Premio Racconti nella Rete 2017 “Lezione magistrale” di Giampaolo Notarnicola
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Classe terza, sezione E.
La cocciuta ostinazione con cui il professor Cisbulli continuava a declamare i suoi versi ne faceva di lui una fredda macchina elettronica.
Una di quelle macchinette con quelle voci registrate che si ripetono all’infinito, con lo stesso discorso, con le stesse parole, a mo’ d’istruzioni per l’uso, come una biglietteria automatica.
Ed era per questo, o forse per quali altri motivi chi di noi lo può sapere? che il professor Cisbulli quasi mai si rammentava d’esser in classe.
Nella classe terza, sezione E, dell’istituto di scuola media superiore Galli.
Una classe di soldatini sempre pronti alla guerra ideologica del cosiddetto motto del “Minimo scarto dalla perfezione”: si era sempre disposti, tutti ben allineati, a partire all’assalto dell’indottrinato o di colui o colei che insegna, e il che non faceva differenza alcuna, qualora anche il migliore dei migliori incappava in quella virgola o in quel puntino in cui il docente modello e perfetto nella maniera più assoluta non poteva incappare.
Ed era questo l’unico momento in cui si faceva davvero l’unione e si faceva davvero la forza: tutti contro l’indottrinato andava bene, ma i momenti restanti erano di guerre interne: si scioglievano le linee e via con cappottamenti, accapigliamenti e zuffe di zuffe tutti contro tutti; e allora il professor Cisbulli che di virgole e puntini fuori posto ne era pieno come la pancia d’una zampogna, in questo, e solo in questo, era grandissimo maestro nel mettere tutti d’accordo!
“Cis-bu-lli… Cis-bu-lli… Cis-bu-lliiiii” si sentì alto il coro nell’aria rarefatta dell’aula, mentre i soldatini sbattevano i pugni sui banchi per cadenzare il ritmo.
“Cis-bu-lli… Cis-bu-lli… Cis-bu-lliiii” si perpetrò il coro; e la classe pareva una bolgia da stadio quando Pif, che era uno dei più magri, allungò sopra tutti il collo sottile di gallo e prese a spernacchiare:
“Prfofessore… professor Cisbulli… prrrrrr- prrrrrrrrr”
si sentì più forte al di sopra delle voci, e tutti ricaddero nei banchi assieme ad una cascata di risa sguaiate.
Ma Cisbulli seguitava indisturbato la sua declamazione.
Perduto così come sembrava nelle sue parole, era una faccia di marmo duro che neppure l’ingiuria scalfiva; e alle volte, addirittura, al suono della campana si dirigeva in corridoio con passi lunghi e fermi, col braccio ancora teso in avanti con un libretto di versi tenuto nella mano, e col naso lungo e affinato, con cui, chiudendo un occhio, prendeva la mira del rigo e portava il segno della lettura.
Tendeva così un poco il collo in avanti, strizzava con forza l’occhio, aguzzava la concentrazione e continuava a leggere, e finiva e poi ricominciava, e mai si rammentava, dunque, di aver di fronte gli uomini di domani e di un avvenire del quale pure lui ne sarà un poco il responsabile.
“Eppure è un poeta”, si diceva di lui, “è un intellettuale”, si bisbigliava, “ha grandi titoli di merito”, mormorava la gente; eppure nella classe terza sezione E dell’istituto Galli, il riserbo con cui si parlava del professor Cisbulli era solo quello di una grande spernacchiata.
Quand’ ecco, di soprassalto, che nemmeno Pif potè l’annunciazione, un altro boato fragoroso: dal suo banco l’Arcangelo, compagno di Pif, non trovò più la sedia alle sue spalle, ed era venuto così a cadere giù in terra mentre cercava di risedersi.
“Maledetta testa di gallo!”
gridò allora l’Arcangelo tutto d’un fiato, puntando la sua furia d’ansia contro la presunta colpa di Pif per quel basso dispetto. E tanto meno per il boato, quanto per l’inesattezza dell’esclamazione dell’Arcangelo, che non rientrava nei canoni poetici del professore, Cisbulli ebbe un contraccolpo al cuore e si destò in un attimo. Cosa assai rara.
“Quale obbrobrio tocca sentire a questi orecchi…” s’ accigliò il professor Cisbulli, “Corregga la sua espressione… la corregga adesso, su! Le dicaaaaa… le dica testa di Modigliani, si, testa di Modigliani… che un gallo me lo spieghi lei che valenza d’arte ha!”
E subito, dalle bocche dei soldatini, s’udì nell’aria un eco di sorpresa che si faceva sempre più silenziosa:
“Testa di Modigliani… testa di Modigliani… testa di Modigliani…”
“TESTA DI MODIGLIANI?”
Esclamò contro il silenzio e a voce alta e perplessa Pif; che un attimo dopo si sentì, invece, caricato come un orologio a corda e pienamente su di giri per l’illustre riconoscimento, nonostante il mal fatto procurato all’Arcangelo.
Mentre l’Arcangelo, che se ne stava ancora in terra a causa della sua grossezza, tirato di nuovo giù ad ogni sforzo che faceva per rimettersi sulle gambe, da lì in basso prese un’altra volta ad imprecare:
“Testa… testa di… testa di come volete!”
urlò al professor Cisbulli; e mai avrebbe detto, come per un attimo si è potuto pensare, mai avrebbe detto una mala parola, una di quelle parole d’inferno, come lui stesso le chiamava; perché l’Arcangelo il suo nomignolo lo doveva come prima cosa alla fede in Dio, di cui ne era il messaggero, e come seconda alla fede per gli aeroplani, che come un arcangelo sapevano volare vicino al signore.
“Lo… lo… lo capite che mi sono fatto male?”
urlò ancora d’un soffio l’Arcangelo dopo il suo consueto balbettio, mentre alcuni soldatini di buona sensibilità lo tiravano per le braccia a rimetterlo in piedi.
E finalmente si rimise sulle gambe.
Un giovanotto robusto di circa un metro e novanta, col viso tondo che per il disagio arrossiva spesso e che, contrariamente a quello degli altri, aveva già i primi peli duri e pungenti sotto il naso, sul mento e sotto gli orecchi fino alle guancie.
“Lo… lo… lo capite?”ripetè di nuovo fregandosi velocemente le mani sulle cosce, come faceva sempre quando era agitato.
“Eh che Dio pieno di misericordia vi perdoni se non lo capite!” continuò sempre tutto d’un fiato.
“Ah che splendida invenzione letteraria Dio” esclamò ridestandosi il professor Cisbulli,
“Davvero uno stupefacente congegno letterario, sì, una delle storie più belle che l’uomo ha mai creato, una vera opera d’arte, sì, proprio un opera d’arte!” disse gonfiandosi in petto.
“Ma… ma… ma cosa dite professore? è Dio che ha creato l’uomo e non l’uomo Dio!”
rispose l’Arcangelo col volto rossastro di rabbia, fregandosi ancora le mani sulle cosce fino a sentirle bollire; mentre in aula si cominciava di nuovo a bisbigliare:
“Testa di gallo o testa di Modigliani?… è Dio che ha creato l’uomo o è l’uomo che ha inventato Dio?”
I soldatini cominciarono una disorientata auto interrogazione; e pure Pif perse il bandolo delle sue azioni da bullo, sentendosi, in veste di capo soldatino, doppiamente disarmato.
“D… D… Dio ha creato l’uomo e l’uomo ha creato le cose” riprese l’Arcangelo,
“E l’uomo crea le cose per avvicinarsi a Dio, come i grattacieli e gli aeroplani!” disse ancora;
ma Cisbulli, imperterrito, aveva di nuovo teso il collo in avanti e richiuso un occhio per mirare il rigo e riprendere la declamazione dei sui versi.
“Il parroco dice che è con la preghiera che ci si avvicina a Dio!… è vero… è vero, con la preghiera!” ricominciarono, invece, a mormorare tra loro i soldatini sempre più confusi.
“Ah la preghiera!” disse rialzando per un attimo lo sguardo il professor Cisbulli,
“Ah le preghiere, che splendide poesie, che opere d’arte, sì, proprio opere d’arte!” e tornò immediatamente con gli occhi sul libretto, e col braccio e il collo tesi in avanti a declamare i sui versi.
“Eh allora, è forse l’uomo che si è avvicinato talmente troppo a dio e che poi, dunque, si è andato a schiantare con gli aeroplani sui grattacieli di New York?”
cominciarono a farneticare altri soldatini; mentre anche l’Arcangelo iniziò sporadici dubbi a riguardo della sua teoria.
A tal punto della questione urgeva, come logica vuole, un intervento magistrale a dipanare la ingarbugliata matassa.
E il professor Cisbulli, che era grandissimo maestro nel mettere tutti d’accordo, e che vantava il nome di grande intellettuale, vista la palese situazione di confusione decise inconsciamente di riportare le cose al naturale ordine.
Mentre era come al solito tutto preso nella declamazione dei suoi versi, fece per indietreggiare d’un passo e inciampò, suo malgrado, nella pedana della cattedra finendo in un baleno con le gambe per aria.
Il frastuono della grossolana caduta che ne seguì, fermò per un momento l’aria dell’aula e tutti stettero in una bolla di silenzio, che l’istante dopo scoppiò in un’altra cascata di risa sguaiate.
Pif non si lasciò sfuggire l’occasione, e riprese lestamente in mano il suo lavoro:
riallungò il collo sottile e con grande bravura ricominciò a condurre il coro:
“Cis-bu-lli … Cis-bu-lli… Cis-bulli”
“Cis-bu-lli… Cis-bu-lli… Cis-bu-lliiii”.
Tutti ripresero a sbattere i pugni sui banchi per cadenzare il ritmo, tutti ripresero a sorridere e l’unione si era rifatta. E anche l’arcangelo se la rideva di gusto, anche lui che poco prima aveva provato il dolore per una simile caduta di cui si lagnava.
Pif, nel pieno delle sue competenze, riprodusse il pezzo forte:
riallungò il collo e disse ancora:
“Professore… professor Cisbulli… prrr- prrrrrrrrrr”
E tutto si risolse, come consuetudine, con un’altra grossa spernacchiata.
Poi anche la campanella trillò e la lezione finì.
Non è incomprensione, sono proprio pianeti diversi, e non sia mai che rischino di sfiorarsi. Bello spaccato di vita scolastica, surreale eppure reale. Bravo.
Grazie lavinia per aver letto il mio racconto. MI fa piacere ti sia piaciuto! bella anche la tua narrazione!
Giampaolo,
con la tua prosa scanzonata e la tua narrazione incalzante mi hai riportato sui banchi di scuola: giuro che avevo un professore similissimo allo spettacolare Cisbulli!!!
Hai creato un personaggi fortissimo, stravagante e dalle mille sfaccettature, alleggerendo con simpatia e fantasia l’archetipo del professore di lettere simil intellettualoide che bene o male alberga nel nostro inconscio collettivo.
Ho apprezzato molto, bravissimo!
Grazie Lorenzo!
Credo che ognuno di noi, lungo il proprio percorso scolastico, sia incappato in un professor Cisbulli. Non sono mica cattive persone i ” Professor Cisbulli “, infatti, visti da fuori, derisi a suon di pernacchie da quei ” mostriciattoli ” di alunni fanno anche tenerezza. Il fatto è che i ” Professor Cisbulli ” sono molto bravi ad imparare e ad accrescere la propria cultura ma non lo sono altrettanto, purtroppo ad insegnarla condividendola con la generosità di cui solo un bravo insegnante è capace. Al tuo e a tutti gli altri professori Cisbulli manca una dote fondamentale: l’ empatia.Il grande limite di questo professore e’ che lui legge per sé e e non per i suoi alunni e loro lo avvertono.Infatti, nel tuo racconto, per un attimo il Prof. ha un guizzo..e gli alunni sembrano seguirlo…ma subito si perde nuovamente nella sua narcisistica declamazione…e allora la spernacchiata se la merita proprio..perché, forse, è il modo poco elegante dei ragazzi di dirgli che, ancora una volta, ha perso un’ occasione..Sei stato bravissimo Giampaolo a caratterizzare questo personaggio! Complimenti