Premio Racconti nella Rete 2017 “Un tuffo diverso” di Giulia Giorgi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Luca era un giovane Tenente dei Carabinieri, originario di una grande città della Lombardia. Laureatosi con lode in Giurisprudenza a soli ventitré anni, aveva deciso di intraprendere
la carriera come Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, affascinato dal mondo militare e dall’aspetto investigativo della Benemerita. Con i suoi 194 cm di altezza, svettava sempre su tutti i suoi colleghi
e si faceva notare per l’eleganza del portamento e il garbo dei suoi modi .
Da più di un anno prestava servizio al comando di una Tenenza di una città campana. Era stato trasferito lì all’improvviso, dopo tre anni di servizio al comando del Nucleo Operativo in una
città toscana. Il maledetto giorno in cui ricevette ‘La Telefonata’ aveva appena finito di montare la cucina nell’appartamento, dove sarebbe andato a vivere con la sua ragazza.
‘Trasferito’ era scritto sul messaggio d’ordine, che gli concedeva due mesi di tempo per inscatolare la sua vita
e recarsi al nuovo posto di comando. Questa era la professione che aveva scelto e sapeva bene che un trasferimento inaspettato poteva capitare. “Ma lei?” pensava – “Lei non ha scelto l’Arma. Capirà? Comprenderà? Aspetterà?”
Pensava tutto questo mentre, chiuso l’ufficio, saliva le scale per arrivare alla sua camera, una piccola stanza al secondo piano della caserma. L’edificio si affacciava su un canale detto “Rio
sguazzatorio” per le sue torbide acque marroni, che emanavano fetidi effluvi di fogna. In estate quell’odore penetrava nelle narici e si appiccicava addosso. Durante quell’anno Luca aveva visto
galleggiare di tutto in quel canale: gli scarti dei pomodori di un’azienda conserviera lì vicino, un divano, delle scarpe, taniche contenenti chissà che, schiuma, sacchetti della spazzatura, per non parlare degli enormi ratti che ogni tanto sbucavano dalle pareti degli argini, tra nugoli di mosche e zanzare. Poche volte era riuscito a vedere il fondale, tanto erano putride le acque. Un giorno d’estate, con il canale quasi asciutto, gli era sembrato di vedere delle alghe, simili a lunghi capelli grigi e marroni che lambivano il fondo nascondendo qualche lattina, preservativi usati e altra
spazzatura varia.“Una cloaca a cielo aperto” l’aveva definito un suo collega e ora ne capiva il motivo.
Era un caldo pomeriggio di maggio, il sole cominciava a picchiare come fosse già in piena estate. Luca aveva deciso di staccare la spina e prendersi un pomeriggio libero per fare un giro in
moto lungo la famosa Costiera amalfitana, che ancora non aveva avuto modo di vedere. Tra rapine, furti, camorristi, spacciatori e piccoli delinquenti il suo telefono di servizio squillava in continuazione e fino a quel giorno, da quando era stato trasferito in quella cittadina ad ottobre, non aveva mai avuto qualche ora libera.
Entrò in camera e mentre si toglieva l’uniforme, che ormai gli si era quasi cucita addosso un po’ per il caldo e un po’ per le lunghe giornate di lavoro, sentì all’improvviso uno stridio di
pneumatici e un boato fortissimo. Si affacciò alla finestra e capì subito la gravità della situazione. Si infilò in fretta i jeans e si precipitò giù dalle scale.
Una macchina, una Mini Rover, sicuramente per la forte velocità, aveva perso il controllo nella curva prima della caserma ed era finita contro la ringhiera che non aveva retto, facendo precipitare l’auto nelle acque fetide del canale. Il conducente sembrava cosciente.
Alcune persone, accorse sul posto, urlavano “Fate qualcosa, fate
qualcosa!E’ morto, è morto!Fate qualcosa!”.
Luca, sceso subito in strada, senza perdere tempo individuò il punto dove l’argine era più basso e si calò senza esitazione nel canale. Le putride acque in quel punto lo avvolsero fino alla vita
e lui sentì le alghe grigiastre del fondale scivolargli sulle caviglie come tante mani dalle viscide lunghe dita. L’odore nauseabondo gli fece venire un conato di vomito, ma si trattò di un attimo
perché si concentrò subito sull’auto e sul conducente, che in preda al panico, stava cercando di aprire la portiera. Man mano che il giovane Tenente si avvicinava all’auto, il canale diventava sempre più profondo e il livello dell’acqua saliva sempre di più arrivandogli quasi fino al collo, nonostante la sua altezza. Raggiunta la vettura cercò di aprire la portiera dal lato del conducente, ma
era bloccata, forse era chiusa dall’interno o forse qualche cosa sul fondo del canale ne bloccava l’apertura. L’acqua intanto continuava a salire all’interno dell’abitacolo e il ragazzo cominciava ad
annaspare. A fatica, tra la melma che lo faceva scivolare e altri ostacoli che lo facevano inciampare, Luca si portò dall’altra parte della vettura, cercando di raggiungere la portiera lato passeggero.
C’era poco tempo ormai, l’acqua nell’abitacolo era salita vertiginosamente e il giovane poteva respirare solo grazie ad una piccola bolla d’aria che si era formata tra l’abitacolo e il tettuccio
dell’auto.
Luca provò ad aprire la portiera. Niente. Provò un’altra volta puntandosi con un piede sul fianco dell’auto e tirando con forza la maniglia. Niente. Il ragazzo era ormai completamente sommerso dall’acqua. Attraverso il finestrino, Luca lo vide annaspare sempre più e allora con un impeto ed una forza, che in seguito fece fatica a spiegarsi, tirò ancora una volta verso di sé la maniglia facendo leva con entrambi i piedi sul fianco dell’auto e la portiera finalmente si aprì.
Afferrò il ragazzo per un braccio e, per la prima volta da quando era stato destinato lì, si sentì sollevato nel notare che non aveva le cinture allacciate. Lo trascinò fuori dall’auto, facendolo
finalmente emergere e respirare e lo trasportò fino al punto dell’argine da cui era sceso. Il ragazzo, infatti, anche se
ancora cosciente, era bloccato dalla paura.
Sulla sponda lo aspettavano altri Carabinieri, che nel frattempo avevano chiamato l’ambulanza. Il ragazzo fu tirato su e steso sul ciglio della strada. Il paramedico dell’ambulanza confermò che non aveva niente di rotto e che stava bene, anche se era sotto shock. Decisero di trasportarlo comunque in ospedale per accertamenti.
Uno dei medici che era accorso sul posto, dopo aver aiutato i paramedici a caricare il ragazzo in ambulanza si fermò per visitare il giovane Tenente. Luca, infatti, nel frattempo era riuscito a risalire dal canale e ora era in piedi sul ciglio della strada, circondato dai suoi colleghi e
da alcuni curiosi. “Venga Tené, mi faccia dare un’occhiata! Tutto a posto?” – disse il medico notando i jeans rotti e un rivoletto di sangue che usciva dal ginocchio destro. “Sì dottore, solo un
graffio!” – rispose Luca, che non capiva, dove avesse potuto sbucciarsi il ginocchio. “Anche se è solo un graffio le consiglio di farsi visitare in ospedale. Le dovranno fare sicuramente il vaccino per
il tifo e poi qualche antibiotico! Mi raccomando, segua il mio consiglio!” – disse il dottore, complimentandosi per il gesto e congedandosi.
Luca ancora un po’ frastornato da tutta l’adrenalina e dalla paura che aveva provato, salì in camera e si infilò subito nella doccia, dove rimase per una buona mezz’ora. Appena asciugato e rivestito, si recò in ospedale e i medici che incontrò fecero proprio come aveva detto il dottore: gli somministrarono l’antitifica e l’antitetanica e gli prescrissero due settimane di antibiotici.
Uscito dall’ambulatorio, Luca si recò a visitare il ragazzo salvato, che era stato trattenuto per ulteriori accertamenti. Era successo tutto così in fretta che ancora non credeva a ciò che era accaduto. Si affacciò alla stanza del giovane e fu travolto dai gesti di gratitudine e di affetto di tutta la famiglia. La madre gli buttò le braccia al collo e non smise più di ringraziarlo con le lacrime agli
occhi. “Ma di cosa, ci mancherebbe, ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque avesse assistito alla scena e si fosse trovato lì!” disse Luca. Qui si sbagliava, perché in tanti avevano visto l’incidente,
ma a nessuno era saltato in mente di tuffarsi nella cloaca per prestare soccorso.
Quando Luca uscì dall’ospedale ormai stava calando il sole. Incontrò il dottore conosciuto appena uscito dal canale, che si fermò per chiedergli come stesse: “Ha fatto bene a seguire il mio consiglio. Sa quelle acque non sono mica come quelle della Costiera!” , “Già!” pensò Luca, “La
Costiera! Pensare che oggi avrei voluto fare un tuffo lì! E’ stato, diciamo così, un tuffo diverso!”.
Tornato in caserma si fece un’altra doccia perché non riusciva a levarsi di dosso l’odore del canale. Poco dopo squillò il telefono di servizio “Tené!! ‘na rapina!” gli disse il Maresciallo dalla
centrale: “Arrivo!”. Scese di corsa le scale per arrivare al suo ufficio, ripercorrendo mentalmente tutte le azioni fatte quella mattina. Sorrise, perché sapeva di aver fatto il proprio dovere, sapeva di
aver salvato una vita, sapeva di aver onorato così l’uniforme che indossava.
E’ questo che succede quando indossi un’uniforme: puoi arrivare a sacrificare te stesso per la vita di uno sconosciuto, puoi dare nel tuo lavoro quotidiano più di quanto ti sarà mai riconosciuto e
puoi stare sicuro che finirai le tue giornate senza fama e senza gloria. Ciò che ti spinge a farlo non è la brama di successo, non è la speranza di un aumento di stipendio né di far carriera. Lo fai perché il giorno in cui hai prestato il giuramento, scandendo bene ogni singola parola che recitavi, sapevi che da quel momento avresti ricoperto un ruolo che, a differenza di tanti altri mestieri,
avrebbe rivestito ogni aspetto della tua vita. Sapevi che da quel momento coraggio, disciplina, onore, determinazione, spirito di sacrificio, altruismo e lealtà sarebbero state le uniche parole in grado di dare un senso ad una vita fatta di sacrifici, di frequenti trasferimenti e di lontananza dagli affetti più cari.
Tutto ciò lo sapeva il Tenente Luca, che dopo il salvataggio di quel giorno continuava a lavorare instancabilmente e lo sa chiunque indossi un’uniforme con la consapevolezza di aver scelto una missione della vita, piuttosto che un mestiere.
Minchia, signor tenente!- parafrasando Faletti. Credo sia troppo descrittivo e poco narrativo.Ciao