Premio Racconti nella Rete 2017 “L’eruzione perfetta” di Alba Bettoschi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Nell’autunno-inverno 2002 la Sicilia fu scossa da una serie di violente eruzioni che riversarono lava a fiumi sui versanti dell’Etna, raggiungendo case di campagna, campi, magazzini, finendo per minacciare interi paesi. Una scossa di terremoto fece tremare e gemere la cittadina di Santa Venerina, l’aeroporto di Catania fu chiuso, i danni si accumularono, alcune zone furono evacuate. I politici colsero l’occasione per rilanciare critiche e promesse. I mass media si esaltarono, gli opinionisti ebbero di che sfamarsi per lunghe 12 settimane.
A distanza di tempo, durante un’escursione in quei luoghi, mi capitò di conoscere una giovane donna. Nelle sue parole, il racconto di quel periodo, non aveva nulla di tragico. Non era paura che trapelava in ogni dettaglio, non sofferenza, né rabbia alcuna.
Ciò che più di ogni altra cosa mi restò impressa, fu il sentimento di profondo orgoglio che permeava ogni pausa, ogni singolo sguardo.
Un senso di solida appartenenza che poche altre volte ho percepito con tale veemenza.
Quella donna mi raccontò di quando era bambina e di quanto naturale fosse stato crescere all’ombra di Mamma Etna, cullata dal suo borbottio, guidata dalle scintille luminose dei lapilli che nutrono i campi e illuminano le notti dei siciliani, come fari di speranza.
Mi raccontò l’amore per la propria terra, quel legame di sangue che scorre tra i rivoli del magma e forgia l’anima del suo popolo.
Questo breve racconto rappresenta una sintesi emotiva, il tentativo di esprimere a parole quel che solo con l’anima ho potuto vivere così fortemente.
Zafferana Etnea, 23 Dicembre 2002
Il cielo è viola, rosso, giallo e grigio, la terra ogni tanto trema, la cenere scura che piove dall’alto sporca i vetri del salone.
Mamma non fa che pulirli. E pregare. Anche me chiedono di farlo, in ginocchio davanti alla porta, in direzione del fronte lavico che avanza lento e inesorabile verso la valle.
Sono mesi che il Vulcano borbotta, sputa, esplode e piange lacrime calde, che rotolano tra i lecci e le ginestre come schizzi di mosto.
La neve si è sciolta. Non sembra Natale.
Nessuno in casa pensa agli addobbi, e nemmeno ai regali. Corrono tutti per strada, invocano la Madonna della Provvidenza, piangono e ridono, dicono che Mamma Etna ha mangiato pesante, tra balzi e scossoni arrivano fin sotto il nuovo cratere, guardano affascinati la lava densa che avvolge le rocce, si fanno il segno della croce, poi tornano a casa a mangiare la scaccia di nonna, che è ragusana, ed è l’unica della famiglia in grado di prepararla a dovere.
Alla televisione dicono che questa volta l’Etna ha esagerato davvero. I politici litigano, alcuni dicono che dovremmo andare via, lasciare la casa, trasferirci altrove, almeno per un po’.
Pare che questa sia un’eruzione unica, qualcuno l’ha definita perfetta. Io non so che cosa voglia dire esattamente, so solo che non ho paura.
Il nonno mi ha detto che non ci muoveremo, che non corriamo alcun pericolo. E se lo dice lui io mi fido.
E poi da qualche notte faccio un sogno, sempre lo stesso: sono in giardino, con la tuta da neve, gioco a fare pupazzi con Assunta, mia sorella.
D’un tratto sento un rumore, mi volto verso la strada e vedo la lava rossa scendere verso casa, sento il muretto di pietra farsi incandescente, la neve sciogliersi sotto le scarpe. Assunta corre dentro, a chiamare la mamma.
Io invece non mi muovo, comincio a piangere, ho le scarpe incastrate nel fango, mi vedo in trappola.
Ma poi sento una voce dolce cantare.
“Avò”, dice “l’amuri miu, ti vogghiu beni…avò…”
In un attimo l’aria diventa fresca, profumata di maggio, io ritorno piccina, la ninna nanna che mamma mi cantava prima di mettermi a letto torna a girarmi nella testa come uno sciame di piccole api, allora prendo coraggio, sorrido, mi sfilo le scarpe impantanate e canticchio anch’io.
“Avò” ripeto, “l’ucchiuzzi di me figlia su sireni…”.
A piedi nudi, con gli occhi bassi, avanzo verso il cancello, verso la lava rossa e grumosa che odora di ferro. E mentre cammino mi sento più grande, la mia voce si fonde con l’altra, diventano un unico suono, forte, profondo, felice.
Anche l’icona della Madonna nella nicchia di pietra sembra quasi che rida. Poi d’un tratto la ginestra secca, in bilico nel vasetto davanti all’altare, sboccia di giallo.
A questo punto alzo lo sguardo, inquadro le sbarre di ferro, e poco oltre, in fondo, il profilo caldo di Mamma Etna.
E come per incanto la colata si arresta, proprio davanti al cancello.
Poi da lontano Assunta mi chiama, io mi volto.
E mi sento a casa.
E’ questo il mio posto. Ne sono certa. Non posso aver paura.
Alba,
ti inserisci a pieno titolo, insieme agli apprezzatissimi (almeno da me) Salvatore Vitale, Francesca Messina e Mariangela Casulli, tra gli autori che stanno scaldando questa edizione del concorso con un’amabile ventata che parla di Sicilia.
Ogni volta che leggo le vostre righe, invidio la connessione primordiale che vi lega alla vostra terra.
Balza veramente fuori dal foglio e rende i vostri scritti unici, praticamente vivi.
Il tuo racconto non descrive una tragedia, ma la perseveranza di un popolo forte, fiero ed orgoglioso, la sua capacità di rialzarsi e guardare al futuro, sebbene esso sembri nascosto dietro la furia della lava.
Mi è piaciuto moltissimo.
Grazie Lorenzo…:)
Non è facile descrivere in poche righe la maestosità di un’eruzione vulcanica (con il suo seguito di credenze a metà via tra la religione e la superstizione); ma tu ci sei abilmente riuscita.
Mi è piaciuto tantissimo. Complimenti, Alba.
Grazie Mariangela, tutto merito della donna che mi ha ispirato!
Hai descritto molto bene e in modo poetico il legame fortissimo che esiste fra la popolazione dei paesi etnei e la loro “Montagna” come la chiamano. Ho il privilegio, anche se straniera, di vivere anch’io da anni in quella zona incantata e percepisco il vulcano come un essere umano, una presenza che mi manca quando vado via. Complimenti!
Grazie a Lorenzo che ci accomuna nel suo graditissimo commento. Complimenti a te che hai declinato in poesia i sentimenti che anch’io provo nei confronti del vulcano, una entità primordiale che è parte integrante del nostro DNA
Bello il tuo racconto, da catanese non posso che ritrovarmi. Siamo cresciuti tutti ai piedi dell’Etna, specchio dei suoi umori mutevoli. Quiete e rabbia, inquietudine e abbandono, sono solo alcuni dei sentimenti che ci comunica e pervadono alla sua vista. Certi tramonti che la incoronano intrecciando nuvole sulla sua cima ci trasformano in re e regine, la nebbia che a volte la nasconde ci rende orfani. Questo e molto altro è l’Etna: una presenza costante che plasma le coscienze rammentando che siamo nulla di fronte alla potenza della natura e che la vita va attraversata ogni giorno, ogni istante, consapevoli della sua provvisorietà.
Grazie Consuelo, spero di aver reso l’intensità del l’emozione che ho provato io…
Alba, 25 anni fa ero proprio lì e non dimenticherò mai l’emozione che ho provato. Avevo scritto delle cose e questa che ti regalo è una parte di quel racconto sulla Sicilia vista da una veneta che è innamorata della tua isola: “… Il vulcano vomitava tutto il sangue della terra, con una lentezza che rendeva difficile comprenderne la potenza.
Le pietre incandescenti si spingevano con un movimento che in lontananza sembrava fluido, si infossavano nella Valle del Bove prima e nella Val Calanna poi, per riemergere dall’alto di cumuli lavici e rotolare addosso ad alberi che resistevano con tenacia disperata, finché, avvolti dalle fiamme, emettevano un fumo azzurro ad esalare l’anima…”