Premio Racconti nella Rete 2017 “Racconto 7” di Giuliano Cesaro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Quando provai ad entrare, molto tempo fa, un tempo così lontano ma allo stesso tempo così vicino il signore davanti al grande ingresso scintillante mi fermò con le mani protese in avanti, facendomi capire ad ampi gesti ed inequivocabilmente che l’accesso mi era negato. A nulla valsero i miei sforzi e le mie suppliche, a dire il vero non molto energiche, non riuscirono a schiodarlo dal suo proposito. Avendo preso coscienze della mia impotenza, mi allontanai un po’, restando però in quei paraggi, dove si erano radunate molte persone, chi andava e chi veniva. Un gruppo di persone che conoscevo mi venne incontro, avevano tutte la stessa disinvoltura di sempre; li abbracciai uno per uno e strinsi la mano alle ragazze. Tutti si mostrarono felici di vedermi, ci scambiammo alcuni opinioni banali sugli argomenti più disparati e ci salutammo calorosamente; li vidi proseguire e scomparire tra la folla. Fermandomi davanti alla vetrata, vidi all’interno miriadi di persone sedute ai tavoli, in piedi, per terra; mangiavano e bevevano con gusto, tiravano grandi boccate di fumo e battevano le mani sulle gambe quando qualcuno diceva qualcosa di divertente. Persone ben vestite si dondolavano su grandi lampadari di cristallo e camerieri di ogni razza ed età sgusciavano abilmente tra la gente. Anche all’interno vidi numerose persone che conoscevo, alcuni, visibilmente ubriachi, mi salutavano con grandi gesti, altri mi sorridevano, altri ancora alzavano il loro bicchiere come se volessero brindare con me a distanza. Una bambina si avvicinò a me, mi mando un bacio attraverso il vetro, si voltò e tornò saltellando in braccio ai genitori; feci un cenno di saluto anche a loro. Io risposi a queste manifestazioni di affetto con un sorriso stanco, gettai un’ultima occhiata alle tavolate, e tornai sui miei passi. Mucchi di gente entravano ed uscivano rapidamente dall’ingresso, ma gli occhi del guardiano erano sempre fissi su di me, scrutando ogni mio movimento. Mi sdraiai nella polvere, ma tutto ciò che ottenni furono delle risatine da parte di alcune signore che passavano di lì. L’enorme guardiano si avvicinò a grandi passi e, dopo avermi osservato per un po’ dall’alto, mi alzò di peso, ma delicatamente, mi tolse la polvere dai vestiti e tornò alla sua postazione. Me ne tornai verso casa, lungo il grande viale alberato, essendosi fatta notte, ed essendo le mie gambe rammollite dal troppo camminare.
“Almeno quello non me lo toglie nessuno”, mi dissi alzando gli occhi al cielo.
Ritrovai la mia stanza come l’avevo lasciata, pulita, calda e accogliente come non lo era mai stata; “in fondo si sta bene anche qui”, pensai adagiandomi sulla poltrona, quella poltrona che era lì da tempo immemore, e che sarebbe rimasta lì altri mille anni.
“Certo, ci sarà un po’ di malinconia, all’inizio; la stanza potrà sembrare grande e vuota, sarà silenziosa, ma almeno sarà calda. Le persone verranno a farmi visita di tanto in tanto, non troppo spesso, però; mi abbracceranno, mi porteranno da bere e rideranno, tirando grandi boccate di fumo. Tutto questo è giusto e naturale.
Con il tempo, questa pesantezza lascerà il posto ad una leggera allegria, più intensa giorno dopo giorno, e, dopotutto, chi può dire se quando verrà la mia ora e mi infileranno nella mia angusta barca, non avrò un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia.
Giuliano,
ben congegnato, conciso e profondo questo viaggio tra le acque gelide della solitudine umana.
Calibrato e giudizioso il messaggio finale, che lascia in bocca un lieve retrogusto di speranza.
Molto bravo!
Toccante, sì, toccante 🙂