Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Ma com’è stretta la città” di Daniele Ossola

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Bruno è il guardiano del parco.

Ha una memoria ottima. La fermezza della sua possente struttura, propria della Bassa Padana, fortificata dall’umido, gelido e afoso clima delle vaste distese dei campi, gli hanno fatto una testa così poderosa che, quando fa a botte, appena si accorge dei colpi che riceve, sorride; e quando ci si scolpisce dentro qualche cosa, nulla più lo può cancellare. Non ha mai dimenticato niente. Concepisce le cose in modo tanto più vivo e netto, giacché la sua infanzia non era stata sovraccaricata con le inutilità e le scempiaggini che affliggono la nostra; e le cose gli entrano nel cervello senza nebulosità. E’ una persona semplice, mentalmente poco sviluppata.

Tanto è vero che un giorno il prete, Don Crispino, per conferirgli un po’ di autostima, decise di fargli leggere il vangelo di Marco. Bruno divorò le pagine con gran piacere ma, siccome non sapeva né in che tempo né in che luogo tutte quelle avventure narrate in quel libro erano capitate, non ebbe nessun dubbio che la scena si svolgesse lungo gli argini del Po e giurò che avrebbe tagliato la testa e le orecchie a Caifa e a Pilato, se mai gli fossero venuti tra le mani, codesti mascalzoni.

Adesso è lì, preso dal suo nuovo lavoro. Dagli stivaletti con suola spessa e tacchi spropositati, spuntano due sottili gambette che hanno l’ingrato compito di sorreggere un corpo voluminoso. Proseguono come bastoni nodosi ricoperti, in prossimità delle ginocchia, dai pantaloni rivoltati.

Nonostante la sua età abbia ormai raggiunto i quindici lustri, si diverte ad assumere la posizione dei fenicotteri che abitano lo stagno.

Con la gamba destra piegata ad angolo acuto, sorride e il pesante labbrone inferiore che penzola si abbassa ancor di più mentre quello superiore assume la forma di una sottile lama che taglia in due il suo viso. L’apertura delle labbra mette in mostra una doppia arcata armoniosa di bianchi e lucenti denti, simili a steccati, dove le punte sono tutte arrotondate allo stesso modo, impedendo la distinzione tra incisivi, canini e premolari.

Sembrano due stampi in PVC, made in China, a un dollaro al pezzo.

Improvvisamente, vede arrivare un turbine impetuoso. Esce dallo stagno, correndo in modo goffo a causa degli stivali che si incollano nella melma, e si dirige verso la casupola. Non ce la fa. Una nuvola di sottile pulviscolo lo avvolge in un turbinio che, violentemente, assume la forma di una campana dove Bruno ne rappresenta l’immobile battacchio. In quella posizione rimane, non si sa per quanto tempo; sufficiente per ricordargli un’analoga esperienza, l’autunno scorso, lungo Lido di Ostia dove una sera, colto da un’analoga tromba d’aria, non era riuscito a raggiungere la pensione Palmira. Il sogno lo avvolge portandolo violentemente al presente.

Vede una signora di mezza età, mentre cammina lungo la battigia, colpita da due lunghe gambe spuntare dalla sabbia e, dopo un attimo di esitazione, esclama: “Li mortacci tua e de tu nonno… e cchi è sto qqua!” – gli si avvicina e lo sveglia – “Ehi signore, buon giorno!”

Bruno, abbassando leggermente l’asciugamano all’altezza del naso, si tocca il volto, le ossa, si guarda in giro e le chiede dove si trova.

“Io mi chiamo Adelina, Lina a reggina der Tufello, siamo a Ostia … a du passi da Roma. Ha mai sentito parlare di Roma Caput Mundi?” – gasata perché intuisce che è un turista – “Semo noartri er mejo der monno!”

Bruno si alza e, oltre ad aver ripreso coscienza, porge la mano ad Adelina e si scusa per il suo abbigliamento: “Vengo da Crema … mi chiamo Bruno Colombo, ma tutti mi conoscono come BiCi, dalle iniziali del mio nome e cognome, e poi perché uso la bicicletta nel mio lavoro di guardiano in un parco lungo il Po. Ieri sera, mentre stavo rientrando alla pensione Palmira, sono rimasto bloccato da una bufera di sabbia e poi, dalla paura, mi sono coperto con l’asciugamano, ho chiuso gli occhi e mi sono addormentato. Sono qui in vacanza. Il prete del mio paese mi ha detto di scoprire le ricchezze di Roma.”

“Ricchezze? Ma quali ricchezze. Deve sapere, signor Bici, che tutte le ricchezze, accumulate dai nostri antenati, se le ssò maggnate tutte … e semo rimasti con un sacco di problemi. C’avemo  er Tevere, er Colosseo ma non basta. Non ci è rimasto che il canto, la musica … tanto pe’ cantà … e il sogno. Sognare non costa niente.”

“Come siete fatalisti, da queste parti. Non potete rimboccarvi le maniche come da noi al Nord?”

“Venga con me. Le faccio toccare con mano la nostra realtà quotidiana così si rende conto che cosa ha guadagnato a venire sul lido di Ostia. Prenda il mio esempio. Io sono una pensionata e sono costretta a quest’ora del mattino, e sono le cinque” – indicando l’orologio di un campanile – “ad andare a fare la coda all’Ufficio Postale che apre alle nove.”

“E lei ci va con quattro ore di anticipo?”

“Certo! Per essere tra le prime, altrimenti devo farmi una coda che non finisce più. E’ il destino di tanti pensionati come me, che prima di andare al mercato …”

Interrompendola: “Beh! Sono proprio curioso di scoprire cosa c’è qui attorno, Roma può aspettare. L’accompagno. Farò finta di non esserci.”

“Bene, Bici, andiamo in Posta. Namo?”

Il piccolo ufficio, squallido e dimesso, è gestito da Romolé, un signore anziano, sempre vestito di scuro e sommerso da carte. Gigetta, la sua assistente, è una ragazza carina e simpatica, in jeans che sta sfogliando un giornale di moda, seduta all’altro tavolo.

Adelina inizia il suo rituale: “A Romolée … Signor Romoletto? … Romolo ……?”

Gigetta fa notare al suo capo che è la solita signora, quella pensionata che ogni due mesi dà il segnale di apertura. L’anziano direttore ribadisce la stima verso Adelina che considera la persona più educata e gentile tra tutti i suoi clienti.

Gigetta: “Ed è l’unica che la chiama affettuosamente … Signor Romoletto.”

Adelina, dalla strada: “Signor Romolettooo? Siamo già nei minuti di recupero!”

Romole’: “Ieri deve essere andata all’Olimpico a vedere Roma-Napoli. Vada ad aprire Giggé.” Gigetta, con aria un po’ annoiata e con il giornale in mano, canticchia “Daie de tacco daie de punta quant’è bbona a sora Assunta”. Fa entrare Adelina che si precipita davanti alla scrivania del signor Romoletto mettendogli sotto il naso il libretto della pensione.

Romole’, prendendolo con due dita, lo esamina. “Ma Sora Lina è tutto unto!”

“D’olio, sì. Purtroppo l’avevo di fianco al piatto quanno stavo à concià e puntarelle … e i carciofi à la romana pemmé e pe mi zi’ Flora. Devo dimagrire, per scavalcare il cancello dello stadio ed entrare gratis nella curva Sud. Mangio solo verdura anche perché, da quando mi mancano i miei cinquantaquattro denti…”

Romole’, con una sonora risata: “Le mancano cinquantaquattro denti? Ma se ne abbiamo solo trentadue!”

“Lo so, ma ho perso anche la dentiera!”

“Ma perché lei tiene il libretto della pensione di fianco al piatto?”

“Se guardo quanto prendo … mi ricordo di mangiare poco!”

Romole’ la interrompe bruscamente e si rivolge a Gigetta chiedendole di consegnare alla signora il solito modulo da compilare.

Adelina: “Sì ma io, come al solito, non sono capace di scrivere …”

Romole’, cominciando a spazientirsi, prosegue nel suo lavoro dando disposizione a Gigetta di aiutarla nella compilazione del modulo.

Adelina, si rivolge a Bruno che è fuori, nascosto dietro l’anta del portoncino, toglie dalla borsa la sciarpa della Roma e, agitandola: “Vede, mio caro guardiano, quali sono i nostri problemi? L’unica via di scampo è il pensiero fisso alle partite di calcio … alè …ooo! L’unica via di scampo è il pensiero fisso alla curva Sud che ci disintossica e per qualche giorno sogniamo ad occhi aperti. L’unica cosa che non costa niente sono proprio i sogni. Mi scusi ma devo fare un’altra commissione.” Si rivolge a Gigetta e, a bassa voce: “Vorrei spedire anche una raccomandata.”

Gigetta: “Me la dia Sora Lina.”

Di rimbalzo, quasi seccata: “Signorina, per favore! Mmm… ma mi sposerò presto. Sono proprio qui per rispondere a un avviso matrimoniale che fa al caso mio. Legga lei” – estrae un giornale dalla borsa … – “qui.”

Gigetta, passando il palmo della mano sul foglio spiegazzato:        “Laureato, quarantenne conoscerebbe scopo matrimonio, signorina colta, intellettuale.”

Romole’, abbassando gli occhiali sulla punta del naso e in tono sarcastico: “Proprio lei!” e continua a leggere le sue carte.

Gigetta: “… graziosa, alta, sottile.”

Adelina: “Sono una falsa grassa!”

Romole’: “E io sono George Clooney!”

Gigetta, spazientita: “Insomma, signorina, dove ce l’ha questa raccomandata? Trattandosi di una lettera d’amore gliela potrei scrivere io.”

“Brava! Me la scriva lei” – sognante, fa due passi verso Bruno e Gigetta inizia a scrivere – “se perdo venti chili in dieci giorni, vedrò di catturare l’amore del laureato quarantenne facendomi aiutare dal venticello di Roma…” Si muove leggiadra al ritmo di una melodia che le esce dalle labbra.”

Bruno, nella sua semplicità, è confuso. Gli fa tenerezza quell’ometto, che potrebbe avere la sua età, inchiodato ogni giorno dietro una scrivania, in un luogo chiuso a dover a che fare con gente che rompe le scatole.

Gigetta: “Ascoltate che lettera” – Egregio laureato quarantenne, il suo annuncio sul giornale mi ha fatto provare una grande emozione. Da qualche giorno non dormo, non digerisco e allora mi sono decisa a scriverle per informarla che io sono colta e intellettuale. Inoltre, sono graziosa, alta, sottile… tanto sottile che la circonferenza dei miei fianchi potrebbe essere misurata tra il dito pollice e il mignolo …”

Romole’: “…d’un elefante.”

Gigetta: “Insomma, io sono la donna che fa per lei. Spero che questa mia proposta venga da lei accettata e considerata.”

Adelina: “Che bello! Ma, per il momento, rimando questo sogno in attesa di tempi migliori,” – cambia atteggiamento diventando dura  –  “salterò il cancello, andrò nella curva Sud, mi siederò vicino ar Patata, er capo dei tifosi. Poi andremo a parlà con Totti, er mito,” – uscendo dalla Posta e agitando la sciarpa della Roma – “Forza Roma forza lupi, so finiti i tempi cupi!”

Bruno, esterefatto, la lascia andare e corre, con le sue lunghe falcate, dalla parte opposta.

Un po’ perché Adelina parla una lingua diversa dalla sua, un po’ perché la trova insistente e pesante… auto in doppia fila, motorini che saltano sui marciapiedi… Decide di ritornare alla pensione e ripartire. Lo aspettano i rilassanti silenzi dei pioppi accarezzati dal vento, il lento fluire del fiume e i buffi, eleganti fenicotteri con le zampe affondate nello stagno.

Padrone di se stesso e responsabile della natura che lo avvolge e coinvolge.

Bruno è il guardiano del parco.

Ha una memoria ottima. La fermezza della sua possente struttura, propria della Bassa Padana, fortificata dall’umido, gelido e afoso clima delle vaste distese dei campi, gli hanno fatto una testa così poderosa che, quando fa a botte, appena si accorge dei colpi che riceve, sorride; e quando ci si scolpisce dentro qualche cosa, nulla più lo può cancellare. Non ha mai dimenticato niente. Concepisce le cose in modo tanto più vivo e netto, giacché la sua infanzia non era stata sovraccaricata con le inutilità e le scempiaggini che affliggono la nostra; e le cose gli entrano nel cervello senza nebulosità. E’ una persona semplice, mentalmente poco sviluppata.

Tanto è vero che un giorno il prete, Don Crispino, per conferirgli un po’ di autostima, decise di fargli leggere il vangelo di Marco. Bruno divorò le pagine con gran piacere ma, siccome non sapeva né in che tempo né in che luogo tutte quelle avventure narrate in quel libro erano capitate, non ebbe nessun dubbio che la scena si svolgesse lungo gli argini del Po e giurò che avrebbe tagliato la testa e le orecchie a Caifa e a Pilato, se mai gli fossero venuti tra le mani, codesti mascalzoni.

Adesso è lì, preso dal suo nuovo lavoro. Dagli stivaletti con suola spessa e tacchi spropositati, spuntano due sottili gambette che hanno l’ingrato compito di sorreggere un corpo voluminoso. Proseguono come bastoni nodosi ricoperti, in prossimità delle ginocchia, dai pantaloni rivoltati.

Nonostante la sua età abbia ormai raggiunto i quindici lustri, si diverte ad assumere la posizione dei fenicotteri che abitano lo stagno.

Con la gamba destra piegata ad angolo acuto, sorride e il pesante labbrone inferiore che penzola si abbassa ancor di più mentre quello superiore assume la forma di una sottile lama che taglia in due il suo viso. L’apertura delle labbra mette in mostra una doppia arcata armoniosa di bianchi e lucenti denti, simili a steccati, dove le punte sono tutte arrotondate allo stesso modo, impedendo la distinzione tra incisivi, canini e premolari.

Sembrano due stampi in PVC, made in China, a un dollaro al pezzo.

Improvvisamente, vede arrivare un turbine impetuoso. Esce dallo stagno, correndo in modo goffo a causa degli stivali che si incollano nella melma, e si dirige verso la casupola. Non ce la fa. Una nuvola di sottile pulviscolo lo avvolge in un turbinio che, violentemente, assume la forma di una campana dove Bruno ne rappresenta l’immobile battacchio. In quella posizione rimane, non si sa per quanto tempo; sufficiente per ricordargli un’analoga esperienza, l’autunno scorso, lungo Lido di Ostia dove una sera, colto da un’analoga tromba d’aria, non era riuscito a raggiungere la pensione Palmira. Il sogno lo avvolge portandolo violentemente al presente.

Vede una signora di mezza età, mentre cammina lungo la battigia, colpita da due lunghe gambe spuntare dalla sabbia e, dopo un attimo di esitazione, esclama: “Li mortacci tua e de tu nonno… e cchi è sto qqua!” – gli si avvicina e lo sveglia – “Ehi signore, buon giorno!”

Bruno, abbassando leggermente l’asciugamano all’altezza del naso, si tocca il volto, le ossa, si guarda in giro e le chiede dove si trova.

“Io mi chiamo Adelina, Lina a reggina der Tufello, siamo a Ostia … a du passi da Roma. Ha mai sentito parlare di Roma Caput Mundi?” – gasata perché intuisce che è un turista – “Semo noartri er mejo der monno!”

Bruno si alza e, oltre ad aver ripreso coscienza, porge la mano ad Adelina e si scusa per il suo abbigliamento: “Vengo da Crema … mi chiamo Bruno Colombo, ma tutti mi conoscono come BiCi, dalle iniziali del mio nome e cognome, e poi perché uso la bicicletta nel mio lavoro di guardiano in un parco lungo il Po. Ieri sera, mentre stavo rientrando alla pensione Palmira, sono rimasto bloccato da una bufera di sabbia e poi, dalla paura, mi sono coperto con l’asciugamano, ho chiuso gli occhi e mi sono addormentato. Sono qui in vacanza. Il prete del mio paese mi ha detto di scoprire le ricchezze di Roma.”

“Ricchezze? Ma quali ricchezze. Deve sapere, signor Bici, che tutte le ricchezze, accumulate dai nostri antenati, se le ssò maggnate tutte … e semo rimasti con un sacco di problemi. C’avemo  er Tevere, er Colosseo ma non basta. Non ci è rimasto che il canto, la musica … tanto pe’ cantà … e il sogno. Sognare non costa niente.”

“Come siete fatalisti, da queste parti. Non potete rimboccarvi le maniche come da noi al Nord?”

“Venga con me. Le faccio toccare con mano la nostra realtà quotidiana così si rende conto che cosa ha guadagnato a venire sul lido di Ostia. Prenda il mio esempio. Io sono una pensionata e sono costretta a quest’ora del mattino, e sono le cinque” – indicando l’orologio di un campanile – “ad andare a fare la coda all’Ufficio Postale che apre alle nove.”

“E lei ci va con quattro ore di anticipo?”

“Certo! Per essere tra le prime, altrimenti devo farmi una coda che non finisce più. E’ il destino di tanti pensionati come me, che prima di andare al mercato …”

Interrompendola: “Beh! Sono proprio curioso di scoprire cosa c’è qui attorno, Roma può aspettare. L’accompagno. Farò finta di non esserci.”

“Bene, Bici, andiamo in Posta. Namo?”

Il piccolo ufficio, squallido e dimesso, è gestito da Romolé, un signore anziano, sempre vestito di scuro e sommerso da carte. Gigetta, la sua assistente, è una ragazza carina e simpatica, in jeans che sta sfogliando un giornale di moda, seduta all’altro tavolo.

Adelina inizia il suo rituale: “A Romolée … Signor Romoletto? … Romolo ……?”

Gigetta fa notare al suo capo che è la solita signora, quella pensionata che ogni due mesi dà il segnale di apertura. L’anziano direttore ribadisce la stima verso Adelina che considera la persona più educata e gentile tra tutti i suoi clienti.

Gigetta: “Ed è l’unica che la chiama affettuosamente … Signor Romoletto.”

Adelina, dalla strada: “Signor Romolettooo? Siamo già nei minuti di recupero!”

Romole’: “Ieri deve essere andata all’Olimpico a vedere Roma-Napoli. Vada ad aprire Giggé.” Gigetta, con aria un po’ annoiata e con il giornale in mano, canticchia “Daie de tacco daie de punta quant’è bbona a sora Assunta”. Fa entrare Adelina che si precipita davanti alla scrivania del signor Romoletto mettendogli sotto il naso il libretto della pensione.

Romole’, prendendolo con due dita, lo esamina. “Ma Sora Lina è tutto unto!”

“D’olio, sì. Purtroppo l’avevo di fianco al piatto quanno stavo à concià e puntarelle … e i carciofi à la romana pemmé e pe mi zi’ Flora. Devo dimagrire, per scavalcare il cancello dello stadio ed entrare gratis nella curva Sud. Mangio solo verdura anche perché, da quando mi mancano i miei cinquantaquattro denti…”

Romole’, con una sonora risata: “Le mancano cinquantaquattro denti? Ma se ne abbiamo solo trentadue!”

“Lo so, ma ho perso anche la dentiera!”

“Ma perché lei tiene il libretto della pensione di fianco al piatto?”

“Se guardo quanto prendo … mi ricordo di mangiare poco!”

Romole’ la interrompe bruscamente e si rivolge a Gigetta chiedendole di consegnare alla signora il solito modulo da compilare.

Adelina: “Sì ma io, come al solito, non sono capace di scrivere …”

Romole’, cominciando a spazientirsi, prosegue nel suo lavoro dando disposizione a Gigetta di aiutarla nella compilazione del modulo.

Adelina, si rivolge a Bruno che è fuori, nascosto dietro l’anta del portoncino, toglie dalla borsa la sciarpa della Roma e, agitandola: “Vede, mio caro guardiano, quali sono i nostri problemi? L’unica via di scampo è il pensiero fisso alle partite di calcio … alè …ooo! L’unica via di scampo è il pensiero fisso alla curva Sud che ci disintossica e per qualche giorno sogniamo ad occhi aperti. L’unica cosa che non costa niente sono proprio i sogni. Mi scusi ma devo fare un’altra commissione.” Si rivolge a Gigetta e, a bassa voce: “Vorrei spedire anche una raccomandata.”

Gigetta: “Me la dia Sora Lina.”

Di rimbalzo, quasi seccata: “Signorina, per favore! Mmm… ma mi sposerò presto. Sono proprio qui per rispondere a un avviso matrimoniale che fa al caso mio. Legga lei” – estrae un giornale dalla borsa … – “qui.”

Gigetta, passando il palmo della mano sul foglio spiegazzato:        “Laureato, quarantenne conoscerebbe scopo matrimonio, signorina colta, intellettuale.”

Romole’, abbassando gli occhiali sulla punta del naso e in tono sarcastico: “Proprio lei!” e continua a leggere le sue carte.

Gigetta: “… graziosa, alta, sottile.”

Adelina: “Sono una falsa grassa!”

Romole’: “E io sono George Clooney!”

Gigetta, spazientita: “Insomma, signorina, dove ce l’ha questa raccomandata? Trattandosi di una lettera d’amore gliela potrei scrivere io.”

“Brava! Me la scriva lei” – sognante, fa due passi verso Bruno e Gigetta inizia a scrivere – “se perdo venti chili in dieci giorni, vedrò di catturare l’amore del laureato quarantenne facendomi aiutare dal venticello di Roma…” Si muove leggiadra al ritmo di una melodia che le esce dalle labbra.”

Bruno, nella sua semplicità, è confuso. Gli fa tenerezza quell’ometto, che potrebbe avere la sua età, inchiodato ogni giorno dietro una scrivania, in un luogo chiuso a dover a che fare con gente che rompe le scatole.

Gigetta: “Ascoltate che lettera” – Egregio laureato quarantenne, il suo annuncio sul giornale mi ha fatto provare una grande emozione. Da qualche giorno non dormo, non digerisco e allora mi sono decisa a scriverle per informarla che io sono colta e intellettuale. Inoltre, sono graziosa, alta, sottile… tanto sottile che la circonferenza dei miei fianchi potrebbe essere misurata tra il dito pollice e il mignolo …”

Romole’: “…d’un elefante.”

Gigetta: “Insomma, io sono la donna che fa per lei. Spero che questa mia proposta venga da lei accettata e considerata.”

Adelina: “Che bello! Ma, per il momento, rimando questo sogno in attesa di tempi migliori,” – cambia atteggiamento diventando dura  –  “salterò il cancello, andrò nella curva Sud, mi siederò vicino ar Patata, er capo dei tifosi. Poi andremo a parlà con Totti, er mito,” – uscendo dalla Posta e agitando la sciarpa della Roma – “Forza Roma forza lupi, so finiti i tempi cupi!”

Bruno, esterefatto, la lascia andare e corre, con le sue lunghe falcate, dalla parte opposta.

Un po’ perché Adelina parla una lingua diversa dalla sua, un po’ perché la trova insistente e pesante… auto in doppia fila, motorini che saltano sui marciapiedi… Decide di ritornare alla pensione e ripartire. Lo aspettano i rilassanti silenzi dei pioppi accarezzati dal vento, il lento fluire del fiume e i buffi, eleganti fenicotteri con le zampe affondate nello stagno.

Padrone di se stesso e responsabile della natura che lo avvolge e coinvolge.

Bruno è il guardiano del parco.

Ha una memoria ottima. La fermezza della sua possente struttura, propria della Bassa Padana, fortificata dall’umido, gelido e afoso clima delle vaste distese dei campi, gli hanno fatto una testa così poderosa che, quando fa a botte, appena si accorge dei colpi che riceve, sorride; e quando ci si scolpisce dentro qualche cosa, nulla più lo può cancellare. Non ha mai dimenticato niente. Concepisce le cose in modo tanto più vivo e netto, giacché la sua infanzia non era stata sovraccaricata con le inutilità e le scempiaggini che affliggono la nostra; e le cose gli entrano nel cervello senza nebulosità. E’ una persona semplice, mentalmente poco sviluppata.

Tanto è vero che un giorno il prete, Don Crispino, per conferirgli un po’ di autostima, decise di fargli leggere il vangelo di Marco. Bruno divorò le pagine con gran piacere ma, siccome non sapeva né in che tempo né in che luogo tutte quelle avventure narrate in quel libro erano capitate, non ebbe nessun dubbio che la scena si svolgesse lungo gli argini del Po e giurò che avrebbe tagliato la testa e le orecchie a Caifa e a Pilato, se mai gli fossero venuti tra le mani, codesti mascalzoni.

Adesso è lì, preso dal suo nuovo lavoro. Dagli stivaletti con suola spessa e tacchi spropositati, spuntano due sottili gambette che hanno l’ingrato compito di sorreggere un corpo voluminoso. Proseguono come bastoni nodosi ricoperti, in prossimità delle ginocchia, dai pantaloni rivoltati.

Nonostante la sua età abbia ormai raggiunto i quindici lustri, si diverte ad assumere la posizione dei fenicotteri che abitano lo stagno.

Con la gamba destra piegata ad angolo acuto, sorride e il pesante labbrone inferiore che penzola si abbassa ancor di più mentre quello superiore assume la forma di una sottile lama che taglia in due il suo viso. L’apertura delle labbra mette in mostra una doppia arcata armoniosa di bianchi e lucenti denti, simili a steccati, dove le punte sono tutte arrotondate allo stesso modo, impedendo la distinzione tra incisivi, canini e premolari.

Sembrano due stampi in PVC, made in China, a un dollaro al pezzo.

Improvvisamente, vede arrivare un turbine impetuoso. Esce dallo stagno, correndo in modo goffo a causa degli stivali che si incollano nella melma, e si dirige verso la casupola. Non ce la fa. Una nuvola di sottile pulviscolo lo avvolge in un turbinio che, violentemente, assume la forma di una campana dove Bruno ne rappresenta l’immobile battacchio. In quella posizione rimane, non si sa per quanto tempo; sufficiente per ricordargli un’analoga esperienza, l’autunno scorso, lungo Lido di Ostia dove una sera, colto da un’analoga tromba d’aria, non era riuscito a raggiungere la pensione Palmira. Il sogno lo avvolge portandolo violentemente al presente.

Vede una signora di mezza età, mentre cammina lungo la battigia, colpita da due lunghe gambe spuntare dalla sabbia e, dopo un attimo di esitazione, esclama: “Li mortacci tua e de tu nonno… e cchi è sto qqua!” – gli si avvicina e lo sveglia – “Ehi signore, buon giorno!”

Bruno, abbassando leggermente l’asciugamano all’altezza del naso, si tocca il volto, le ossa, si guarda in giro e le chiede dove si trova.

“Io mi chiamo Adelina, Lina a reggina der Tufello, siamo a Ostia … a du passi da Roma. Ha mai sentito parlare di Roma Caput Mundi?” – gasata perché intuisce che è un turista – “Semo noartri er mejo der monno!”

Bruno si alza e, oltre ad aver ripreso coscienza, porge la mano ad Adelina e si scusa per il suo abbigliamento: “Vengo da Crema … mi chiamo Bruno Colombo, ma tutti mi conoscono come BiCi, dalle iniziali del mio nome e cognome, e poi perché uso la bicicletta nel mio lavoro di guardiano in un parco lungo il Po. Ieri sera, mentre stavo rientrando alla pensione Palmira, sono rimasto bloccato da una bufera di sabbia e poi, dalla paura, mi sono coperto con l’asciugamano, ho chiuso gli occhi e mi sono addormentato. Sono qui in vacanza. Il prete del mio paese mi ha detto di scoprire le ricchezze di Roma.”

“Ricchezze? Ma quali ricchezze. Deve sapere, signor Bici, che tutte le ricchezze, accumulate dai nostri antenati, se le ssò maggnate tutte … e semo rimasti con un sacco di problemi. C’avemo  er Tevere, er Colosseo ma non basta. Non ci è rimasto che il canto, la musica … tanto pe’ cantà … e il sogno. Sognare non costa niente.”

“Come siete fatalisti, da queste parti. Non potete rimboccarvi le maniche come da noi al Nord?”

“Venga con me. Le faccio toccare con mano la nostra realtà quotidiana così si rende conto che cosa ha guadagnato a venire sul lido di Ostia. Prenda il mio esempio. Io sono una pensionata e sono costretta a quest’ora del mattino, e sono le cinque” – indicando l’orologio di un campanile – “ad andare a fare la coda all’Ufficio Postale che apre alle nove.”

“E lei ci va con quattro ore di anticipo?”

“Certo! Per essere tra le prime, altrimenti devo farmi una coda che non finisce più. E’ il destino di tanti pensionati come me, che prima di andare al mercato …”

Interrompendola: “Beh! Sono proprio curioso di scoprire cosa c’è qui attorno, Roma può aspettare. L’accompagno. Farò finta di non esserci.”

“Bene, Bici, andiamo in Posta. Namo?”

Il piccolo ufficio, squallido e dimesso, è gestito da Romolé, un signore anziano, sempre vestito di scuro e sommerso da carte. Gigetta, la sua assistente, è una ragazza carina e simpatica, in jeans che sta sfogliando un giornale di moda, seduta all’altro tavolo.

Adelina inizia il suo rituale: “A Romolée … Signor Romoletto? … Romolo ……?”

Gigetta fa notare al suo capo che è la solita signora, quella pensionata che ogni due mesi dà il segnale di apertura. L’anziano direttore ribadisce la stima verso Adelina che considera la persona più educata e gentile tra tutti i suoi clienti.

Gigetta: “Ed è l’unica che la chiama affettuosamente … Signor Romoletto.”

Adelina, dalla strada: “Signor Romolettooo? Siamo già nei minuti di recupero!”

Romole’: “Ieri deve essere andata all’Olimpico a vedere Roma-Napoli. Vada ad aprire Giggé.” Gigetta, con aria un po’ annoiata e con il giornale in mano, canticchia “Daie de tacco daie de punta quant’è bbona a sora Assunta”. Fa entrare Adelina che si precipita davanti alla scrivania del signor Romoletto mettendogli sotto il naso il libretto della pensione.

Romole’, prendendolo con due dita, lo esamina. “Ma Sora Lina è tutto unto!”

“D’olio, sì. Purtroppo l’avevo di fianco al piatto quanno stavo à concià e puntarelle … e i carciofi à la romana pemmé e pe mi zi’ Flora. Devo dimagrire, per scavalcare il cancello dello stadio ed entrare gratis nella curva Sud. Mangio solo verdura anche perché, da quando mi mancano i miei cinquantaquattro denti…”

Romole’, con una sonora risata: “Le mancano cinquantaquattro denti? Ma se ne abbiamo solo trentadue!”

“Lo so, ma ho perso anche la dentiera!”

“Ma perché lei tiene il libretto della pensione di fianco al piatto?”

“Se guardo quanto prendo … mi ricordo di mangiare poco!”

Romole’ la interrompe bruscamente e si rivolge a Gigetta chiedendole di consegnare alla signora il solito modulo da compilare.

Adelina: “Sì ma io, come al solito, non sono capace di scrivere …”

Romole’, cominciando a spazientirsi, prosegue nel suo lavoro dando disposizione a Gigetta di aiutarla nella compilazione del modulo.

Adelina, si rivolge a Bruno che è fuori, nascosto dietro l’anta del portoncino, toglie dalla borsa la sciarpa della Roma e, agitandola: “Vede, mio caro guardiano, quali sono i nostri problemi? L’unica via di scampo è il pensiero fisso alle partite di calcio … alè …ooo! L’unica via di scampo è il pensiero fisso alla curva Sud che ci disintossica e per qualche giorno sogniamo ad occhi aperti. L’unica cosa che non costa niente sono proprio i sogni. Mi scusi ma devo fare un’altra commissione.” Si rivolge a Gigetta e, a bassa voce: “Vorrei spedire anche una raccomandata.”

Gigetta: “Me la dia Sora Lina.”

Di rimbalzo, quasi seccata: “Signorina, per favore! Mmm… ma mi sposerò presto. Sono proprio qui per rispondere a un avviso matrimoniale che fa al caso mio. Legga lei” – estrae un giornale dalla borsa … – “qui.”

Gigetta, passando il palmo della mano sul foglio spiegazzato:        “Laureato, quarantenne conoscerebbe scopo matrimonio, signorina colta, intellettuale.”

Romole’, abbassando gli occhiali sulla punta del naso e in tono sarcastico: “Proprio lei!” e continua a leggere le sue carte.

Gigetta: “… graziosa, alta, sottile.”

Adelina: “Sono una falsa grassa!”

Romole’: “E io sono George Clooney!”

Gigetta, spazientita: “Insomma, signorina, dove ce l’ha questa raccomandata? Trattandosi di una lettera d’amore gliela potrei scrivere io.”

“Brava! Me la scriva lei” – sognante, fa due passi verso Bruno e Gigetta inizia a scrivere – “se perdo venti chili in dieci giorni, vedrò di catturare l’amore del laureato quarantenne facendomi aiutare dal venticello di Roma…” Si muove leggiadra al ritmo di una melodia che le esce dalle labbra.”

Bruno, nella sua semplicità, è confuso. Gli fa tenerezza quell’ometto, che potrebbe avere la sua età, inchiodato ogni giorno dietro una scrivania, in un luogo chiuso a dover a che fare con gente che rompe le scatole.

Gigetta: “Ascoltate che lettera” – Egregio laureato quarantenne, il suo annuncio sul giornale mi ha fatto provare una grande emozione. Da qualche giorno non dormo, non digerisco e allora mi sono decisa a scriverle per informarla che io sono colta e intellettuale. Inoltre, sono graziosa, alta, sottile… tanto sottile che la circonferenza dei miei fianchi potrebbe essere misurata tra il dito pollice e il mignolo …”

Romole’: “…d’un elefante.”

Gigetta: “Insomma, io sono la donna che fa per lei. Spero che questa mia proposta venga da lei accettata e considerata.”

Adelina: “Che bello! Ma, per il momento, rimando questo sogno in attesa di tempi migliori,” – cambia atteggiamento diventando dura  –  “salterò il cancello, andrò nella curva Sud, mi siederò vicino ar Patata, er capo dei tifosi. Poi andremo a parlà con Totti, er mito,” – uscendo dalla Posta e agitando la sciarpa della Roma – “Forza Roma forza lupi, so finiti i tempi cupi!”

Bruno, esterefatto, la lascia andare e corre, con le sue lunghe falcate, dalla parte opposta.

Un po’ perché Adelina parla una lingua diversa dalla sua, un po’ perché la trova insistente e pesante… auto in doppia fila, motorini che saltano sui marciapiedi… Decide di ritornare alla pensione e ripartire. Lo aspettano i rilassanti silenzi dei pioppi accarezzati dal vento, il lento fluire del fiume e i buffi, eleganti fenicotteri con le zampe affondate nello stagno.

Padrone di se stesso e responsabile della natura che lo avvolge e coinvolge.

 

Loading

7 commenti »

  1. Racconto che mette in luce il pericolo, nel quale facilmente incappa il turista, di visitare una grande città in poco tempo e senza un adeguato Pigmaglione: si rischia di perdersi il meglio e di focalizzare solo una piccola parte, uno stretto corridoio che diverrà, nell’ immagionario e nel ricordo del visitatore l’ essenza dell’ intera città. I dialoghi, a tratti un pò forzati, riportano, immediatamente, il lettore ai film di Verdone e la Sora Lella. Ho dovuto sospendere la lettura in un paio di passaggi temporali per meglio comprenderli, ma forse è un limite mio. Nell’ insieme il racconto è piacevole. Bravo 🙂

  2. Mi è piaciuto! Adoro Adelina!

  3. Per Gloria
    Sai che mi hai fornito una chiave di lettura diversa da quella originaria? Ho creato i due personaggi principali (BiCi e Adelina) con l’obiettivo di metterli in contrapposizione assoluta. Lui è un po’ tonto e poco acculturato, lei ha una visione del mondo più ampia. Lui è un misantropo, lei chiacchera anche con i pali della luce. Lui vive in solitudine nel parco, lei ama la “caciara” della città e le urla dello stadio.
    Questa tua annotazione non fa che gratificarmi perché è la dimostrazione di come un lettore possa interpretare quanto lo scrittore ha voluto raccontare. Grazie

  4. Per Jessica
    Bingo!
    Vengo dal mondo del teatro amatoriale, dove mi sono occupato di regia, ho scritto sceneggiature divertendomi anche nel ruolo di attore.Ho concepito il personaggio di Adelina pensando a Sabrina Ferilli. Datti una calmata, diresti tu! Te la immagini, in quei cinque minuti di rappresentazione legati al mio testo, cambiare tre diversi ruoli? Prima la nostalgica fatalista, poi la perenne innamorata e infine la dura e determinata tifosa? Ci vuole un’attrice eclettica per interpretare ruoli così diversi, in un breve lasso di tempo.
    Anche se il titolo, l’incipit e il finale del racconto vedono protagonista BiCi , di fatto il perno della storia è proprio Adelina.
    Grazie. .

  5. Per Daniele Ossola :
    E’ vero Daniele. Forse la mia interpretazione, diversa dalle tue intenzioni narrative, e’ stata ” falsata ” dal fatto che che io Roma, purtroppo, l’ho sempre visitata in modo furtivo, veloce e, quindi superficiale 🙂 . Grazie per avermi fornito la chiave di lettura dello scrittore: rileggerò il tuo piacevolissimo racconto volentieri.

  6. In altri tempi Adelina avrebbe potuto essere un Aldo Fabrizi en travesti! E’ lei la regina della storia, simbolo della Roma più profonda ( almeno secondo certi stereotipi, non ho esperienza diretta della città ): il racconto è ben organizzato secondo me e l’attenzione carambola piacevolmente fra i personaggi che si sostengono a vicenda. Fa sorridere, si legge che è un piacere. 🙂

  7. Grazie Ugo per il commento favorevole. Per quanto riguarda Adelina, non è necessario un Fabrizi en travesti, basta vedere Alida Chelli o Sabrina Ferilli nel ruolo di Rosetta in una delle due edizioni del “Rugantino”.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.