Premio Racconti per Corti 2017 “Vittoria!” di Roberto Piccinini
Categoria: Premio Racconti per Corti 2017Ho dolore da tutte le parti, la testa sembra che possa scoppiare da un momento all’altro. Mi sento scuotere, apro gli occhi, non riesco a mettere a fuoco la vista, sono stordito. Li chiudo. Mi versano dell’acqua sulla faccia. Li apro di nuovo, ora va meglio, davanti a me c’è la faccia preoccupata di Pablo, sta parlando ma non capisco, mi fischiano le orecchie, è insopportabile. Mi mettono a sedere; lentamente le sue parole riescono ad arrivare al cervello.
«Como estas?» Dietro di lui c’è Samir.
«Chiede come stai?» traduce nel suo italiano stentato.
«Ho capito, è solo che mi sta esplodendo la testa».
«Sei fortunato, i nostri compagni sono stati ridotti a brandelli» dice Samir.
La parete del casolare in cui eravamo asserragliati è stata spazzata via. I miei vestiti sono bianchi della polvere dei calcinacci, così come i loro. Rassicuro Pablo che sto bene, lui sorride, si alza e va a cercare altri sopravvissuti, Samir va con lui.
Resto ancora un po’ a sedere, come ha detto Samir, mi devo considerare fortunato, un’onda sonica, così la chiamiamo noi, non risparmia.
Cosa stiamo facendo? Semplice stiamo combattendo gli alieni.
Tutto iniziò quando gli USA individuarono delle navi aliene in avvicinamento; dopo poche ore la grande notizia fu rivelata al mondo. Più che altro fu una fuga di notizie, subito messa in rete da hacker e non giunse a tutti, perché la loro presenza nelle vicinanze della terra creava delle interferenze ai canali di trasmissione. Le navi aliene si mantenevano ad una distanza dalla terra pari a quella dell’orbita lunare.
Poi, non so perché, nei giorni seguenti furono fatte atterrare o, forse, loro decisero di farlo: una in Canada, una in Brasile vicino alla foresta Amazzonica, poi in Africa nel deserto del Sahara, in India, Cina, Australia, due in Russia, una sola in Europa e più precisamente qui in Italia, nella pianura della Maremma, in Toscana.
Una volta atterrate, le normali vie di comunicazione ripresero a funzionare. Il primo ministro italiano, un ometto borioso, gongolava all’idea di ospitare sul patrio suolo una nave di una civiltà aliena.
Il primo contatto con loro fu tramite un messaggio radio diffuso nelle lingue delle nazioni dove avevano preso terra. Pregavano di tenersi a debita distanza per almeno sette cicli solari in modo che il carico radioattivo accumulato nel viaggio spaziale si potesse disperdere.
Fu creato un perimetro di sicurezza. Un cordone militare faceva in modo che nessuno si avvicinasse, specialmente i giornalisti. Nessuno sapeva che aspetto avessero e cosa volessero da noi, però quel gentile messaggio deponeva a loro favore.
Le settimane passavano e non si seppe più nulla da loro. La benevola aspettativa si trasformò in diffidenza. Nei pressi delle navi aliene fu segnalata una discreta attività sismica e la vegetazione nei pressi incominciò a seccare.Ogni tentativo di comunicare con loro fu vano e a quel punto ingenti forze militari furono mandate nei pressi delle zone di atterraggio.
Per quanto riguardava noi, da tutta Europa furono mandate truppe e mezzi militari.
Gli aerei da combattimento e le centinaia di navi da guerra al largo della costa, si tenevano pronti.
Passarono altri giorni, la diffidenza si tramutò in ostilità, perché ci ignoravano? Ci furono innumerevoli manifestazioni sia pro ma soprattutto contro la loro presenza.
Poi accadde che in Groenlandia il ghiaccio incominciò a sciogliersi e la foresta Amazzonica seccava rapidamente.
A quel punto fu dichiarata guerra.
Le TV in diretta mondiale fecero vedere i preparativi, gli aerei che decollavano e la fanteria con i mezzi corazzati pronti a fare fuoco.
Tutti eravamo davanti alle televisioni per assistere a un evento epocale. Dopo che venne lanciato il primo missile, si spense tutto. Radio, TV, luce, telefono, GPS, tutto.
Il panico che fino ad allora era stato tenuto sotto controllo prese il sopravvento. I saccheggi erano all’ordine del giorno. La gente scappava, abbandonava le città, ma
per andare dove?
Esuli in fuga da Grosseto raccontavano che l’esercito era stato sconfitto in poche ore. Migliaia di creature aliene erano uscite dall’astronave e avevano risposto
all’attacco, eliminando ogni fonte di minaccia e dopo si erano limitati a controllare una vasta zona che aveva al centro la loro nave.
Passavano le settimane e accadde una cosa incredibile, le persone avevano smesso di scappare e si stavano organizzando per andare a dare battaglia, fra di loro c’ero
anche io. Nel cassone di un camion di cava, io e altri trenta compagni di ventura partimmo per l’ignoto. Sull’autostrada verso Grosseto incontrammo tante persone,
che la pensavano come noi, una variopinta armata Brancaleone che con qualsiasi mezzo stava raggiungendo la zona dell’atterraggio e non eravamo solo italiani, anche i nostri vicini europei si erano uniti a noi. Pensavamo di non riuscire a trovare il punto preciso, ci sbagliavamo, già da chilometri di distanza era visibile la mole della nave che si stagliava all’orizzonte.
Seguendo il flusso delle macchine e poi proseguendo a piedi arrivammo alla zona degli scontri, per meglio dire al mattatoio. Evitando i corpi dei soldati fatti a pezzi, raccogliemmo le loro armi, munizioni e ci unimmo alla battaglia.
Abbiamo subito gravi perdite ma la gente continua ad arrivare. Io sono qui solo da una settimana e li chiamo novellini.
Abbiamo conquistato terreno strappandolo al controllo degli alieni, ora siamo vicinissimi, l’immensa astronave troneggia su di noi. Assomiglia ad un cono, una piramide, larga alla base e stretta in punta.
Arriva Pablo, seguito da Samir e altri compagni, camminano bassi per non farsi vedere.
«Eccolo là! Il cannone sonico».
Il sussurro passa di bocca in bocca. Sporgo la testa il tanto necessario per vederlo. Sta uscendo da dietro una macchia di vegetazione secca. Ai comandi del pezzo c’è una specie di enorme verme, vicino a lui ci sono due alieni più piccoli, non si sono accorti di noi.
Samir scivola verso Karl, un tedesco alto. Vedo che lui annuisce con la testa, prende posizione, puntando il fucile di precisione e spara. Due colpi a breve distanza, gli alieni piccoli cadono a terra. Carichiamo urlando, il verme non riesce a manovrare, lo uccidiamo crivellandolo di colpi. Abbiamo preso una loro arma, che sappia io è la prima volta, ho il cuore che batte a mille.
«Ora cosa ne facciamo?» domando.
«Lo usiamo» dice tranquillamente Samir.
Ci mettiamo a studiare l’arma. Per arrivare ai comandi di sparo, bisogna che uno salga sulle spalle di un altro. Per spostarlo è facile, si muove come se fosse su un cuscino di aria.
Paul, un belga, fa partire un colpo, ora sappiamo anche come usarlo. Con quello è facile conquistare altri cannoni e sbaragliare la loro difesa, almeno su questo lato.
Ci avviciniamo all’astronave e con i cannoni spariamo alla sua struttura. Grossi pezzi dello scafo nero, si staccano piombando al suolo. Il terreno incomincia a tremare violentemente, si alza una grande nube di polvere.
Ci gettiamo faccia a terra per ripararci, veniamo investiti da un vento fortissimo. Quando si calma, ci tiriamo su e con nostra grande sorpresa l’astronave non c’è più. Alziamo lo sguardo e la vediamo alta nel cielo che si allontana velocemente, incominciamo a urlare dalla gioia e ad abbracciarci, abbiamo vinto. Al suo posto ora c’è un grande buco nel terreno da cui sale un’aria rovente, «Perché hanno scavato fino all’inferno?» penso.
La grande astronave madre era nascosta dietro Giove, dagli schermi di bordo si vedono le navi che escono dall’atmosfera terrestre. Su un altro schermo si vedono i terrestri esultanti.
Tradotto per comodità del lettore:
«Cosa stanno facendo?» chiede il Molok capo.
«Credo che stiano festeggiando la nostra partenza» risponde il suo vice.
«Ah! Chissà se lo faranno anche ora. Innescate la reazione» ordina perentoriamente.
«Questa è la parte del mio lavoro che amo di più» mormora fra sé.
Nel silenzio cosmico la terra collassa su se stessa per poi espandersi e sgretolarsi. La luna, senza più il guinzaglio della gravità terrestre, abbandona la sua orbita, allontanandosi nello spazio.
Ora al posto della terra ci sono delle bolle multicolore che fluttuano. Metano, petrolio, diamanti, oro, ferro, composti organici, terra, aria; tutti i composti del pianeta si sono divisi e agglomerati fra loro.
«Recuperate e stivate il materiale! Inserite la rotta! Terminato il carico, torniamo al pianeta centrale» abbandona la postazione di comando e si allontana.
«Abbiamo subito la perdita di diverse colonie di zhurl, un piccolo inconveniente, in poche rivoluzioni saranno ripristinate. Al mercato tutte quelle materie prime renderanno molti sleek. L’aria è un po’ inquinata, ma basterà dargli una pulita prima di venderla», questo pensa mentre striscia verso il suo nido.
Si ferma ad osservare il pianeta multicolore vicino alla nave e le sue lune.
«Il fluido è una grande invenzione, peccato che agisca solo sui pianeti che hanno una grande quantità di ossigeno nell’aria, purtroppo non sono molti nella galassia».