Premio Racconti nella Rete 2017 “L’ultimo ritratto” di Andrea Polini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Quando il ragionier Benzi piazzò il cavalletto tarlato da decenni di maldestra attività pittorica sul vialetto che dava sulla scogliera pensò che da giovane non avrebbe mai immaginato come sarebbe terminata la sua sedentaria avventura di artista incompiuto. Devastato dai tanti acciacchi di un età che non avrebbe sospettato di raggiungere e da un incipiente Alzheimer che in certi giorni deprimenti gli mischiava nella mente le strade per fare ritorno a casa come fossero carte da gioco, affidato alla tutela di un nipote che non aveva tempo e volontà di accudirlo o farlo accudire nella sua casetta a due passi dal mare da una badante coscienziosa, dall’indomani sarebbe stato ospite di una malinconica casa di riposo che in tempi più felici vedeva come l’incubo della vecchiaia che avanzava. Aprì lo sgabello pieghevole e predispose i colori nella tavolozza con la consueta insipienza, poi curvo sotto il peso dei suoi anni e della sua tristezza sedette per mettere mano all’ultimo ritratto che da giorni si affacciava nella sua mente nei rari sprazzi di sole nel cielo ottuso della sua lucidità. Il libeccio freddo gli fece lacrimare gli occhi, lacrime che si mischiarono ad altre lacrime che cadevano dai ricordi. Iniziò a dipingere con l’insipienza dei suoi sentimenti senza talento, come in lunghi decenni di solitudine senza vera solitudine aveva dipinto, col consueto tratto incerto, con le mani tremanti per il freddo e forse la paura per il suo tempo colmo di amore senza vero amore che stava sfumando brutalmente, come la tonalità di un colore di un artista incompiuto. Come pittore non aveva avuto alcun apprezzamento dalle poche persone a cui nei suoi lunghi anni di solitudine aveva trovato il coraggio di mostrare i suoi ritratti maldestri. Da autodidatta senza talento e con cognizioni aleatorie dei valori pittorici di superficie, profondità e movimento aveva abbracciato la pittura neoclassica, quella romantica, poi quella realista, impressionista e post impressionista, senza mai inoltrarsi nelle avanguardie novecentesche, perché lui il volto di Maria voleva dipingerlo col suo talento da imbrattatele, ma che fosse il volto di Maria e non una sua contorta evocazione. Perché lui Maria l’aveva amata davvero, l’aveva amata nei suoi anni verdi da commessa in uno dei primi supermercati cittadini nel dopoguerra, aveva continuato ad amarla nella sua età più matura da commessa nella pasticceria più alla moda della città, sempre bellissima, esile ed elegante come la sua treccia di capelli neri e la sua voce melodiosa che domandava ai clienti in attesa di fronte allo scrigno di capolavori d’arte dolciaria che era il banco “chi ha prenotato un dolcino?”. L’aveva amata col suo amore di ometto poco attraente, timido e riservato, pur sapendo che il cuore e gli occhi di lei gli degnavano soltanto l’attenzione cortese che una brava commessa dedica ad ogni cliente, l’aveva amata col suo amore di ometto celibe e ragioniere integerrimo che si accontentava di amarla per amore dell’amore. E per suo amore aveva amato la pittura, pittore senza talento, per l’amore di ricreare il suo amore in centinaia di tele di cui lei non sospettò mai l’esistenza. Eppure in quel suo dipingere maldestro l’amava senza amarla, l’aveva senza averla, era un vivere senza vivere davvero la vita. Non si poteva dire che Maria fosse la sua musa, perché lui non era capace di esprimersi artisticamente, ma era persino di più, perché era la musa di tutta la sua vita, il sorriso dei giorni grigi di una vita sempre uguale. Amava Botticelli, la sua etica del bello, lo amava ancora di più da quando aveva saputo che gran parte dei suoi capolavori gli erano stati ispirati dalla bellezza di Simonetta Vespucci, splendida gentildonna del Rinascimento morta a soli ventidue anni forse perché l’ombra di una ruga non offuscasse il suo splendore di Venere immortale. Aveva inoltre saputo che Botticelli chiese e ottennedal vedovo della luminosa Simonetta il permesso di essere sepolto ai suoi piedi nella chiesa di Ognissanti, perché, così sembra scrisse il celeberrimo pittore, “saranno belle anche le sue ossa, e mi ispireranno in eterno”, ma questa storia così bella nella sua antica malinconia gli dava tristezza perché lui non avrebbe avuto alcun permesso di essere sepolto insieme a Maria, morta ormai da una ventina d’anni, lui non era Botticelli, gloria di Firenze, gloria di Lorenzo il Magnifico, lui era un anonimo imbrattatele, e forse Maria si sarebbe persino offesa nel vedere la sua bellezza tanto mal rappresentata. Non avrebbe potuto mai riposare vicino alla donna che a suo modo aveva reso bella la sua vita, pure se tanto ne aveva pianto in segreto la morte, l’aveva pianta come fosse stata moglie, madre e figlia, perché per lui era tutto e agli occhi del mondo doveva sembrare fosse stata niente, lei riposava accanto a suo marito, e per i suoi figli una richiesta del genere sarebbe stata solo l’ultima estrosità di un vecchio squinternato. Dipingeva col suo solito tratto incerto, infreddolito dall’impietoso libeccio, ogni tanto passava qualcuno sul lungomare e a lui sembrava di udire i suoi pensieri “guarda che scemo quel vecchio…dipinge all’aperto con questo freddo…ma cosa dipinge…dev’essere proprio matto, starebbe bene nel ricovero…” Per l’ennesima e ultima volta si rese conto di non saper dipingere, eppure l’idea di quest’ultimo ritratto alla bella Maria gli sembrava avesse qualcosa di artistico, c’era il volto di lei, come al solito sgraziato per la sua insipienza di pittore maluminoso come un plenilunio, in un cielo nero sopra un mare nero. Poco prima del tramonto affrettato di novembre, passò sul vialetto, accennandogli un sorriso, una giovanissima ragazza mora con i capelli raccolti in una lunga treccia aggraziata, e nel lucido delirio del suo Alzheimer il vecchio ragionier Giulio Benzi lo interpretò come il segno che il quadro dovesse essere lasciato così come si presentava in quel momento. Era proprio carina quella ragazza, si disse con tenerezza di vecchio, assomigliava troppo a Maria, e poi il buio era sceso, l’illuminazione pubblica era scarsa, e il freddo gli aveva messo addosso un tremito incontrollabile. Il quadro era terminato. Nonostante il freddo e il buio, restò ancora a lungo a guardarlo. Sarebbe finito in soffitta insieme alle centinaia di ritratti di Maria, poi, dopo la sua morte, suo nipote avrebbe sbarazzato tutto e li avrebbe portati alla stazione ecologica. Si disse che in effetti i suoi ritratti non meritavano una fine migliore, non sarebbe stato un nuovo Modì, bohemienne in vita e miliardario da morto. Quel che era importante, per lui, era che quei quadri avevano riempito d’amore la sua vita, l’avevano riempita d’amore senza avere un vero amore. Si disse che da domani, per quel poco che gli restava da vivere, la sua vita sarebbe stata una vita solitaria, nonostante gli ospiti e gli inservienti vicini nella casa di riposo dei suoi incubi. Perché all’ospizio forse non gli avrebbero neppure permesso di tenere il pennello, i colori, il cavalletto tarlato e le tele da imbrattare, e se glielo avessero permesso qualcuno senza educazione avrebbe rimarcato la sua inettitudine, facendolo sentire sempre di più un vecchio scemo. “Addio, Maria, a presto,” pensò, mentre con lenti movimenti di vecchio iniziava a smontare il cavalletto, davanti e sopra di lui il mare e il cielo ormai neri come nell’ultimo ritratto della bella Maria, certo che non sarebbe sopravvissuto a lungo senza quei momenti di arte senza arte, di amore senza amore, ma che per lui, nella felice contraddizione della sua solitudine senza vera solitudine, erano ciò che rendeva bella la vita.
Andrea,
il tuo personaggio mi ha commosso.
Un amore platonico che rende “l’arte senza arte, l’amore senza amore e la solitudine senza vera solitudine” la sola ragione di vita non basta all’imbrattatele per raggiungere la felicità, che gli viene drammaticamente strappata dal ricovero forzato in casa di cura.
Interessantissima la vicenda di Botticelli.
Il racconto mi è piaciuto e mi ha fatto riflettere.
Bravo
Veramente un bell racconto, commovente e intenso. Riflessioni importanti sull’amore, e su cosa dia senso alla vita. Bravissimo
Molto bello, Andrea. Dolce, dal sapore malinconico, carico di immagini, di suggestioni e di riflessioni. Complimenti.
Grazie Andrea per la poetica delicatezza di questo racconto, commuovente e profondo.
Una vita riassunta con poche “pennellate” nel tuo caso,io credo, di grande talento.
Complimenti. Un ritratto psicologico molto bello ed un grande amore per l’arte.
Bel racconto, scritto in modo lineare con parole essenziali. Può sembrare la narrazione di una vita squallida ma secondo me non è così. Il protagonista si è nutrito di quell’amore senza amore, dell’arte senza arte riempendo la sua vita di emozioni necessarie a renderlo felice senza essere felice. Ma a lui è andato bene così. Chi siamo noi per giudicare le vite altrui? Bravo Andrea hai saputo rendere chiari i sentimenti. Ciao mariangela
Delicato e commuovente.
Bravo!
Forse il rag. Benzi è più fortunato di quel che sembra e lei ha scritto una storia tesa, essenziale e possibile. Bello!