Premio Racconti nella Rete 2017 “Un pericoloso molestatore” di Giorgio Pontuale
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Nascosto nella grande chiesa, dietro ad una delle grandi colonne rivestite di marmo grigio, con il cuore in gola e attento a non farmi vedere come fossi l’ultimo dei delinquenti, seguivo con lo sguardo il pretino, che con andatura veloce attraversava la navata centrale, fermandosi ogni tre o quattro passi e guardandosi intorno, per cercare insistentemente qualcuno. Alla fine, dopo essersi voltato l’ultima volta, puntò decisamente verso l’uscita e uscì dal grande portone d’ingresso attraverso il quale la luce si scaraventava dentro, sparendo finalmente ai miei occhi.
Tirai un sospiro di sollievo. Sicuramente in quel momento il solerte pretino stava pensando che il proprio tempestivo intervento aveva scovato e messo in fuga un pericoloso molestatore dei numerosi fanciulli, che ogni pomeriggio frequentano l’oratorio della Basilica di Don Bosco, nel quartiere Tuscolano, e a pensarci bene non aveva tutti i torti.
Ma andiamo con ordine. Quel pomeriggio di un’estate calda era iniziato in un vagone della metropolitana della linea A, al ritorno da un impegno di lavoro. Le varie fermate correvano davanti ai miei occhi come le stazioni che sfilavano via, quasi a ripercorrere le tappe di una adolescenza trascorsa per le strade di quel quartiere a tirare calci a un pallone o stravaccato sulle panchine nei giardinetti spelacchiati simile a un vecchio cane con la rogna o sulle seggiole di un bar all’angolo, covo di spacciatori e cravattari.
Colli Albani, Arco di Travertino, Numidio Quadrato: gente che sale e scende, accalcando i marciapiedi di Via Tuscolana pieni di bancarelle ambulanti e davanti alle vetrine dei negozi, che tante volte avevano riflesso la noia di alcuni miei pomeriggi antichi. Gente che va e che viene, che si rintana nei palazzoni alti e grigi, pieni di variegata umanità pulsante di vita dentro quelle case, all’interno di una delle quali anch’io, un ragazzino magro come uno stecco e con il cuore in allarme, ero cresciuto tanti anni fa.
Al centro del quartiere Don Bosco troneggia l’omonima Basilica, alta e imponente, quasi a voler imporre con la propria mole una supremazia su quelle anime agitate, come ne avevo conosciute tante, perennemente in cerca di un po’ di sollievo dalle proprie esistenze,. Nell’oratorio, un grande piazzale di cemento grigio con un ampio porticato su due lati, il campo di calcio al centro con le porte in metallo senza reti, dove generazioni di ragazzini avevano tirato calci sognando di diventare campioni.
Numidio Quadrato, Lucio Sestio; fui assalito dalla nostalgia, da un crampo allo stomaco e il desiderio di riassaporare per un breve istante i ricordi e le sensazioni lontane. Stazione Giulio Agricola: mi trovai fuori dalla metro senza volerlo; uscii in superficie e rimanendo un attimo fermo, sperduto, mi guardai intorno: la luce accecante del sole basso pomeridiano illuminava il solito caos, il brulicare di persone frettolose e indifferenti l’una dell’altra, i palazzi dagli intonaci rabberciati, le auto puzzolenti. Qualche bancarella di frutta e verdura o di cianfrusaglie ingombrava i marciapiedi sporchi e quella leggera brezza che, incanalandosi nei viali tra i palazzi grigi, mi asciugava il sudore, allo stesso modo in cui mitigava la calura dei lunghi pomeriggi estivi trascorsi tanti anni fa a ciondolare nei bar con un ghiacciolo in mano. Poche centinaia di metri mi dividevano dalla chiesa. Di lato, rispetto all’ingresso principale, aperta su quello che allora era un viale alberato ora divorato da un parcheggio, ritrovai la piccola porta in legno dell’oratorio. La oltrepassai con passo un po’ incerto, quasi fosse l’ingresso di una macchina del tempo, e mi ritrovai direttamente sotto uno dei portici che fanno da cornice al piazzale soleggiato. Mi guardai intorno sorpreso di quanto tutto sembrasse rimasto immodificato: il largo porticato di peperino grigio, che circonda il piazzale in cemento, le porte metalliche da calcio e i canestri da basket scrostati, le righe bianche in terra scolorite. Tutto intorno, qualche ragazzino intento a correre dietro ad un pallone, altri intenti a scambiarsi l’ultima “app” sullo smartphone di ultima generazione.
Mi fermai lì a guardare, appesantito da quello spasmo doloroso nelle viscere che si chiama nostalgia, e mi sembrò per un attimo di risentire l’odore delle partite di pallone in quei pomeriggi interminabili delle luminose giornate lontane, in bocca il sapore di crostatine all’albicocca comprate allo spaccio per 50 lire, negli occhi non i pochi giovinetti intenti a “messaggiare” convulsamente, ma i volti degli amici di un tempo. Le voci, i suoni e le grida antiche si spintonavano dentro i timpani, si accavallavano le une sulle altre. Cosa avrei dato per rivivere anche solo un minuto di quei giorni lontani, quando il cuore era leggero, senza il pesante fardello accumulatosi negli anni, strato dopo strato, quando l’entusiasmo per il futuro era ancora tutto intatto come un forziere pieno di gioie luccicanti, prima che le mani rapaci e senza scrupoli della vita potessero farne scempio, lasciando al loro posto patacche senza valore. Cosa darei- pensai- per guardare il mondo che mi circonda con gli occhi di quel ragazzino che ero, riscoprire la vita con aspirazioni affamate di misteri e di sapori ancora sconosciuti. Risentire i suoni, le voci familiari dei compagni di avventure, i richiami antichi delle persone il cui ricordo, inesorabilmente, sbiadisce ogni giorno di più. Su tutte, il richiamo dolce di mia madre nei pomeriggi estivi quando, all’ora di cena, fuori era ancora chiaro e di tornare a casa non avevo voglia.
Guardavo, assorto, il centro del piazzale, i nervi tesi nel tentativo di riacciuffare per un attimo l’intera sinfonia di quei giorni felici, riuscendo invece a mettere insieme solo brandelli di note sparse, a mo’ di un disco difettoso che salta impazzito. Sprofondato nei miei pensieri, fissavo il piazzale con sguardo perso dietro ad un pallone, che, nella mia mente, rotolava inseguito, da giovani gambe, parecchi anni fa.
Fu così che, all’improvviso e un po’ bruscamente, una voce leggermente stridula alle mie spalle mi riportò alla realtà:
– Cerca qualcuno? – Sorpreso, mi voltai, trovandomi davanti un tipetto magro vestito di scuro, sicuramente un giovane prete, lo sguardo vagamente indagatore dietro sottili occhialetti di metallo, incuriosito dalla mia espressione che doveva apparire evidentemente sospetta agli occhi di un osservatore esterno, ignaro ed incapace di capire quanto lontano fosse in realtà il viaggio nel tempo che la mia mente stava percorrendo. Avrei allora dovuto rispondere che no, non cercavo nessuno, che ero là solo per rivedere luoghi familiari alla mia gioventù; ma un leggero sentimento di fastidio verso quella che al momento mi sembrò un’inopportuna intrusione mi spinse a rispondere incautamente: – Stavo cercando un ragazzino…- Mi rammaricai subito per quelle parole imprudenti ma in fondo vere. Gli occhi piccoli del mio interlocutore si fecero ancor più sospettosi e vi scorsi il celato compiacimento di chi crede di aver intuito chissà quale torbido affare. Assunse allora il tono di una persona che, senza darlo a vedere, cerca di indagare su un crimine abilmente fiutato.
-Sta forse cercando suo figlio? – chiese.
– No- risposi.
– Un suo parente, allora? -. Il gioco era ormai cominciato, non potevo, o non volevo, tornare indietro.
– In un certo senso…- dissi, provando comunque un sottile piacere nel prendermi gioco di lui. – Non sarà certo andato lontano! – aggiunse, con tono tra il mellifluo e lo stizzito.
– Lei non immagina nemmeno quanto lui sia lontano…- risposi vagamente dispiaciuto.
L’interlocutore non poté più celare un tono di stupore e dispetto – Perché allora lo cerca qui? – – Perché lei non immagina nemmeno quanto sia vicino…-
La situazione mi stava sfuggendo di mano quando una sonora quanto provvidenziale pallonata rimbalzò rumorosamente sul muro a meno di un palmo da noi, facendo trasalire l’ometto che, come una molla, accennò a rincorrere sbraitando un gruppetto di ragazzi.
-Vi ho detto mille volte di stare più attenti, teppisti!!- Tanto bastò a me, in quel suo attimo di disattenzione, per infilare un portoncino di legno scuro aperto lì a due passi, attraversare un buio corridoio e salire velocemente una breve scalinata, alla fine della quale una seconda porta di legno, molto più grande della prima, immetteva direttamente all’interno della basilica. Entrai dopo aver scostato un pesante drappo color porpora, feci qualche passo e restai lì, immobile ad aspettare, acquattato dietro una larga colonna di marmo quadrata. E non passarono che pochi secondi quando, dalla medesima porta, sbucò il pretino trafelato. Si fermò un attimo guardandosi intorno, puntando poi velocemente verso la grande porta di ingresso spalancata, attraverso la navata centrale, in direzione opposta a quella dov’ero io. Pochi secondi e la luce che entrava dal grande portone di ingresso lo inghiottì, scomparendo finalmente dalla mia vista.
Sospirai allora per lo scampato pericolo, e rimasi ancora a lungo nascosto lì, a bearmi del silenzio e del fresco della grande chiesa. Sorrisi al pensiero di quale terribile pericolo quel giorno un ragazzino di circa tredici anni aveva corso, quello di essere molestato da un ultracinquantenne disilluso malato di nostalgia. Quel giorno però per un attimo, solo per un attimo, i miei occhi avevano incrociato quelli di un fanciullo spensierato, con il mondo ancora in tasca. Pensai allora che forse aveva ragione il pretino: era giunto il momento di lasciare andare quel ragazzo, indisturbato, lasciarlo libero di correre dietro a un pallone, sottraendolo ancora un po’ al fardello che, inesorabilmente, lo attendeva appostato fuori dalle mura di un oratorio.
Che vada allora, che corra, che ami, che viva……
Splendido racconto. Da romana ho apprezzato la descrizione qusi tridimensionale di certi luoghi. E la ricerca di se stessi di un tempo mi ha colpito al cuore. Bravo
Bellissimo il tuo racconto Giorgio!
Un concentrato di sensazioni e ricordi in una Roma trasformata dalla vita che scorre ma alla fine uguale nel suscitare il rimpianto di una giovinezza passata ma ancora vivida nella mente e nell anima.
Stile formidabile, fluido avvolgente,leggero e scorrevole ,sei veramente bravo!
Credibile racconto venato di nostalgia e rimpianti con un finale che esorta comunque a essere positivi. La vita, in fondo, è perdonarsi il tempo passato.
L’ho letto con piacere. Belle soprattutto le descrizioni, mi sono ritrovata anch’io in quello spazio di tempo lontano in cui fuori è ancora chiaro e di rientrare non si ha voglia…
Grazie a tutte/tutti. I vostri sono commenti che scaldano il cuore…
Riprendersi i ricordi è un po’ fare pace con la vita. Giorgio, ti ho letto volentieri.