti trascinano in un infinito tunnel di malumore. Quando metto i piedi fuori dal letto ed entro in contatto con la frescura granulosa del pavimento in cotto, mi sento la testa leggera come un soffio: mi sembra quasi di non averla. In effetti, mia moglie me lo dice con sospettosa frequenza: “sei un uomo senza testa!”, ma forse non è questo che intende.
Mentre riprendo contatto con il tempo e lo spazio, tutto mi appare chiaro. Sono in vacanza! Per questo ho dormito come un bimbo e non ho sentito Marisa russare; per la stessa ragione mi è sparito il feroce mal di testa.
Per questa estate, Marisa, che di solito pensa e fa le cose per entrambi, aveva deciso d’affittare una casetta in riva al mare, bianca di calce e con il tetto a terrazzo. All’inizio mi ero impuntato, risoluto come deve essere un uomo: “Ma che vai dicendo! Non se ne fa nulla!”
L’affitto, in effetti, sembrava una rapina. Ma il mio rifiuto dipendeva più che altro dal non voler riconoscere che era quasi sempre lei ad avere le idee migliori. Non è facile, per un uomo, credetemi, riconoscere che la propria donna è più in gamba di lui; più pratica, più intuitiva, più fantasiosa anche.
Marisa aveva scelto la casa su internet. Non sapevamo nulla del paese, e questo lo riconosceva anche lei, senza però dargli alcun peso, nulla della zona e nemmeno delle spiagge.
“È una vacanza al buio” avevo detto acido e scostante. Lei rispose semplicemente non badandomi, come si fa a volte con i bambini capricciosi. Nella foto, quello che rubava l’attenzione era una buganvillea splendente e selvaggia che s’abbarbicava alla casa andando a formare un pergolato fiabesco: un’autentica esplosione di vita e di allegria.
“Questa!” disse Marisa. “Affittiamo questa!” Io continuai a impuntarmi come un mulo, senza ragione. Sostenevo che la casa era molto lontana, che troppe erano le ore di macchina per arrivarci e che nemmeno sapevamo quanto distasse dalla spiaggia, e altre menate. Non mi fidavo dell’agenzia né della foto, di nulla. “Un professionista, dissi, in una foto è capace di farti apparire anche quello che non c’è.”
“Questa!” ridisse lei puntando con decisione l’indice proprio sulla buganvillea che pareva tracimare dalla foto. E nei suoi occhi vidi qualcosa di così luminoso, una sorta di illusione infantile che frantumò ogni mio possibile rifiuto. Però, dentro di me continuavo a masticare amaro. L’idea di dormire in letti di altri, cucinare nelle pentole e mangiare nei piatti di altri mi trasmetteva una inquietudine sconosciuta. Ma ormai avevo detto di sì, un sì che comunque Marisa aveva già messo in conto ben prima che lo pronunciassi.
Ed ebbe così inizio la grande sfacchinata. Le grandi manovre pre-vacanza: pulire la casa, la nostra, per poi trovarla in ordine al ritorno; lavare e stirare, lei, mettere in ordine, sempre lei, svuotare il frigo e riempire il congelatore, preparare le valige, insieme, scegliendo con cura i vestiti da portare e i libri, sempre troppi e fonte di discussioni infinite, calcolare il volume disponibile della macchina, io, e litigare perché le cose che ci vedevamo costretti a lasciare a casa erano più di quelle che saremmo riusciti a far entrare in macchina. Portiamo i nostri cuscini? Ma sì, che domande! almeno quelli. E il tostapane? E il portatile? lo sai che senza computer mi sento perso! E la caffettiera? Anche quella!? ma dai! se lì non c’è se ne compra un’altra! Ma no! che dici, lo sai, con la caffettiera nuova il caffè viene come viene. E la canna da pesca con cesta ed accessori regolamentari, stivaloni compresi, ed il cappello di paglia con le tese larghe, un intero set di creme per il prima il durante e il dopo sole, e le medicine che non si sa mai, meglio prevenire, e qualcosa di cucinato per i primi giorni, e i sughi, e le marmellate fatte da noi che delle altre non mi fido, ed il miele di acacia che è un toccasana per ogni malanno di stagione. E cosi via, fino a sfiorare la rissa, evitata solo da un sano compromesso: se lasci a casa il bollitore per il tè, rinuncio allo sdraio pieghevole! Avanti così fino all’ultimo momento quando Marisa chiese, lasciandosi scivolare sul divano esausta e con i capelli in disordine come la casalinga di un film neorealista: “Portiamo il tandem…?” Silenzio.
Regalarsi due biciclette, per una coppia, è un bel gesto che ha un suo preciso significato. È un regalo con l’anima. È come dirsi di voler condividere il medesimo percorso e soddisfare gli stessi desideri. Ma con due biciclette si possono anche percorrere strade diverse che possono sì avere una meta comune, ma pure finire per non incontrarsi più. Insomma, è un regalo che unisce lasciando intatte le reciproche indipendenze.
Con il tandem no. Il tandem è per sempre! E pretende non solo condivisione, ma sincronismo nei movimenti e nei ritmi, quasi nei respiri oserei dire. È necessario conoscersi bene prima di farsi un regalo simile, ed avere idee piuttosto chiare sul futuro altrimenti il regalo potrebbe risultare piuttosto impegnativo, quasi un azzardo se non addirittura un errore. E quante notti, lo giuro, nei primi anni di matrimonio, quando Marisa ancora non russava ed il suo corpo era tutto un profumo, ho sognato di sorprenderla nell’atto di segare in due il nostro tandem. Mi svegliavo dall’incubo in preda ad un’ansia incontrollata e dovevo correre di sotto, nel garage, a controllare. L’incubo non si ripresenta da anni, e in qualche domenica primaverile torniamo beati a pedalare lungo gli argini dell’Adige godendoci la fioritura dei meli ed il leggero frullare delle foglie dei pioppi.
“Portiamo il tandem?” Quando Marisa chiede anche il mio parere significa che il suo è solo un desiderio destinato a rimanere tale, altrimenti avrebbe detto: “Non scordarti che c’è anche il tandem!” o qualcosa di simile. Io avrei brontolato come un temporale, ma una soluzione l’avrei trovata. Però i tempi non sono più gli stessi, i nostri profumi si sono appesantiti ed il tandem è rimasto in garage.
Siccome il viaggio fa parte della vacanza, è Marisa a sostenerlo, e a me sul momento era venuta meno la forza di darle ancora torto, e l’autostrada si prende solo quando è indispensabile, abbiamo viaggiato per oltre seicento chilometri su ogni tipologia di strada senza mai, dico mai, superare i limiti di velocità – non mi credevo così affezionato ai punti della mia patente -: strade statali e provinciali, bretelle e superstrade, incroci con semafori intelligenti, controlli elettronici della velocità, carabinieri in moto, vigili urbani con lampeggianti da luna park, guardie forestali a cavallo e ausiliari del traffico intristiti dall’odio collettivo, cortei contro il carovita e a sostegno della barbabietola da zucchero, un funerale e due matrimoni: è stato un autentico percorso di guerra capace di segnarti per sempre.
Per quasi tutto il tempo, Marisa ha viaggiato letteralmente aggrappata al sedile, sguardo fisso alla strada e un piede affondato con forza nel tappetino ad anticipare ogni mia possibile frenata. Non voleva saperne di guidare, figurarsi! Però, pretendeva che non solo io guidassi come voleva lei, ma che lo facessero anche tutti gli altri automobilisti. Imprecò e inveì contro ogni automobilista, ogni camionista e motociclista che incrociammo o superammo, non risparmiando neppure qualche incauto ciclista e più d’un pedone. Si assopì solo verso il tramonto, esausta, con una mano ancora stretta alla cintura di sicurezza e il piede destro allungato nell’atto di frenare. Tutto questo ieri, fino a notte fonda quando poggiammo tutto il nostro bagaglio nella casa sconosciuta che, per la verità, fin dalla prima rapida occhiata mostrò d’essere molto, ma molto più confortevole ed equipaggiata di quanto avessimo, o avessi supposto.
La caffettiera sta gorgogliando, non la nostra, ancora impachettata, e in casa c’è pure il tostapane, il televisore ed ogni altro piccolo elettrodomestico per portare il quale abbiamo sicuramente lasciato a casa qualcosa che invece verrà a mancarci. Però questo non ha più nessuna importanza, ora, e il soave profumo del caffè beatifica il mio completo risveglio. Addento un’albicocca che non ha viaggiato con noi ed apro la porta che s’affaccia sul patio. La buganvillea mi esplode negli occhi: è una benedizione, un’immagine balsamica capace di medicare ogni stanchezza del cuore. Un merlo sta cinguettando e le fronde degli eucalipti si muovono pigramente nella brezza profumata di salsedine e di lentisco.
Sono le nove e mezzo del mattino e non si sente nulla. Nulla! S’indovina solo lo sciabordio del mare che gratta indolente sulla sabbia, al di là della siepe. È il miglior benvenuto che abbia mai ricevuto in vita mia. E mentre penso che, certo, è valsa la pena vivere la giornata di ieri, e anche la precedente, vado cercando le parole più adatte per dire a Marisa che sì, che aveva proprio ragione lei, senza però dover ammettere che ragione ce l’ha sempre, o quasi.
Che fine ha fatto il tandem?
visto che marisa ha trovato una splendida casa in uno splendido luogo, avresti almeno potuto farlo tu il caffè!!!!
mi hai fatto venire voglia di estate e di mare…
..Che pace…grazie!
bella l’atmosfera che riesci a creare, anche se forse la narrazione in prima persona, quasi priva di dialoghi, lo appesantisce un pò. ma forse è solo una questione di gusti personali.
Hai reso molto bene l’atmosfera di certe partenze, e quel modo che hanno spesso le donne di agire d’istinto, contro ogni logica, e di avere (quasi) sempre ragione.
Dopo aver letto i commenti (assai generosi) che hai inviato ai miei racconti, avrei voluto immediatamente mandarti un commento ai tuoi, ma sinceramente mi suonava un poco da “voto di scambio”, perciò ho intenzionalmente rinviato ripromettendomi di farlo solo dopo aver letto altri racconti in concorso (per essere il più possibile obiettiva), ed ora che ne ho letti diversi, credo proprio di poterlo dire in tutta onestà, che il tuo TANDEM è indiscutibilmente uno dei racconti meglio scritti: negli aggettivi mai casuali, nel ritmo tenuto abilmente, nell’ironia, nello stile, nella capacità straordinaria di catapultare il lettore proprio lì, nel mezzo, fra te e Marisa, e personalmente alla fine, mi è parso d’essermi risvegliata stiracchiandomi con te, e quando hai aperto la porta, ho visto quel paradiso che raccontavi ed ho sentito in bocca il sapore della tua albicocca. BRAVO! E sai? Quando dico ai miei amici che ci sono dei miei racconti su questo sito, gli invito a leggersi subito dopo il tuo, perché sinceramente lo trovo un ottimo antidoto per liberarsi da quelle tracce di veleno, che i miei potrebbero lasciargli in corpo.COMPLIMENTI DAVVERO.