Premio Racconti nella Rete 2017 “Il volo” di Giuseppe Leone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017La stanza era buia e spoglia, solo una luce debole passava attraverso una feritoia sopra la porta in ferro. Sentiva in lontananza voci concitate, persone che urlavano, ma non riusciva a capire cosa dicessero. Aveva segni di lacci su entrambi i polsi, la lingua impastata, un dolore lancinante alla tempia. Nella stanza solo un vecchio materasso adagiato per terra.
Alberto provò a tornare con la memoria alle ultime ore che ricordava. Era arrivato con grande ritardo al piccolo aeroporto della cittadina francese. Il volo stava per partire. Era entrato trafelato nell’area partenze. “IL SIG. DE ANGELIS E’ ATTESO AL GATE 4 PER IMBARCO IMMEDIATO” gracchiavano gli altoparlanti.
Si era precipitato ai controlli di sicurezza e poi al gate. Tutti gli altri passeggeri si erano già imbarcati, attendevano solo lui. L’addetto al gate lo aveva accolto bruscamente. “Sig. De Angelis si affretti, è in forte ritardo, l’aereo non può attendere lei… Deve uscire dalla porta a vetri ed andare a piedi verso l’aereo, seguendo le linee blu che troverà per terra”.
Varcata la porta a vetri, si era ritrovato all’aperto, e si era incamminato rapido seguendo il percorso tracciato. Il freddo era pungente, ed una fitta nebbia cominciava ad avvolgere l’aeroporto. Si era diretto verso l’aereo con le luci accese ed i motori già avviati.
Salita la scaletta, si era avviato verso il suo posto, ma lo aveva trovato occupato da una donna con il capo coperto ed i tratti mediorientali, che in un inglese stentato gli aveva detto: “Questo posto è mio. Guardi, c’è scritto sul biglietto”. Era troppo stanco per discutere, c’erano altri posti liberi e ne aveva scelto uno. Aveva sistemato nella cappelliera il suo trolley di pelle rossa.
L’unico pensiero che lo confortava era che in un paio d’ore sarebbe rientrato a casa, a Roma. Si era lasciato cadere sulla poltrona, e quasi istantaneamente era immerso in un profondo sonno.
L’aveva svegliato di soprassalto il tonfo in atterraggio. Aveva sollevato la tendina del finestrino e guardato distrattamente le luci dell’aeroporto. L’aereo si stava lentamente avvicinando al terminal. Pigramente ed ancora assonnato aveva iniziato a mettere a fuoco la scritta sull’edificio che si faceva sempre più grande e nitida. Ebbe un soprassalto: AEROPORTO INTERNAZIONALE DI MARRAKECH. Era rimasto come pietrificato per qualche interminabile secondo. Poi aveva detto a sè stesso: “Non ci posso credere, l’ho fatto davvero. Fottuta nebbia. Fottuta fretta. Fottuti francesi”.
L’aereo si era fermato davanti al finger. Aveva afferrato il suo trolley e si era precipitato il prima possibile verso il tunnel di uscita. Non riusciva a capacitarsi di quanto era stato stupido. Aveva passato il più velocemente possibile il controllo passaporti e si era diretto verso l’ufficio informazioni. “Quando parte il primo aereo per Roma?” aveva chiesto alla signora dietro il banco. Il suo stato era un mix di agitazione e rabbia. La donna lo aveva guardato con circospezione. “Il primo volo per Roma è domani mattina alle 12. Per acquistare il biglietto dovrà tornare domani, la biglietteria è chiusa”. “Come posso trovare un hotel per stanotte?” aveva chiesto Alberto. “Esca dall’aeroporto e si rivolga all’ufficio Turismo che troverà di fronte”.
Si era subito diretto all’ufficio Turismo. Appena uscito dall’aeroporto due uomini con abiti scuri e camicia nera gli si erano parati di fronte. “Monsieur Girard?” “No, sono…” Non gli avevano lasciato il tempo di rispondere, lo avevano afferrato da entrambe le braccia, trascinato con decisione verso un SUV nero parcheggiato di fronte e scaraventato all’interno. Una terza persona nell’auto lo aveva colpito violentemente alla testa e gli aveva coperto la bocca con una garza umida, infine legato i polsi. Poi, il buio.
Le voci fuori dalla stanza si facevano sempre più vicine. La porta si aprì. Una persona con una tuta nera ed il volto coperto da un passamontagna varcò la soglia con un borsone in una mano ed una pistola nell’altra. Ma subito si bloccò ed indietreggiò. “Dio mio, non sei tu!” Una voce femminile. Si tolse il passamontagna. Una cascata di capelli corvini incorniciava un volto duro, spigoloso, ma di una bellezza folgorante. Due grandi occhi verde smeraldo lo fissavano.
“Presto, alzati. Dobbiamo uscire di qui ed allontanarci il più possibile” disse la donna.
“Ma perchè?” provò a protestare Alberto “cosa sta succedendo? Perchè sono qui? C’è un errore!”.
“Ci tieni a vivere? Allora smetti di fare domande e seguimi”.
Uscirono su un corridoio stretto e buio. Corsero verso la porta e si ritrovarono in un piccolo cortile chiuso sui tre lati da un recinto in ferro. Gli altri si erano accorti della fuga ed urlavano, aizzando cani che abbaiavano furiosi. “Presto, scavalca il recinto, se non vuoi che ti ammazzi subito”. Alberto non se lo fece ripetere e saltò. La donna lanciò dall’altra parte il borsone e scavalcò anche lei.
Si diressero verso la casbah. Corsero a perdifiato per i vicoli stretti ed affollati. Infine, stremati, aprirono la porta di una moschea ed entrarono.
“Come ti chiami?” chiese Alberto.
“Karima. E tu?”
“Alberto. Cosa succede? Chi sei tu? Perchè sono qui?”
“Faccio parte di un’organizzazione antimonarchica. Avevamo un contatto in Europa per la fornitura di armi, un francese di nome Girard. Abbiamo ricevuto la soffiata di un informatore: Girard è un doppiogiochista, vende a noi le armi, ma collabora anche con il nostro governo. La stessa fonte ci ha anche informato che sarebbe arrivato oggi a Marrakech per incontrare funzionari del governo. Abbiamo deciso di sequestrarlo e trattare con il nostro governo e quello francese per la sua liberazione.”
“Ed io cosa c’entro con tutto questo?”
“Per non insospettire Girard, abbiamo mandato in aeroporto persone che non lo hanno mai incontrato prima e che non lo conoscono di persona. Sapevano solo che sarebbe arrivato con il volo da Nantes delle 18, che era un europeo, ed aveva una valigia rossa… Ti hanno confuso con lui.”
“Continuo a non capire… Perchè sei fuggita con me?”
“L’organizzazione sta cambiando, sta diventando sempre più legata agli estremisti religiosi, sempre più violenta e distante dalla gente. Non mi ci riconosco più. E mi fa paura. Ma non ti puoi svegliare un giorno e dire: ehi, ho cambiato idea, vado via. Questo è un tradimento, e si paga con la vita. Posso solo cercare di fuggire, lontano da Marrakech, lontano dal Marocco. Nel borsone ci sono soldi dell’organizzazione, mi basteranno per organizzare la fuga e sopravvivere.”
“Ma perchè hai trascinato me? Potevi lasciarmi lì, potevo spiegare, non è me che cercavano…”
“Forse non ti è chiaro in che guaio ti trovi… Hai visto quelle persone in faccia, hai visto il luogo in cui ti hanno rinchiuso, e soprattutto non gli servi. Sei un condannato a morte. Ma servi a me. Siamo in Marocco, una donna che gira da sola in piena notte, che va da sola a dormire in albergo, non passa inosservata, suscita sospetti, e mi ritroverei subito la polizia alle calcagna. Adesso ti dico cosa faremo. Andremo in un piccolo hotel qui vicino, un posto discreto, non faranno domande se ci vedono insieme. Domani mattina andremo in aeroporto con un taxi, ci aspetta una persona con un aereo privato, una parte di questi soldi sono per lui. Ci aiuterà ad arrivare sulla pista senza passare i controlli di sicurezza. Ci porterà in Spagna, a Malaga. E lì le nostre strade si divideranno. Credimi, è l’unica speranza di salvezza per me e per te.”
Alberto era stordito, gli sembrava tutto così incredibile, ma capiva di non avere scelta. Uscirono dalla moschea e si diressero verso l’hotel. Chiesero una stanza al primo piano e con affaccio sulla strada, sarebbe stato più facile fuggire in caso di necessità.
La stanza era piccola ma pulita. Karima ripose il borsone nell’armadio e lo chiuse a chiave. Poi si tolse i vestiti e la biancheria intima: “vado a fare una doccia” disse “ti lascio la pistola sul comodino, tieni gli occhi aperti”. Alberto la seguiva con lo sguardo, ammirava le sue forme perfette, le sue movenze felpate, la sua pelle liscia e lucida. Era stata una giornata massacrante, ma l’adrenalina e l’eccitazione lo tenevano sveglio.
Karima uscì dal bagno avvolta da un asciugamano e con i capelli raccolti. Si sdraiò sul letto accanto a lui. Senza lasciargli il tempo di dire una parola, gli passò una mano dietro la nuca, lo avvicinò a sè e lo baciò. La finestra era aperta, all’esterno ormai non si sentivano più voci nè rumori. Nel silenzio della stanza si sentivano solo i loro respiri ed i movimenti dei loro corpi. Dopo tanti, troppi anni, Alberto si sentiva travolto dalla passione. Dopo tanti, troppi anni, si sentiva vivo.
Karima alla fine si abbandonò con dolcezza sul suo corpo, e con il viso appoggiato sulla sua spalla si addormentò. Alberto ripercorse con la mente quella giornata pazzesca. Era consapevole del pericolo che incombeva sulla sua vita, ma nello stesso tempo era pervaso da una calma surreale. Dopo pochi secondi si addormentò anche lui, serenamente.
Fu svegliato bruscamente da una voce squillante e un po’ metallica: “Stiamo iniziando la discesa verso l’aeroporto di Roma Fiumicino, dove atterreremo tra dieci minuti circa…” Rimase per qualche secondo paralizzato ed un po’ inebetito. Marrakech, la stanza buia, Karima, l’hotel… sembrava tutto così reale…
L’aereo atterrò con un leggero ritardo. Prese il suo trolley rosso (cominciava a piacergli), uscì dall’aeromobile e si avviò verso l’area di parcheggio dove aveva lasciato la sua auto. Camminava stanco e perplesso, come se si trovasse nel posto sbagliato. Accese il cellulare, che dopo pochi secondi squillò. Lesse il display, era Elena, sua moglie.
“Ciao Elena”
“Alberto ma che fine hai fatto? Aspettavo la tua telefonata”
“Sono appena atterrato, l’aereo ha fatto ritardo”
“Hai dimenticato che stasera siamo a cena dai miei? Lo sai che ci vogliono puntuali alle nove. Ricordati di prendere al duty free quelle bottiglie che ti ho chiesto, mio padre ne va matto. Ah, domani mattina mi devi accompagnare all’Ikea, devo assolutamente comprare quelle sedie per il giardino”
“Ma Elena domani mattina…”
“Non cominciare a trovare scuse, non voglio fare sempre tutto da sola. Tra l’altro dobbiamo fare la spesa per domani sera, Claudio e Francesca hanno confermato che verranno a cena. Verranno anche Giovanna e Fabio, sai che allegria…”
“Domani sera volevo andare al teatro…”
“Che palle ‘sto teatro! Piuttosto, hai prenotato l’agriturismo per domenica? Se non ti sbrighi non troveremo più posto”
“Elena devo chiudere, sto prendendo la macchina” e senza attendere risposta Alberto chiuse la telefonata.
Imboccò il corridoio che portava al parcheggio interrato. Passò davanti alla biglietteria (era ancora aperta). Si fermò, poi tornò indietro, entrò nella biglietteria. Una ragazza gentile e sorridente lo accolse.
“Buonasera signore”
“Buonasera. Per favore, quando parte il primo volo per Marrakech?”
Giuseppe,
accattivante e dalla prosa energica, serrata e piacevolissima, degna delle migliori spy story.
Ho soprattutto apprezzato la tua capacità di celare al lettore il vero oggetto della storia: ti giuro che fino a metà del racconto ero praticamente convinto che si trattasse di un dirottamento di volo in stile 11 settembre.
E poi, invece, la sterzata verso il tema principale, il recondito bisogno dell’uomo di sfuggire alla routine per abbracciare il pericoloso ma ben più appagante ignoto.
Bello, bello: bravissimo.
Racconto coinvolgente, molto attuale. Bravo!
Complimenti Giuseppe. La storia che racconti è scritta veramente bene!
Giuseppe che meraviglia! Ritmo, velocità e colpi di scena, finale grandioso, scritto benissimo, fluido ed elegante si legge d’un fiato.
Bravissimo!
Una narrazione avvincente per una storia credibile e ben scritta. Complimenti Giuseppe
Grazie per i vostri commenti, siete molto generosi -:)
Un thriller ben costruito e molto credibile.
Un storia ben inseribile nell’attualità fattuale.
A me sembra che il racconto sia fondamentalmente ironico e forse perfino auto ironico, me lo conferma il tocco di humor nel finale,il sorriso è cosa rara 🙂
Grazie Ugo, felice che ti sia piaciuto