Racconti nella Rete 2009 “Estate in BOX” di Simona Negrini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009
ESTATE IN BOX
Ore 20.10
Mentre l’enigmatico Mr. Inbox mette in onda l’ultimo video di Regina Spektor: “Fidelity”, sul banner della piazza virtuale di All Music scorrono nickname e identità virtuali; i prigionieri del tubo catodico raccontano di sé, della propria vita, interessi, passioni e amori, inviando Sms e Mms la cui parola d’ordine è:“Love is a game!”:
… “Vorrei fare amicizia e trascorrere un’estate all’insegna del divertimento; fare tranquille passeggiate nel parco, gite in campagna, escursioni e magari omaggiare Eros con incontri furtivi… se vorrai sarò il tuo sex coach” …
… “Basta impiegati dell’animo, uomini e donne senza sogni e illusioni! L’estate è arrivata, grandi cose ci aspettano: le imperdibili offerte Miles & More, i consigli per combattere la cellulite alla pagina 548 di Glamour e ogni martedì, al mercato delle erbe, punti doppi più in regalo due gratta e vinci!” …
… “Mia dolce bambolina il tuo silenzio mi distrugge, cerco sempre te, ovunque! Ti prego, torna! Ho due biglietti per le Maldive, non vorrai mica che ci vada solo, soletto? O magari con un amico single”…
Dopo l’ennesimo: “Ho voglia di innamorarmi per vivere un’imperdibile e appassionata estate”, cerco, in preda ad un attacco isterico, il telecomando.
Passano 1,2,3,4 secondi finchè il mio cervello si riconnette alla realtà, ricordandomi che l’iperlucido Philco Alfa anni’70, dal look spaziale e dal colore arancione aragosta[1], non possiede e mai avrà lo “zappingame” in questione.
Non mi resta altro da fare che colpirlo con forza due volte a destra, tre a sinistra nella speranza che si addormenti; magari per sempre.
Riacquisto una calma apparente e come ogni sera, da circa due anni, mi dedico allo scarabocchio.
Sì! scarabocchio, scrivo frasi sconnesse, illeggibili pensieri senza senso, che fanno ridere, che fanno piangere, scrivo qualcosa di arrogante, d’imbarazzante, uno slogan contro le punture di zanzare, un’invettiva contro l’Idtv (sapendo a malapena cosa sia), poi disegno alla peggio braccia e gambe di robot rivali, vestiti carini per bambine carine, una sedia annoiata, una strada per arrivare da A a B, il suono di un carillon, disegno qualcosa di blu e poi, mai prima d’ora, due lucertole che fanno l’amore.
Ore 21.32
Mentre il cd “Lirica: Voci femminili vol. N°2” (regalo di un amico prossimo all’ipocondria) va avanti e indietro all’impazzata, penso a quei due piccoli lacertidi dal corpo coperto di scagliette e placchette minute, penso alle loro code che si rigenerano magicamente, alle lingue bifide che si attorcigliano, accartocciano per amarsi e donarsi l’una all’altra.
Nulla di strano, oggi è il 3 giugno, il “Colonnello” ha previsto per l’area nord-est una temperatura massima di 30 gradi all’ombra[2]; quale miglior occasione per abbandonare umide tubature e insidiose piantine grasse!
L’estate non è dunque una delle quattro stagioni dell’anno? Non ha forse inizio il giorno del solstizio d’estate e termina nel giorno dell’equinozio d’autunno?[3] Non è forse la stagione più bella per rime baciate quali: sole, cuore, amore … mare, amare, sognare e …. non è forse il momento ideale per uscire all’aria aperta, lasciarsi baciare dalla stella madre del sistema solare, risvegliare i sensi (compresi il sesto e il settimo, da me assolutamente incompresi) e … fare l’Amore?
Quest’ultimo par essere il passatempo prediletto di roditori, vertebrati, insettivori, onnivori, umanoidi e pseudo-umanoidi (di questa quest’ultima specie ne conosco parecchi).
Tubano i piccioni davanti alla finestra del mio ufficio, i conigli nani di Sonia, i pesci rossi nella vasca difronte all’ospedale S. Margherita, si amano Anita, l’indiana che vende spezie in via Cavour, e Ruhel l’anglo-pachistano disoccupato, che trascorre le giornate contando i sanpietrini di Piazza Garibaldi.
Tra un incenso di Sai Baba (all’anagrafe Sathya Narayana Raju) ed uno alla cannella e zenzero continuo a scarabocchiare per scaricare il cervello e stancare la mano, nell’attesa del primo sbadiglio.
A farmi compagnia ci sono gli amici “inanimati” di sempre: Armando, l’albatros[4] di gommapiuma viola che abitualmente svolazza su tegami e piatti non lavati da giorni, Sbirgu il coccodrillo maculato di lanacotta, lungo 30 piedi, il cui sguardo ipnotico supera di gran lunga quello di Kaa, ed infine Little Joe una “trans-pecora”, dall’ispido pelo “blu Klein” pronta ad accogliere con posa ammiccante e provocatoria anche il più indesiderato dei visitatori, in cambio di sdolcinate e stucchevoli moine[5].
Mentre continuo a scarabocchiare su un instabile tavolino made in Ikea, ogni parte del mio corpo percepisce un’insolita sensazione di caldo; eppure il mio innato e atavico autolesionismo mi costringe ad averne sempre di più: accendo il forno iperventilato a gradi 230° per riscaldare il tortino salato di mamma Clara, il fornello sotto il bollitore già fumante (mancano ancora 5 minuti per disegnare, sui vetri appannati della cucina, faccine buffe, genitali maschili e femminili e scrivere parolacce alle amichette troppo “carine”) e per finire indosso babbucce di spugna “anti-stupro”, come le definirebbe Miss. ManiaLab[6].
L’obiettivo di tale surriscaldamento corporeo? Provocare un’azione a cui corrisponde una forte reazione; insomma devo scatenare, sconquassare, scombussolare con violenza tutti i sensi, per confessare (basterebbe un sussurro all’anima) un piccolo, subdolo segreto o meglio una tragica verità: “E’ estate, c’è il sole, il mare … ma l’amore? L’Amore dov’è?”
Se il segreto fosse custodito in uno dei milioni di libri conservati nella Biblioteca di Babele di Borges, dedicherei anche tutta la vita alla sua ricerca; ma ogni qualvolta mi illudo di aver trovato la strada giusta, la chiave per aprire quella porta, lo Stregatto mi ricorda che: “nessuna strada è la quella giusta, nessuna mi appartiene, perché tutte le strade sono della Regina di Cuori”.
Come non credere a un gatto dallo sguardo sornione e indagatore, dispensatore di consigli non sempre richiesti, ammaliatore in grado di sorridere a trentadue denti e di sparire e riapparire, anche a pezzi, in un baleno?
Ore 22.00
Il cd “Lirica: Voci femminili vol. N°2” ha finalmente concluso la sua folle corsa…avanti il prossimo: “La Traviata”, Salisburgo 2005. Nel mentre insistono il caldo, i tristi pensieri, il miagolio famelico di Lucio (l’unico gatto della casa che, ogni 3 ore, chiede a me crocchette e scatolette di carne al salmone e ai restanti componenti della famiglia coccole e carezze), i rumori provenienti dal vicino autolavaggio e gli schiamazzi di una baby gang. Insistono ancora gli scarabocchi sul mio libro di Taro Gomi (dal titolo, per nulla casuale: “Scarabocchi tutti diversi”) e mi accorgo che ricorrente è l’immagine delle due lucertole che fanno l’amore; lì per lì non mi stupisco, poi avezza ai voli pindarici (quale sono), mi interrogo sulle possibili analogie tra il maschio di razza umana e le lucertole dello stesso sesso.
I risultati della ricerca sono assolutamente sorprendenti!
La lucertola “maschio” vive ovunque, è in grado di cambiare il colore della pelle per adattarsi all’ambiente circostante e di planare da una chioma all’altra degli alberi di una foresta utilizzando come paracadute delle alette membranose adattate al volo. Sono capaci di arrampicarsi sugli ostacoli che incontrano lungo il percorso o di attraversarli fulmineamente in modo da seminare molti dei loro predatori; alcuni esemplari sono anche in grado di liberarsi della coda, spezzandola volontariamente, quando vengono afferrati da un predatore o si sentono minacciati.
L’uomo “maschio” vive ovunque, è in grado di cambiare idee e pensieri per adattarsi (per pochi istanti, al massimo due settimane) alla femmina e all’ambiente di cui fa parte pur di conquistarla (o meglio possederla carnalmente) e di planare da un guanciale all’altro (tempo massimo venti giorni) utilizzando come paracadute: false promesse, dolci parole in stile “Harmony”, regalini e sorpresine inaspettate, perlopiù riciclate. Sono capaci di ardite congetture, superando ogni ostacolo che incontrano lungo il percorso e abbandonare senza sensi di colpa quando si sentono minacciati, o semplicemente attratti, da qualunque “cosa” il cui nome finisce per “A”, dalla pelle profumata d’olio di fata, il seno disegnato ad immagine e somiglianza di un frutto esotico e il fondoschiena forgiato ad arte, come un vaso di Venini (sempre nel rispetto dei gusti e dalle mode del momento).
Mi basta un attimo per capire che mi manca tanto quello che non ho.
Mi manca quella cosa, che ha il fascino della roulette, che dà gioia, depressione, eccitazione, ottimismo, pessimismo, frenesia, frustrazione, quella cosa che si chiama Amore che mi ha negli anni disillusa e per troppo tempo spaventata.
Ore 22.15
Gli sbadigli si fanno più frequenti, ma prima di porgere ossequi a Morfeo mi lascio coccolare dai colori sbiaditi di vecchie fotografie degli anni’80: la famiglia al mare accalcata sotto grandi ombrelloni a strisce, la frutta candita, le biglie di plastica con le foto dei calciatori, gli abbracci affettuosi di mamma e papà e in primo piano i dentini da latte e i costumini con farfalline e coccinelle ricamate con le iniziali del mio nome e in sottofondo le indimenticabili canzoni di David Gnomo, Heidi e Kiss me Licia.
Ma sull’indimeticabile ritornello: “David Gnomo, David l’amico mio, sei tu il migliore amico che ci sia …”, il quartiere trema per l’assordante ed insistente rumore di un clacson, probabilmente di una macchina di grossa cilindrata.
Dai vetri ancora appannati s’intravede una modestissima fiat panda 4×4, che della “grossa cilindrata” ha solo i cerchi con pneumatici bmw 530D ultimo modello.
Al volante c’è una giovane donna, bruna di capelli.
Lei, la giovane donna al volante, è Alice: amica e confidente fin dai tempi dei Paciocchini e degli Exogini.
Alice[7], conosciuta come la “Divina”, è il prototipo perfetto della “Serial Flopper”: donna neo-trentenne capace di passare rapidamente da una relazione sentimentale all’altra, appositamente autoboicottate per pura e semplice noia. Il feticismo e il collezionismo di Alice l’hanno portata a sperimentare innumerevoli tipologie di uomo maschio, meschinamente votate e accuratamente catalogate con le seguenti “etichette”: fallocrate-impotente (voto: 2), immodesto-ego-bambino (voto: 6), intellettualoide-depresso (voto: 7), ipocondriaco – igienista (voto 5); esistono poi infinite sottocategorie, il cui voto è variabile, ma mai superiore a 7.
Ore 22.25
Alice è ora seduta sul mio divano di taffetà nero ed ha un unico obiettivo: divertirsi!
Do una rapida scorsa al suo abitino a fiori anni’70 decorato con ruches, alla scarpina nera stralucida con fibbia dorata, alla borsetta a bauletto tempestata da pietruzze colorate e ad altri innumerevoli accessori eccentrici, gingilli di vanità in stile Charlie’s Angels.
Siamo così diverse io ed Alice. Siamo come l’Ape Maia e l’Ape Magà, la prima simpatica, curiosa, dal sorriso contagioso, l’altra fragile, ingenua, dallo sguardo da Cocker Spaniel inglese[8]
Vorrei inventarmi mille scuse pur di non varcare la soglia di casa ma nessuno, nemmeno la sottoscritta, sa dire di no ad Alice.
Accetto l’invito ma impongo delle condizioni: locale non troppo affollato, fuori porta, dove si può ascoltare musica dal vivo (magari del Blues fine anni’60), bere birra (una bionda media doppio malto) e chiacchierare, spettegolare su tutto e tutti, come solo le donne sanno fare.
In dieci minuti indosso un paio di jeans sdruciti, una maglietta color mattone, un infradito di pelle fin troppo datato e infine uno zainetto indiano decorato con elefantini portafortuna (tanto per esorcizzare quella strana cosa, la fortuna, i cui casuali e spesso rovinosi mutamenti sono in realtà tanto inevitabili quanto provvidenziali).
Ore 23.00
Bologna è magia pura e di notte è ancora più bella.
Alice cammina con passo spedito, nel mentre mi strattona una, due, tre volte, giunte a destinazione mi guarda lusinghiera pronta a pronunciare la consueta formula magica : “Bisogna baciare molti ranocchi prima di trovare il vero principe!” …
Il locale è accogliente, la luce è calda e soffusa, l’odore della torta di mele appena sfornata è famigliare; pochi e mal disposti sono i tavoli blu cobalto e le sedie impagliate color rosso belzebù. Alle pareti sono appese fotografie in bianco e nero, paesaggi, ritratti, scatti di un artista locale, non mancano poi anticaglie appartenti perlopiù alla tradizione contadina.
Lo spazio attorno mi appare piccolo come tutto ciò che contiene: dai bicchieri di plastica colorata ai portacandele di ceramica raku, dalla saliera in stile décò ai centrini della nonna color giallo paglierino.
Dietro al bancone decorato in stile veneziano s’intravede una ragazza, piccola d’età e di statura, il cui carrè nero alla moda (che tanto ricorda quello della Valentina di Crepax) mal si accosta al grembiule a scacchi da “rezdora”, ai vini, whisky e rum disposti con cura sulle mensole di faggio e olmo.
A sinistra del bancone tra la macchina del caffè e una vecchia Berkel fa bella mostra di sè una gigantografia, dai colori pop, di Frank Zappa, incorniciata con candeline, cornetti e luci natalizie; un vero omaggio all’artista eclettico, qui ripreso con succinti slip leopardati e stivaloni alla cowboy.
Il locale è semivuoto ma un chiassoso gruppo di ragazzi e ragazze attira la nostra attenzione, o meglio quella di Alice.
Un attimo ed è l’inferno.
Addio pettegolezzi amicali, addio confessioni imbarazzanti, addio sfoghi e pentimenti sussurrati. Addio.
Tra casse acustiche e amplificatori per chitarra e basso sono accalcati l’uno sull’altro Mallo, Zanbo, Mila, Cecco e altri “umanoidi” a me sconosciuti. Mi basta pensare ai “nomi di battaglia” dei succitati compagni di ventura per ribadire con fermezza il mio scetticismo nei confronti della razza umana (tutta) e la misantropia cronica che da sempre mi accompagna.
Se avessi il mio libro “scarabocchi tutti diversi” disegnerei un pesce annoiato, un elefantino in fuga, un labirinto per conigli, qualcosa che prude, che dà fastidio.
Per esorcizzare la sensazione d’inadeguatezza ordinerò da bere, qualcosa di forte, molto forte, dal gusto così deciso che non lascia altra scelta che divertirsi, ridere, ridere e ancora ridere; spero solo di non passare con eccesiva rapidità dalla fase euforica a quella soporifera.
Un attimo e sarebbe l’inferno.
Prima disinibita capace di frasi oscene e “accalappiauomini” poi sgodevole e aggressiva capace di riprovevoli invettive, ingiurie fino a brutali incontri-scontri fisici.
Non ho uno specchio nello zainetto indiano ma son certa che se potessi vedere la mia smorfia, riconoscerei (lo scienziato israeliano Gili Peleg ne andrebbe fiero) quella di mio padre quando sconcertato scoprì che la sua primogenita avrebbe, da lì a poco, sorvolato il continente africano, destinazione: Accra … con un biglietto di sola andata.
Il sopracciglio sinistro è inarcato, la ruga che divide simmetricamente la fronte è profonda e ben marcata; scruto con attenzione e disinvoltura ogni dettaglio, ogni piccolo trascurabile particolare: ghigni grotteschi, tic, pose artefatte, mani e gambe che si sfiorano appena, occhi che si fissano senza nulla vedere.
Quante volte, dall’alba al tramonto, tocchiamo corpi e parti di essi, invadendo spazi, profanando intimità. Quante volte? Milioni come i batter di ciglio.
Non ho uno specchio nello zainetto indiano ma sento di essere triste.
Ho uno sguardo triste. Qualcuno se n’è accorto.
Il Qualcuno il questione, il cui nome al momento è assolutamente trascurabile, è un maschio di razza umana, ha le mani palmate color carta velina, la barba nero pece così mal distribuita da creare un effetto pois sulle guance scavate, un tatuaggio sbiadito sul polso destro (potrebbe essere un girino d’acqua dolce), una piccola cicatrice sul labbro e orecchie a punta alla Star Trek. Il maschio di razza umana si avvicina con disinvoltura e con voce baritonale pronuncia la seguente frase: “Hai l’aria molto triste. Dai ti aiuto io! ”
Non ho uno specchio nello zainetto indiano ma sono imbarazzata, confusa e disorientata. Qualcuno se n’è accorto.
Inizio a pensare alla parola Aiuto ai suoi mille sinonimi: sostegno, soccorso, protezione, rinforzo; poi ai diminutivi: aiutino, aiutarello, aiuticcio, aiutuzzo…
Voglio urlare, piangere, battere i piedi come una bambina capricciosa e viziata:“Voglio il dvd di Nemo, le scarpine delle Winx, la casa dei puffi, voglio le figurine di Lilli il Vagabondo, un cagnolino, un gattino, un pesce rosso … voglio l’Amore, voglio un’Amore, che sia mio, solo mio”.
Non faccio nulla di ciò che penso (rara, rarissima eccezione), fingo di non sentire e con fare disinvolto rispondo con una domanda: “Hai mai visto due lucertole fare l’amore?”
All’interrogativo posto segue una dettagliata descrizione verbale dell’accoppiamento e dell’ideale stagione riproduttiva dei lacertidi, accompagnata da scarabocchi e disegnini esplicativi.
Ascolto incuriosita per una buona mezz’ora.
Non sono più triste, né imbarazzata, confusa o disorientata; tutt’altro sono tranquilla, serena, anche se a tratti mi gira la testa come se fossi su un’altalena.
Ore 24.45
Lo scarabocchio ci contagia; su fazzolettini e scottex disegniamo un palazzo che cammina, un’auto addormentata, una formica antipatica, un tasso al mare, fiorellini e casette con grandi denti. Con gesti istintivi e involontari lasciamo scorrere la penna, ci lasciamo andare all’istinto.
Il pensiero è fluido.
Poi, tutto ad un tratto, disegniamo una scatola, un box (come direbbero gli inglesi) vuoto, completamente vuoto.
Ecco la scatola dei desideri, una scatola magica che può far apparire tutto ciò che si desidera veramente, basta riempirla con sogni e speranze, chiuderla con un coperchio, scuoterla, girarla una volta a destra e tre a sinistra e riaprirla.
Il Qualcuno in questione lascia a me la prima mossa.
Non ho altra via d’uscita, non mi resta che scarabocchiare quella “cosa” che ha il fascino della roulette, che dà gioia, depressione, eccitazione, ottimismo, pessimismo, frenesia, frustrazione, quella cosa che si chiama Amore che mi ha negli anni disillusa e per troppo tempo spaventata.
La prossima mossa è di Alessandro (il cui nome, ora, non è più trascurabile), il quale non disegna cose o persone, non segni astratti o impronte ma lettere che compongono una parola. Un nome. Il mio nome.
La scatola è ora piena di sogni e desideri da sempre bramati, la chiudiamo, la giriamo una volta a destra e tre a sinistra e…abracadadra!
E’ estate, la più bella stagione dell’anno, ideale per le rime baciate quali: sole, cuore, amore … mare, amare, sognare e …. è il momento ideale per uscire all’aria aperta, lasciarsi baciare dalla stella madre del sistema solare, risvegliare i sensi, amare e lasciarsi amare.
Di Simona Negrini
[1]Acquistato in un’asta on line: “vendo, cerco, compro tutto!”, per la modica cifra di euro 17,00 comprese le spese di spedizione.
[2]Con nostalgia ricordo la famosa frase: “Nebbia in Val Padana” del Colonnello Bernacca; scomparso nel 1993 fu precursore e padre degli attuali meteorologi televisivi. Altro che animate cartine previsionali, dalle spiegazioni artificiose e logorroiche (dalle quali mancano solo fantasiosi latinismi e grecismi), il Colonnello si serviva di una matita e di una semplice lavagna nera!
[3]Grazie all’enciclopedia libera Wikipedia mi sento, ogni giorno di più, un po’ meno stupida… solo un po’!
[4] “Il re dell’azzurro avvezzo alla tempesta”, così come lo definì Baudelaire.
[5]La piccola Little Joe, con ironia e cinismo, rendere omaggio alla modernità: alla riproducibilità dell’opera d’arte (il nome s’ispira a Joe D’Alessandro famoso attore della Factory di Andy Warhol) e alla clonazione della sventurata Dolly.
[6]Miss. ManiaLab è la “regina del kitsch”, una bambolina virtuale circondata da animaletti ammiccanti, stelline e cuoricini semoventi. Straordinaria seduttrice e ammaliatrice. Il suo segreto? Se lo sapessi lo terrei per me.
[7]Gran bel nome da favola Alice! Il mio l’ho sempre considerato banale e ordinario. Mi fu dato da una bambina di appena sei anni, dai capelli come fusilli e dagli occhi color pistacchio; Sabrina allora aveva l’innocenza nell’anima … solo per questo fu perdonata!
[8]Cane docile ed estremamente sensibile che cerca coccole e carezze sia dal padrone che dagli estranei