Premio Racconti nella Rete 2010 “Colori” di Silvia Tamarri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Il gesso di preparazione si era sufficientemente essiccato sulla tela 120 per 100 che aveva posizionato sul cavalletto nella camera adibita anche a studio. Versò dell’olio di lino in un vasetto di vetro e l’odore iniziò a riempire l’aria, aggiungendosi a quello di trementina che sempre ristagnava nella stanza e riusciva a coprire quell’odioso tanfo di disinfettante.
Dalla cucine stava arrivando un profumo di cose buone da mangiare e, nonostante l’orologio segnasse ancora soltanto le 11, Andrea aveva fame.
Aprì il tubetto di blu di prussia e quello del bianco di titanio, ne spremette il contenuto su di un piatto di carta, insistendo con il bianco. Un po’ distanziati dai primi 2 colori, versò anche del blu oltremare e del grigio di payenne. Sarebbe stato necessario anche del Magenta e del giallo, ma prima voleva dare la giusta base al cielo che si accingeva a dipingere. Con il tramonto e con il mare, così sarebbe stato il suo nuovo quadro. Il mare come riusciva a ricordarlo, le poche volte che c’era stato da piccolo e poi, lo scorso anno, quando li avevano portati al mare con il pulmino. Come era bello, pensava Andrea. Bello come la nuova maestra di disegno che aveva gli occhi di un colore strano, verde di cromo e verde cinabro, avrebbe detto Andrea. Forse era una fatina, perché gli occhi così, lui, non li aveva mai visti. Era una maestra più brava di quella che c’era prima. Lo incoraggiava molto a dipingere e gli aveva anche insegnato ad usare gli acquarelli, ma a lui non piacevano tanto perché i colori erano trasparenti e, mescolati con l’acqua, scappavano via sulla carta e il pennello non riusciva a rincorrerli. Invece i colori ad olio obbedivano docili ai suoi movimenti, accettavano sovrapposizioni e mescolanze e avevano un buon odore. E poi, la scatola dei pigmenti per acquarello non era bella come quella dei colori ad olio. Quest’ultimi erano divisi in tubetti e ognuno di essi riportava il nome del colore ed erano nomi affascinanti: rosso carminio, verde vescica, blu di cobalto, bruno Van dyck, terra di siena, terra d’ombra bruciata e terra d’ombra naturale, giallo di Napoli….. e lui aveva scoperto come era affascinante mescolarli, oppure lasciarli distinti e buttarli direttamente sulla tela creando dei contrasti.
La maestra poi gli aveva anche fatto vedere un grande libro su cui erano riportate le foto dei quadri di un pittore con un nome simile a Vincenzo, ma che non era Vincenzo perché non era italiano. E i suoi quadri erano pieni di colori, pieni di giallo e tutte le sue sfumature, pieno di verde per i campi, e poi terra di siena per i covoni di paglia e i cappelli dei contadini sdraiati a riposare dopo il lavoro. E le sue stelle, giallo di cadmio e giallo di Napoli, nei suoi cieli notturni, sembravano fuochi d’artificio. Alcuni quadri erano un po’ tristi e Andrea aveva pensato, guardandone gli autoritratti, che quel Vincenzo fosse triste dentro, come a volte succedeva a lui.
Tra le tante foto, un quadro in particolare lo aveva colpito: c’erano degli iris blu, come quelli che coltiva suor Maria a primavera e che sono tanto belli, però tra tutti quelli blu ce ne era uno bianco, forse anche un po’ più alto, comunque diverso da tutti gli altri, come fin da piccolo lo era stato lui. Tu sei diverso, gli diceva la mamma, accarezzandolo, ma sei il mio amore e per me sei il più bello. Ma tutti gli altri la pensavano diversamente, papà compreso. Qua si stava bene, nessuno lo prendeva in giro perché era diverso, anzi, un sacco di gente veniva a vedere i suoi quadri, perché piacevano a tutti, chissà come sarebbe stata contenta la mamma, che gli aveva insegnato a disegnare tanti anni fa. Gli aveva comprato pochi colori, ma gli aveva insegnato la magia di mescolarli per ottenerne di nuovi: giallo e blu per il verde, rosso e blu per il viola, giallo e rosso per l’arancio. Ora poteva chiedere tutti i colori che voleva, anche se non poteva farli vedere alla mamma che se ne era andata in cielo e lui era stato portato qua dentro. Qua ci stava anche bene e aveva trovato un po’ di amici.
Il cielo, sulla tela, iniziava a prendere forma, un cielo di contrasti anche eccessivi, macchie di colore quasi puro in grande quantità, bianco accanto al blu di prussia, al grigio, al blu oltremare e insieme del rosso Magenta a simulare l’effetto di un tramonto. Dopo pranzo avrebbe iniziato con le terre e i grigi a definire la spiaggia, poi avrebbe atteso l’asciugatura dei colori, che avrebbe richiesto almeno un giorno, per poi proseguire con l’aggiunta di una barchetta lasciata sulla battigia. Un mare di inverno, con i colori intensi di un tramonto pomeridiano di una bella giornata fredda.
La maestra gli aveva detto di preparare tante tele, anche grandi come piacevano a lui, perché avrebbero organizzato una mostra. Qualche mese fa, l’esposizione in una galleria d’arte della città aveva funzionato molto, così parlava il proprietario della galleria, ma Andrea non capiva cosa perché utilizzasse la parola “funzionare” per dei quadri, non erano mica macchine. Ma questo signore, sempre in giacca e cravatta, lo diceva ridendo soddisfatto e quindi Andrea aveva pensato che andava bene così e poi gli dava delle gran pacche sulle spalle, quindi era contento di lui. Una cosa non gli piaceva, lo voleva portare alla televisione, ma lui non ci voleva andare, si vergognava e non avrebbe saputo cosa dire. Lui stava bene solo lì, con le suore, la maestra nuova, gli assistenti e ci stava bene da tanti anni ormai, che nemmeno se lo ricordava quando era arrivato.
Per non dimenticare il paese da dove veniva, lo aveva dipinto tante volte, una paese piccolo, originale per il suo campanile della chiesa in basso e tutte le casette arroccate sopra, sul pendio della montagna. Aveva dipinto i castagni dei boschi dove andava a cercare i funghi con la mamma in autunno, aveva dipinto le acacie in fiore a primavera, la prima neve nei boschi di faggio. I ricordi erano lontani quindi riempiva le tele di colori forse un po’ irreali aggiungendo particolari alle forme secondo i suggerimenti della sua fantasia, creando composizioni espressive, talvolta violente, in contrasto con la mitezza dei suoi modi.
A suor Maria, quella degli iris, non piaceva il gallerista, Andrea lo aveva capito da come lo guardava, non era mica scemo, si capiva quando suor Maria non era d’accordo. Per esempio quando suor Teresa interferiva sui lavori in giardino, suor Maria metteva su un broncio proprio brutto che si capiva che non voleva nessuno in giardino a curare i fiori. Aveva provato a chiedere a suor Maria perché ce l’aveva con quel signore, ma lei gli aveva solo risposto che non tutte le persone possono risultare simpatiche e comunque gli aveva fatto raccomandazione di non affaticarsi troppo a dipingere. Faticare a dipingere? Ma non è mica un lavoro, aveva ribattuto Andrea. Poi perché la suora avesse risposto “già, per te non lo è….”, non lo aveva proprio capito.
Aveva quasi terminato la bottiglia di olio diluente, bisognava ricomprarla e quindi si ripromise di dirlo alla maestra, magari avrebbe chiesto anche un pennello n. 4, perché, quello che aveva, iniziava a non lavorare più bene, perdeva qualche pelo e non era più a punta. Diceva la maestra che il materiale non era un problema, ne avrebbe avuto a sufficienza. E poi che bello! La maestra gli aveva raccontato che alcune persone che avevano visitato la galleria, avevano voluto acquistare i suoi quadri. I suoi quadri piacevano anche nel mondo fuori da lì. Ad Andrea questo non era andato giù tanto bene, perché i suoi quadri erano i suoi ricordi e avrebbe dovuto rifarli, ma la memoria non riusciva a ripeterli fedelmente e, oltretutto era faticoso ricordare. Poi aveva anche pensato che tutte quelle tele così grandi non poteva tenerle nella sua stanza e quindi, tutto sommato, gli facevano anche un piacere a portarsele via, magari quelli avevano più posto a disposizione per conservarli. Questi sconosciuti, comprando le sue tele, compravano i suoi ricordi, ma che significato potevano avere per loro? Ecco, questo per Andrea era un mistero.
Un solo quadro non aveva permesso che lo portassero alla galleria: era il ritratto della mamma con gli occhi tristi, i capelli grigi e le mani raccolte in grembo. Quello era il suo ricordo più importante e non potevano prenderlo anche perché gli anni passavano e la sua mente gli stava giocando un brutto scherzo: iniziava a dimenticare.
Buon tratteggio, molto visivo.
Complimenti, hai costruito visivamente e sensualmente il racconto. Una buona “sospensione” d’attesa
Ci sono racconti in cui mettiamo un pò di noi stessi e per questo ci rappresentano. Poi ci sono racconti, scritti da altri, in cui troviamo una parte che pure ci appartiene… profondamente… e sono quelli capaci di toccarci il cuore. Ecco, questo mi è capitato leggendo il tuo. Un’emozione forte. Complimenti.
Mi sono commosso. “Spessore” e “sensibilità” emergono nel tuo racconto.
Complimenti.
Veramente bello..mi sono molto emozionata!
…una storia disarmante…è davvero densa di “colori”…non poteva essere meglio azzeccato il titolo! è fluido il narrare e ti porta ad immaginare tutti i dipinti…è triste, è un ciclo di vita, c’è lo spazio libero per la fantasia di ogni lettore, e questo a me piace molto…è amaro e dolce, sensibile e si coglie anche la crudeltà della vita, ma leggo anche qui una speranza…la forza che sta dentro l’essere umano!
Complimenti!
Un arcobaleno di parole. L’ingenuità del genio legato alla vita dalla sua arte. Bello veramente bello, leggendolo sono stato avvolto da mille colori, mi sono ritrovato sotto il cielo stellato de “La notte stellata sul Rodano”.
Mi hai commosso. Sei stata bravissima a raccontare l’nteriorità di un bambino usando uno stile tenero e infantile, e, poi, quelle tre parole finali… ogni volta che le rileggo mi vengono le lacrime agli occhi. Brava!
Splendido caleidoscopio di colori e colorazioni espressi a parole. Accattivante. Complimenti
Silvia, il tuo racconto mi ha fatto venire le lacrime per la sua delicatezza nel raccontare quello che credo sia autismo. Tra i racconti più belli di quei pochi che finora abbia letto. Complimenti.
Grazie Brunello, grazie Gianluca. Il racconto è nato dopo una esperienza di laboratorio teatrale con utenti usl che usufruiscono di un servizio pubblico per affrontare il disagio psicologico (più o meno grave) che vivono quotidianamente. Andrea era il nome di un “bambino” di quasi 50 anni che insieme a noi, frequentava il laboratorio. Non dipingeva ma era molto contento di stare nel gruppo, tra i suoi compagni del “centro” e questi nuovi amici “diversi”. Già, perchè la diversità cambia a seconda del punto di vista, l’importante è non considerarla un ostacolo (cosa niente affatto semplice da fare).
CIAO!