Premio Racconti nella Rete 2017 “Sicilia Anni 50” di Francesca Messina
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017
Un po’ di insonnia, continuo a fare zapping, decine di canali e, come al solito, niente da vedere.
Mi fermo su un viso, Monica Vitti giovane e bellissima, presso il tasto “i”: L’Avventura, Michelangelo Antonioni, 1960, girato in Sicilia.
Un gruppo di amici romani in barca alle Eolie ancora incontaminate, Anna inquieta e ribelle “scompare” durante una sosta a Lisca Bianca, il fidanzato e l’amica intraprendono un viaggio in Sicilia, seguendo le sue tracce. Si susseguono panorami in bianco e nero, mare grigio chiaro, terre grigio scuro, Messina Palermo Noto, strade desolate, muri a secco, la piazza di un piccolo paese dove gruppi di uomini circondano Monica Vitti come lupi affamati: una straniera da sola? Una “malafimmina”!
La Sicilia degli anni 50.
Torno bambina… da Palermo un lungo viaggio in macchina, una visita ai parenti in un piccolo paese al centro dell’isola, niente mare, nessun albero, infinite distese gialle di grano, rare macchine sulla vecchia statale Palermo Catania, poi un bivio, ancora qualche chilometro di curve e alle prime case la strada si trasformava nel corso principale del paese. Nella piazza capannelli di uomini avvolti nei tabarri neri facevano ala al passaggio della nostra macchina, poche donne anziane camminavano veloci, occhi bassi, anche loro avvolte in lunghe mantelle nere, come dei chador. I parenti ci aspettavano in strada, baci, abbracci e sulla tavola una montagna di “cudduredde” grondanti zucchero. Il mal d’auto era già scomparso.
Ricordo “a Mamà”, Donna Mitilla, sempre vestita di nero, le prescrizioni del lutto si sommavano nel tempo: lutto stretto per i genitori due anni, lutto semplice per altri parenti un anno, mezzo lutto, bianco e nero, tanti parenti un lutto perpetuo.
Era alta, insolitamente alta per la media del paese, pelle chiara, una donna forte e volitiva, forse una discendenza da antichi invasori nordici. Intelligente e versatile, non aveva potuto studiare, dopo le elementari il padre le aveva categoricamente annunciato:
– A’ scola media ‘un ci vai, picchì ci sunnu i masculi.
Lo aveva subìto come una profonda ingiustizia, il rammarico di tutta la vita.
Gli anni dell’adolescenza trascorsi seduta dietro una finestra a ricamare, a creare pizzi e merletti per il corredo della sua futura casa, pochi i libri da leggere, messali e vite dei santi.
Sposa bambina, al primo parto aveva rischiato di morire di setticemia, l’aveva salvata un medico venuto da Palermo, e dopo lei altre donne si salvarono: infatti da quel giorno l’ostetrica cominciò a far bollire l’acqua per il parto, così come le aveva insegnato “u Prufissuri”.
Un figlio dopo l’altro, gravidanza parto allattamento gravidanza parto allattamento, nessuna contraccezione: alla domenica il Parroco le avrebbe negato l’assoluzione e tutto il paese avrebbe notato la sua assenza alla Comunione.
Tutti i giorni la stessa vita, casa marito figli, gli anni tutti uguali, il tempo si fermava nei nostri paesi medievali, questo era il ruolo riservato alle donne di buona famiglia.
Portava una fede di metallo, la sua d’oro l’aveva dovuta donare alla patria, a Mussolini per la conquista dell’Etiopia, e dopo qualche anno la guerra era arrivata anche in Sicilia.
Nessun aereo passerà mai su quelle case e nessun soldato sparerà un sol colpo; lontano da qualunque obbiettivo militare il paese divenne un rifugio sicuro per gli “sfollati”, palermitani in fuga dalle bombe.
Bene e male a volte viaggiano insieme, e per chi sopravvive si apre la possibilità di un cambiamento, di una metamorfosi.
Anche Donna Mitilla accolse gli sfollati: giovani donne che studiavano e lavoravano, professoresse, commercianti, testimoni della vita di città. Un mondo diverso che non la scandalizzava, anzi la affascinava.
La guerra è finita, Donna Mitilla ha deciso: tutti i suoi figli studieranno, lontano dal paese, anche le femmine, niente pizzi e ricami, solo libri!
La aspettano anni di sacrifici: soldi, tanti soldi le servono per mantenere tutti i figli, chi in collegio, chi già all’università. Anni di contrasti col marito, uomo buono e accondiscendente, ma suscettibile alle critiche dei parenti: quelle ragazze in città, da sole, a studiare…
– ‘I fimmini a casa s’hannu a stari! Accussì ‘un si li pigghia nuddu!
– To mugghieri ti sta cunsumannu, tutti ‘sti picciuli… quantu sarmi ri turrenu ci accattavi?
Il tempo adesso corre veloce, tante notizie, tante novità dai figli che tornano per le vacanze, e che, appena arrivati, non vedono l’ora di andare via. Anche lei vorrebbe andare via con loro. La piccola Sarina studia a Cefalù, sono già gli anni Sessanta, ci sono i francesi del Club Mediterranèe a Cefalù, quando torna a casa porta i pantaloni, si chiude in camera con le amiche del paese a fumare, a raccontare di esistenzialismo e di Juliette Greco, a imparare a memoria “Et maintenant” e “Il cielo in una stanza”.
Molto prima di quando non abbia mai sperato, Donna Mitilla si trasferisce, i figli la vogliono a Palermo; longeva ed in buona salute, le restano ancora tanti anni da vivere e tante cose da fare.
Vede gli astronauti scendere sulla Luna, e le donne in magistratura e in polizia; cattolica osservante, nel Giubileo del 1975 realizza un voto: salire la Scala Santa di San Giovanni in Laterano. Ma in cuor suo non perdonerà mai alla Chiesa le morti di parto di tante sue giovani amiche.
“L’Avventura” sta per finire. Anna è ancora dispersa, ma i due protagonisti, durante le ricerche, tra esitazioni e sensi di colpa si sono “trovati”. Taormina, sullo sfondo dell’Etna Monica Vitti accarezza con mano materna Gabriele Ferzetti in lacrime, appena scoperto a tradirla su un divano dell’hotel San Domenico. Come da copione per una donna anni 50.
Su i titoli di coda spengo la tv e accendo il computer, ancora tante immagini tanti ricordi da fissare, prima che ritornino nel passato.
Le nostre montagne, inaspettatamente fredde e nebbiose, case abbarbicate sulle cime dei Nebrodi, delle Madonie, castelli e fortificazioni; in un lontano passato paesi sicuri, inaccessibili ai pirati che facevano razzie sulle coste e rapivano gli abitanti. Panorami diversi, sempre chilometri di curve ma in mezzo a boschi di noccioli, di querce, di antichi tassi, ogni tanto una sosta per dare la precedenza a greggi di pecore ed agnellini, e poi ancora su per ripidi tornanti finché giunti in cima si scompariva nella nebbia.
Strade dissestate, quasi delle trazzere, con buche, pozzanghere, spesso interrotte dalle frane: le stesse frane ancora nel 2015.
– Sintiti sintiti sintiti – un tamburo risuonava nelle strade dei paesi – u sinnacu cumanna di chiudiri porci e jaddine. Erano i giorni della targa Florio, una gara automobilistica che negli anni 50 faceva parte del circuito mondiale, una settimana di notorietà per le Madonie, ma poi tutto tornava come prima nei paesi cristallizzati nelle antiche tradizioni.
Donna Ersilia era di nobili origini: uno zio cardinale aveva fatto parte di un Conclave.
Sul tavolo del salotto la tovaglietta traforata a quattrocento, il tè nelle tazze di Capodimonte, nell’alzata lo sfoglio e nelle coppette il biancomangiare ricoperto di diavolina, e intanto fuori cominciava a nevicare.
Ci ospitava nel palazzo, un silenzio assoluto nella strada che portava il nome della sua famiglia.
Le domestiche pulivano le pentole con la cenere e il limone nella grande cucina, che il giorno del bucato si trasformava in un girone dantesco: enormi tinozze d’acqua calda, una con la liscivia l’altra con l’acqua azzurrina per via dell’azolo, un donnone dalle braccia muscolose spostava le pesanti lenzuola dall’una all’altra mentre la stanza si riempiva di vapori irrespirabili. La zia Ersilia era riservata ma affettuosa, un’espressione di dolce tristezza ne velava il volto e faceva intuire la sua storia.
Adolescente, aveva dovuto riporre nel baule la bambola, con cui ancora amava giocare, per occuparsi di una bimba vera: la sorella maggiore era morta dopo il parto. Lei, come da tradizione, aveva dovuto sposare il cognato vedovo e fare da mamma alla nipotina.
Dai giochi spensierati al matrimonio con un uomo marito-padrone, che non avrebbe mai amato, nonostante la nascita di un figlio.
Giovane vedova, le restava da accudire il fratello, tipico signorotto scapolo; la nipote, per sfuggire al padre si era sposata molto presto e viveva in città.
Il figlio in paese trascorreva solo le vacanze, tra un libro di Hemingway e l’ultimo 45 giri di Elvis Presley, e l’antico pavimento vibrava quando ballava il rock and roll.
Nessuna speranza di recuperare sentimenti ed emozioni mai vissute.
Anche la zia Ersilia finirà con l’abbandonare il paese, e il palazzo diventerà un museo.
Un altro viaggio, altri parenti, un piccolo paese vicino Palermo. Ma era una strada impervia, scavata nel fianco della montagna, a sinistra la roccia a destra lo strapiombo, adatta agli agguati e teatro fino a qualche anno prima delle gesta di un famoso bandito. Era morto anche il suo vice, altrettanto misteriosamente, ma la paura era ancora viva. C’era sempre un’aria di tensione, in macchina, quando la percorrevamo: spesso dopo una curva ci si fermava dietro un gregge e dei pastori… o forse uomini armati pronti alla rapina o al sequestro. Lunghi minuti di ansiosa attesa, mentre le pecore si spostavano spinte dai cani e visi duri e inespressivi ci scrutavano, solo a volte un gesto di riverenza.
La nonna Marianna era una donna semplice e sensitiva, di una religiosità istintiva. La sua famiglia vantava uno zio sacerdote morto in odore di santità.
Tanti episodi nella sua vita, segnati da premonizioni e sogni profetici, come quello in cui lo zio le indicava un bambino abbandonato in orfanotrofio, che nessuno voleva. Marianna lo prese con sé, chi lo aveva lasciato nella ruota aveva spezzato una medaglia e gliene aveva messo la metà al collo, ma lui da adulto non volle mai cercare l’altra metà.
Molto malata, eravamo riuniti al suo capezzale tutti i figli e i nipoti.
Il medico arrivava con una scatola in mano, ci faceva uscire dalla stanza, e iniziava una strana operazione. Curiosa sbirciavo dallo spiraglio della porta: immersi in un liquido, si muovevano piccoli animaletti, che il dottore prelevava con una pinza e poggiava sulle spalle nude della nonna a cui si attaccavano, suscitandone i lamenti: erano sanguisughe, un salasso. Morì in pochi giorni. Era la prima volta che vivevo una situazione di lutto, tutta quella gente in visita, la messa tra nuvole di incenso, mi sembrava quasi una festa.
Un altro secolo, un mondo di donne sconosciuto alle nostre figlie, che zaino in spalla, in jeans con i capelli al vento, vanno da sole in giro per il mondo.
Sei siciliana come me. Non possiamo non scrivere della nostra terra e del suo vissuto. Ci ritrovo parecchio in quello che scrivi. Ciao
Francesca,
il tuo racconto “simil saga familiare” mi ha fatto venire in mente una mostra fotografica.
Mi è sembrato di veder scorrere di fronte agli occhi il destino e le vite di queste donne forti, di altri tempi, forgiate da eventi e disgrazie a noi sconosciuti per la maggior parte.
Un piccolo film ed un grande regalo alla tua Sicilia.
Complimenti.
Un racconto autentico che ti porta dentro la realtà siciliana facendoti respirare gli odori.
Ho apprezzato particolarmente anche i dialoghi, li ho trovati molto divertenti.
Se si potesse votare un racconto similie, io lo voterei.
Grazie
Francesca, che bel tuffo nel passato! io, veneta, che però amo la Sicilia, ho rivisto un po’ di Verga e della Marianna di Dacia Maraini, ma ho anche rivissuto i viaggi che ho spesso fatto in quei posti indimenticabili. Su uno di questi viaggi, in bicicletta, ci ho pure scritto un racconto lungo.
Francesca, mi piace il tuo stile, mi piace tanto il tuo racconto. Ho il privilegio di vivere nella vostra stupenda Sicilia che entra nel cuore e non lo lascia più. L’Avventura è un film che mi ha affascinata quando l’ho visto a 20 anni. Ritrovo molti posti, molti appunti sulla condizione femminile delle donne in Sicilia che ancora sussistevano quando venni per la prima volta nel 1978. Mi ricordo per esempio l’arrivo a Gangi in moto, tutti questi uomini con scapolari blu, specie di grandi mantelli con la testa nascosta nel cappuccio, rimasi veramente impressionata. Grazie, leggendoti ho pensato a Dacia Maraini e Simonetta Hornby.
Per Paola Dalla Valle e dominique.henriet
grazie per i bellissimi commenti al mio racconto e grazie anche per la Vostra “sicilianità”
Cara Francesca, ritrovo in questo scritto il tuo sguardo pacificato e indulgente su un mondo antico, aspro, difficile per noi donne. Racconto da veglia accanto al fuoco in una sera d’inverno, nostalgia sobria, appena un pizzico di rimpianto per ciò di cui godono le nostre figlie e che a noi fu negato… La memoria fluisce leggera, senza impigliarsi nei giudizi e nei raffronti, schivando l’oleografia da cartolina. Rigore e serenità, il tuo stile è proprio come quelle figure di donne d’altri tempi. Un abbraccio 🙂