Premio Racconti nella Rete 2017 “Mi chiamo Abu” di Pasquale Rinaldi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Quando ero piccolo, mia madre mi ripeteva ogni giorno che saremmo dovuti partire.
Ogni giorno, che ci fosse come sempre il sole o anche quando raramente pioveva, mia madre me lo ripeteva.
Non diceva mai chi, non diceva mai quando; diceva semplicemente: “Abu, dovremo partire.”
Non era triste quando diceva quella frase: la pronunciava con semplicità, come qualcosa che sarebbe dovuto succedere, naturalmente, come se fosse scritto nella storia della nostra famiglia, nella storia del villaggio.
Anche i miei fratelli ne erano al corrente, sia i grandi sia i piccoli, ma nessuno sembrava farci caso.
Mio padre, invece, quelle rare volte che tornava a casa, stanco e sporco per chissà quale lavoro, sembrava interessarsi all’argomento ma unicamente per far segno a mia madre di tacere: non erano cose di cui parlare, soprattutto con dei bambini.
Le giornate passavano lente in Africa, seguendo il corso del sole, ricche di polvere, mosche e risate.
Per un bambino di nove anni, del resto, cos’altro c’è da fare?
Solo andare a scuola e giocare… e fare 5 km a piedi per andare al pozzo a prendere l’acqua.
E poi, all’improvviso in una mattina di ottobre, è venuto lo zio Samir, ha parlato con la mamma e noi siamo partiti davvero.
Io, però, non volevo e allora ho pianto perché non era giusto lasciare tutto lì e andarsene!
Anche se lo sapevo, anche se la mamma ce l’aveva detto da sempre, a me non piaceva lasciare il villaggio e i miei amici e quella bambina che incontravo ogni volta al pozzo e che mi sorrideva sempre!
Non era giusto… ed ho odiato la mamma!
E l’ho odiata per tutti i km a piedi che ci ha fatto fare perché io ero stanco!
E l’ho odiata per tutte le ore che ci ha fatto aspettare sotto il sole, nel porto, perché io avevo sete!
E l’ho odiata per tutta l’acqua di mare e per la puzza di benzina e sudore in quella barca troppo piccola perché io avevo fame!
E l’ho odiata per tutte le persone che ora mi parlano ed io non capisco nulla e non conosco nessuno perché lei è morta, affogata ed io sono solo e l’unica cosa che vorrei è rivedere quella bambina che mi sorrideva quando andavo a prendere l’acqua al pozzo e giocarci insieme…
… Semplicemente.
Il massimo dell’attualità con un taglio non retorico né scontato. Il punto di vista di un bambino, del resto, è difficile che sia retorico o scontato. Bello, grazie!
Che tematica!
Bellissima l’idea di raccontarlo dagli occhi di un bambino, i genitori sono le vittime delle circostanze ma sono i bambini a essere le ultime vittime di una catena vittimale. Pagano senza scegliere. E spesso si ritrovano a portare una peccato non loro.
Avevo toccata anch’io un tema simile l’anno scorso, ma non considero il mio commento “di parte”, il tuo racconto è proprio bello! Bravo!
Complimenti Pasquale! Molto toccante e delicato.
Il punto di vista dei bambini dovrebbe sempre ispirarci e questo racconto mi ha ispirato nuove riflessioni. Tematica attualissima ma sottintende anche una tematica più grande che è – per me – l’educazione e le scelte che si fanno pensando al bene dei figli. Non si sa mai dove stia esattamente la ragione ma si può imparare ad ascoltare, magari poi si rimane al villaggio, magari poi si rincorre un futuro migliore, chissà… Grazie per la bella lettura
I bambini subiscono, non scelgono. Molto commovente, il bambino voleva solo giocare, sorridere alla bambina, e stare a casa sua con la sua mamma, come tutti i bambini del mondo del resto. Quanti bambini così ci saranno sui barconi, non in grado di capire perché devono patire tutta questa sofferenza. Grazie!